Saggio sulla Pubblica Educazione - tomo II


Giuseppe Gorani
SAGGIO SULLA PUBBBLICA EDUCAZIONE (1773)

Testo critico stabilito da Gianni Francioni sulla prima edizione (Londra [ma: Genève?], 1773)
Tomo secondo
ὀρθῶς γάρ ἐστι τῶν νέων πρῶτον ἐπιμεληθῆναι ὅπως ἔσονται ὅτι ἄριστοι, ὥσπερ γεωργὸν ἀγαθὸν τῶν νέων φυτῶν εἰκὸς πρῶτον ἐπιμεληθῆναι, μετὰ δὲ τοῦτο καὶ τῶν ἄλλων.

Nam in primis juvenum cura suscipienda est, ut quam optimi viri fiant; quemadmodum bonum agricultorem teneriores primum plantas curare decet, ac deinde aliis providere. Plato, Eutiphro, seu de Sanctitate.

Indice di questo secondo tomo.

Libro iii. Dell’Adolescenza.

I. Introduzione.
II. Necessità di riformare i principj adottati che possono essere contrarj all’avanzamento dell’intelletto e dei sentimenti del cuore.
III. Attenzione; come stimolarla. Mezzi di esercitare altresì la memoria.
IV. Come i principj oscuri ed astrusi influiscono sulla salute dei corpi.
V. Salute, come si può conservare anche negli studj.
VI. Nutrimento.
VII. Esercizj.
VIII. Ballo.
IX. Cavalerizza.
X. Scherma.
XI. Vestimenti.
XII. La necessaria riforma degli studj, altre volte sì difficile, quanto sia facile nel presente secolo.
XIII. Alcuni mezzi per facilitare i studj.
XIV. Studj della prima epoca.
XV. Epoca seconda.
XVI. Epoca terza.
XVII. Epoca quarta.
XVIII. Epoca quinta.
XIX. Epoca sesta.
XX. Passioni.
XXI. Lusso.
XXII. Adolescenza commerciante.
XXIII. Prima epoca.
XXIV. Epoca seconda.
XXV. Terza epoca.
XXVI. Epoca quarta.
XXVII. Epoca quinta.
XXVIII. Epoca sesta.
XXIX. Passioni, lusso, rispetto pegli altri stati, fatiche, esercizj, arti cavalleresche e musica.
XXX. Idee preliminari sull’adolescenza degli artigiani.
XXXI. Modi proprj a facilitare l’educazione degli adolescenti artigiani.
XXXII. I lumi scientifici, quanto sieno proprj a facilitare l’educazione della plebe ed a perfezionare i mestieri, le mecaniche e le manifatture.
XXXIII. Studj degli artigiani adolescenti.
XXXIV. Esami, pene e ricompense.
XXXV. Esercizi, musica, nutrimenti e vestiti.
XXXVI. Riflessioni preliminari sulla rustica adolescenza.
XXXVII. Studj della rustica adolescenza.
XXXVIII. Passioni.
XXXIX. Della virtù.
XL. Della salute.
XLI. Esercizj.
XLII. Ozio.
XLIII. Divertimenti.
XLIV. Sceniche rappresentazioni.
XLV. Riflessioni sugli avvantaggi degli ornamenti dell’anfiteatro.
XLVI. Riflessione.
Conclusione.

libro terzo: dell’adolescenza.

Ver enim, tamquam adulescentiam significat, ostenditque
fructus futuros. Cic. De senect. cap. XIX.

I. Introduzione.

Entriamo in una più bella carriera. Non più rinchiusi in un centro di sì limitati raziocinj, qual materia non si presenta ad ora degna di occupar la mente di un vero pensatore! Se l’intelletto mio troppo debole presentar non saprà colla sufficiente energia un sì vasto soggetto; se posso destarne la brama a qualche ingegno sublime, stimerò coronate oltre misura queste mie fatiche.

Pianta il provvido agricoltore una quantità di scelte viti; ma appena possono aver presa radice, che lo affanna il timore di un orrido gelo; e tutto occupato dalla cura di guarantirle dal verno, si cangia la stagione, lo allarmano le prine, indi se vede nuvoloni arcuati e bitorzoluti rotolarsi alla cima altiera de’ monti, credendole minacciate dalla grandine esterminatrice, sorpreso e desolato alza le mani al cielo e non sa darsi pace. Allorchè le osserva coperte di foglie comincia a consolarsi, mille pensieri aggradevoli affettano il suo cuore. Passa così due o tre verni fra la speranza ed il timore; ma quando le vede ornate di pampini si rallegra, applaudisce alla sua industria ed alle sue pene. Sapendo aver esse acquistata maggior forza, gli si acheta l’animo, più tanto non teme l’impeto de’ venti, il ghiaccio micidiale, le crude prine, le diverse intemperie de’ tempi. Simili a questi arboscelli, i teneri fanciulli finchè sono nell’infanzia e nella puerizia conturbano l’animo degli affezionati genitori, che intimiditi dall’amore sempre tremano nel vederli sì deboli, sì poco capaci a trionfar delle continue rivoluzioni dalle quali sono ognora minacciati da una natura per anco gracile e nascente; ma divenuti adolescenti, empiono di gioja l’animo di chi prese la cura della loro educazione, ne sviluppano i frutti, ne mostrano le prove, e contenti gl’istruttori delle impiegate fatiche, i sì bei progressi che vedono li animano a ravvivarle.

L’adolescenza è l’età più fortunata, d’uopo non ha di morbide piume per eccitare il suo sonno, nè di delicate vivande per satollare un continuo appetito. Ha pochi bisogni, ma molte forze; non è intimorita dai rigori de’ tempi; contiene in sè un calor sì cocente che i più rigidi verni non gl’imprimono alcuno spavento, purchè passate abbia le due precedenti età nei modi che ho già dimostrato. Incallita allora si riderebbe dell’altrui delicatezza, tristo seguito di una educazione molle ed effeminata. Rapido dunque all’adolescente gli scorre il fluido sanguineo nelle sue vene, i cibi si cangiano in umori che hanno l’efficaccia di fortificar fibre e nervi. Il moto interno che prova lo pone in istato di sostener le più indefesse fatiche che sorprendono l’attenzion degli adulti.

Nell’entrar che fa il fanciullo in codesto nuovo periodo della sua vita, si ritrova su di una scena diversa; uno spettacolo del tutto differente s’offre alla sua immagine; orgoglioso del suo potere getta uno sguardo compassionevole sopra le età che ha già passate e che cerca di proteggere. Sminuita la somma delle sue necessità, riceve una più graziosa esistenza. I solazzi che l’hanno occupato gli vengono insipidi, va in traccia di nuovi piaceri, e vedendo gli oggetti sotto un altro aspetto, quelli che non conosceva gli divengono interessanti.

Col perfezionarsi degli organi de’ suoi sensi, gli si rinforzano quelli della memoria e dello intelletto. È sempre in qualche modo nel caso della statua di Condillac, e le cognizioni dei mentuati sensi si estendono e si fortificano col mezzo di uno scuotimento più sensibile delle fibre intellettuali, che gli dicono: pensa, forma paragoni fra quel che provi e ciò che hai provato, e poi conchiudi.

Tutto gli si presentava confuso avanti di questa età. Avendo poche idee poteva formar pochi rapporti. Intieramente occupato di vezzi e di piaceri, lo colpivano gli oggetti troppo momentaneamente; fabbricava per le future età; senza scelta li ammetteva nella sua memoria; gli si scolpivano invero profundamente, ma soltanto a guisa di quelle pietre che servir devono di fundamento ad un edificio. Se erano solide, atte divenivano a portare una magnifica mole di un tempio grandioso; se deboli e mal distribuite dall’inesperto istruttore, appena capaci erano di sostenere una rustica capanna. Voglio con ciò dire che gl’insegnamenti dell’infanzia e della puerizia non producono frutti che si rendono sensibili in quelle età ma nelle progressive, allorchè potendo formar paragoni di tutte quelle idee che indifferentemente prepararono nel loro magazzino, formano la complicata teoria del raziocinio.

L’adolescenza è la prima età che incomincia a servirsi delle idee che gli procurarono le passate sensazioni. Le esamina, le riflette sempre più e le paragona colle altre che attualmente gli si offrono, sebbene sieno più deboli di quelle che un’accostumata abitudine gli rese più famigliari. Un tal pensiero mi conferma nella evidenza che le prime sensazioni sono la base di quelle che si debbono acquistare; che i primi modi di farli riflettere a’ fanciulli devono preparare lo intelletto alle cognizioni oppure gli ostacoli per renderle più difficili, e più agevole per conseguenza lo inculcamento dei pregiudizj.

Siccome non ho presentato a’ miei fanciulli nella infanzia e nella puerizia se non le idee le più chiare e le più precise, e dati alle organisazioni quegli scuotimenti i più proprj a ricevere gli oggetti sotto un facile aspetto, arrivati nell’adolescenza quanti vantaggi già non avrebbero sopra coloro a’ quali vien data la consueta educazione? Famigliarizzato ciascheduno di loro co’ principj di quelle arti e cognizioni alle quali debbono essere un giorno destinati, arriverebbero senza pena a possederne la perfezione.

Tripudiate, alunni miei, di gioja e di contento; se passate avete le due prime età in divertimenti e solazzi, non vo’ già che il piacer vi abbandoni. Continuate pure a seguire gl’impulsi della natura; madre affettuosa, precettore sapiente, saprà guidarvi all’unico scopo che mi propongo, cioè alla felicità. Lieti, esultanti, fin ora non conoscete il timor che costringe ad azioni che il cuor non approva; sempre sulle orme di una sì piacevole direzione, tremanti non sarete avanti una sferza che avvilisce. Non conoscerete obblighi rivoltanti, doveri perniciosi, pratiche che corrompono. Allontanata dal vostro aspetto la fatal seduzione, i vostri cuori non saranno palpitanti come quelli di tanti sventurati. Liberi esporrete i vostri pensieri, apertamente direte dubbj e sospetti, che sciolti verranno con amorevolezza fino su di quelle materie ove con tanto impero si comanda di non ragionare; goderete infine di quella rara felicità sì energicamente cantata da un illustre antico:[1] Rara temporum felicitate, ubi quae velis sentire et quae sentias dicere licet.

II. Necessità di riformare i principj adottati che possono essere contrarj all’avanzamento dell’intelletto e dei sentimenti del cuore.

L’errore è la cagione della nostra infelicità; ci sottomette al giogo della più dura servitù, ci obbliga a prosternarci avanti i falsi Dei, c’intorbida la fonte delle originarie definizioni del bene e del male, dell’onesto, dell’inonesto.

L’errore non ha altra origine se non alcuni principj trasmessi, generalmente adottati con un cieco consentimento che ce li fa ricevere sotto una tale data qualità. Locke più d’ogni altro filosofo era ben persuaso di questo sentimento; lo espose in più luoghi del suo Saggio filosofico concernente l’intelletto umano, ed in un certo passaggio di questo libro profundo si spiega nei seguenti accenti: Così, ben lungi che i principj ci conduchino nel cammino della verità, non servono che a confermarci nell’errore.[2]

Questo grand’uomo, che amava la ricerca della verità, che con ardore procurò di mostrarne agli altri la via, più volte ci avverte che i mezzi i più sicuri di conseguir vere cognizioni e di accrescerle consistono nel non ammettere ciecamente principj e con una implicita fede, ma piuttosto di acquistare e fissare nel nostro spirito idee chiare, distinte e complete per quanto aver le potiamo, e di loro assegnare nomi proprj, precisi, chiari e di una costante significazione, invariabili; riservandoci la facoltà di compararle e di esaminare i differenti rapporti, guardandoci di sottomettere il nostro intelletto alla altrui discrezione. Ci dimostra in sì fatta guisa esser questo il metodo il più sicuro di ridurre la stessa morale alla suscettibilità di dimostrazioni sì evidenti delle matematiche, allorchè si mettessero per base le idee dell’Essere supremo ed infinito e quelle di noi medesimi come creature intelligenti o ragionevoli.[3]

Un altro celebre filosofo ci consiglia di non ragionare se non sopra cose di cui ne abbiamo idee chiare; che dobbiamo sempre cominciare dalle più semplici e le più facili, ed arrestarci longa pezza avanti d’intraprendere la ricerca delle più composte e delle più difficili, allontanando con cura dal soggetto che si deve considerare tutte le cose che non sono necessarie di esaminarsi per iscoprire la verità che si cerca.[4]

I saggi avvertimenti di questi due maestri dell’arte di ragionare mi convincono che nulla vi è di più pernicioso all’educazione, cioè al perfezionamento sì dello spirito che del cuore umano, che il volere istruire fanciulli i fanciulli ne’ proprj doveri e nelle scienze partendo da principj che non sono se non principj di convenzione.

Avendo a lungo parlato nel primo volume della necessità di non presentare all’infanzia ed alla puerizia se non idee chiare e precise, sembrerà ch’io qui mi ripeti. Per prime idee elementari non ho inteso se non quegli stromenti, oggetti ed azioni che formano l’occupazione di quelle prime età nelle quali ho osservato esser cosa sommamente biasimevole destinarli a studj riflessi. Trattandosi qui della più bella età dell’uomo, in cui singolarmente si sviluppano le idee ricevute e quelle che si acquistano colla perfezione delle fibre e degli organi, imprendo ad inculcare il bisogno della scelta dei principj che debbono formar la base di occupazioni più avanzate, cioè delle scienze e doveri per gli uni, arti, mestieri e doveri pegli altri.

La chiarezza di principj più precisi faciliterebbe a’ precettori ogni metodo ed ai discepoli l’ordine e le maniere le più proprie per collocarli nella memoria, la quale non mancherebbe in sì fatta guisa di fortificarsi e di rendersi ognor più pronta, ogni qual volta le facoltà intellettuali ne cercano il soccorso.

Così, se più chiari i primi principj ajutano la memoria e la rendono più pronta a soccorrere l’intelletto, chi potrà non convincersi della necessità di riformar quelli, che inventati dalla ignoranza e favoriti dalla malizia, mettono una barriera insormontabile ai genj degli uomini i più industriosi ed attivi?

III. Attenzione; come stimolarla. Mezzi di esercitare altresì la memoria.

Non fecero fin qui i miei fanciulli, come già dissi, che passare il lor tempo in continui divertimenti. Non mancarono per questo d’imparare i primi elementi delle diverse cognizioni in cui devono esser destinati a’ passare la lor vita. Sebbene non mi discosti in questa epoca della via del piacere, le istruzioni non mancando di essere di una natura più difficile, perchè proporzionate alle forze sì fisiche che morali che si trovano considerabilmente accresciute, mi conviene ora discorrere dei mezzi più opportuni ad ajutare le facoltà intellettuali, che non mancano però di essere sostenute da quelle delle organisazioni dei sensi, che per meglio distinguerle chiamerò machinali, quantunque dirette vengano anch’esse dalla volontà, facoltà particolare annessa ed inseparabile dalla natura dell’anima.

Questa materia è invero sì importante che esigerebbe un lungo esame e l’ajuto de’ più filosofi, se esaminar la volessi in tutti gli aspetti sotto i quali si offre alla nostra immaginazione. Non farò dunque menzione se non di alcune poche verità le più necessarie al mio soggetto, che cercherò di esporre colla maggiore possibile precisione, quelle però che sono le più facili ad essere intese da ognuno. Chi vorrà approfondirle tutte, potrà ricorrere allora alle dotte analisi di molti filosofi, e principalmente del P. Mallebranche e suo maestro Cartesio, di Locke, a quelle dell’illustre Condillac, e sopra il tutto al di lui trattato Delle origini delle cognizioni umane. Comparando i loro scritti, spogliato delle prevenzioni che fanno giurare in verbo magistri, si può allora sperare di formare un buon sistema, che quasi son per dire inutile dopo le ricerche speculative dell’autore della opera qui ultimamente indicata, che ebbe la forza di correggere i falli di quegli scrittori che l’hanno preceduto.

Dirò dunque che i ragionamenti semplici e composti non sono che pure percezioni dello intelletto. Varie essendo le medesime, abbiamo ad esaminare la convenienza e la disconvenienza di tutte; non dobbiamo già lasciarle scorrere con rapidità, ma fissarle e trattenerle finchè compresi ne abbiamo i diversi rapporti. Per riuscirvi con maggior efficaccia, si devono dividere e sottodividere, cominciando da quelle che non contengono se non pochi rapporti, per non passare alle composte se non allora che si hanno bene intese e rese famigliari alla immaginazione.

Questa operazione non dipende che dall’attenzione governata dalla memoria, ove l’uomo colloca le idee risultate dalle riflesse sensazioni, che non sono se non le azioni dei sensi, ciascheduno de’ quali è un corpo organizzato, dotato di fibre. Per iscuoterle e mantener sempre più tesa con vigore la loro elasticità, non vi è mezzo più sicuro che di stimolare la curiosità coll’ajuto del nostro interessamento e delle passioni naturali, che sono la favella e le espressioni degli scuotimenti dei sensi. Così le passioni naturali sono le guide fedeli che conducono alle scienze, al modo di esprimerle, cioè allo stile, a tutte le cognizioni, sì alle intellettuali come alle mecaniche.

Ove non vi è interesse non vi è attenzione. L’interesse può venire da un dato utile che si prefigge vero o apparente. La curiosità, sebbene si presenta come un’altra nuova maniera d’interessarsi, non è che un sentimento intuitivamente ed intrinsecamente unito con lui. Così chi fa muovere l’uno o l’altro, oppure ambidue assieme, avrà trovata la via che conduce alle più difficili nozioni.

L’interesse scaturisce dall’amor proprio, il quale è ognora l’amore dell’essere, sebbene vi entrano le modificazioni di quello del ben essere, del piacere, dell’aversione, delle sensazioni dolorose. Il desiderio di elevarci in sapere, in grandezza, in ricchezze, in altri vantaggi sopra gli altri uomini sono tutte parti dell’amor proprio, ma non già esseri da esso lui separati e divisi.

La cognizione di questo amor proprio, quella delle diverse passioni e della passion dominante degli alunni è l’esatta misura dei gradi di sapere nei precettori intorno l’educazione. Se quegli che sa interessar le passioni utili sa condurre al suo scopo, deve in conseguenza esser riputato esperto in una scienza sì sublime.

La necessità che ho esposta nell’antecedente articolo di non presentare in questa nuova via d’insegnare all’adolescenza per principj se non idee chiare, precise e senza confusione fra di loro, sì nello studio delle scienze che in quello delle arti e dei mestieri; ciò che ho detto nel presente intorno ai mezzi d’interessare l’attenzione, non sono cose oscure, ma provanti sempre più l’evidenza del bisogno di non ammettere per istruttori di questa età se non persone spregiudicate delle false ipotesi e paradossi, che non fanno che affermire nell’errore ed allontanare dalla scoperta delle verità dotte e profunde nella marcia che osserva la natura, nel destare, accrescere e diminuire i principj di tutte le passioni, per rispingere quelle che sono perniciose ai rispettivi individui ed alla felicità sociale, e render fervide le altre, proprie alla conservazione sì della privata che della pubblica prosperità, giacchè dal modo di eccitarle tanto dipende la perfezione dello intelletto e quella dei sentimenti del cuore.

Nell’esercitare la memoria non si abbia già maggior riguardo alle parole che alle cose. Il metodo pedantesco de’ collegj è pur nocivo anche in codesto oggetto. Si obbligano i poveri fanciulli a ritenere e recitare come i papagalli lunghissima serie di periodi o versi senza fare attenzione se ne comprendono il senso. Questo metodo di esercitare la memoria non è proprio a sollevarla, ma bensì a renderla inerte. Allorchè si brama di scolpire qualche cosa utile nella memoria degli adolescenti e de’ fanciulli, procurar si deve di farne loro comprendere il senso, essendo il più delle volte indifferente che nell’esprimerlo mutino l’ordine delle parole, purchè non lo confundano o indeboliscano. Quest’ordine di parole non è necessario se non allor quando si danno loro a studiare a mente versi, mentre in questi il disordine li fa cessare di esser versi. Quanto care non si comprano dagli adolescenti e da’ fanciulli le rimembranze superficiali di alcuni passaggi di autori latini che non s’intendono!

IV. Come i principj oscuri ed astrusi influiscono sulla salute dei corpi.

I diversi metodi d’insegnare le scienze e le arti influiscono singolarmente sulla salute. Se questi sono difficili, composti di principj troppo astrusi ed oscuri, stancano con ogni possa le fibre delle organisazioni della memoria, del cervello, dell’attenzione; restando allora l’arco delle nostre facoltà intellettuali in una tensione sommamente vibrante, può perdere la sua elasticità, oppure essere in altri modi talmente sconcertato da accagionare la stupidità o la pazzia. In qualunque modo che vogliamo riflettere sulle triste conseguenze dei principj astrusi, è incontestabile che accagionano agli organi movimenti continuamente ripetuti. Questi movimenti, come lo rimarca un già lodato sapiente, affaticano la midolla nervosa; questa tenera sostanza si ritrova dopo una lunga meditazione sì estenuata che lo è un corpo robusto dopo un esercizio violento.[5] Rapporterò con lui il celebre passaggio di Platone sul danno della troppo grande contenzione. Eccolo: Quando l’azione dell’anima è troppo forte, porta al corpo scosse che lo gettano nella languidezza; se fa uno sforzo in certe circostanze, il corpo ne risente, ne è riscaldato ed indebolito.

Non potendo gli adolescenti concepire con facilità i principj astrusi, si rendono inquieti ed indi s’ingolfano nella melanconia. Quanto sieno perniciosi gli effetti della medesima alla circolazione de’ nostri fluidi, lo hanno sentito molti uomini dotti che li scrissero con dettaglio e con profundità. È sì costante una tal verità, che sarebbe difficile il decidere se la melanconia sia più funesta allo sviluppamento dei sentimenti morali o a quello delle fibre e dei nervi che si trovano nel moto il più violento in questa età, nella quale le parti tutte del corpo prendono ogni giorno un sensibile accrescimento, che non dovrebbe essere impedito da ostacoli morali, che la prudenza può togliere o almeno prevenire.

I principj facili e chiari si presentano con amenità allo intelletto, si scrivono nella memoria senza alcuno sforzo, colpiscono le diverse fibre del cervello senza accagionare verun scuotimento irregolare, ed affettano l’immaginazione con tanta piacevolezza che li riceve senza accagionare verun scuotimento irregolare, ed affettano l’immaginazione con tanta piacevolezza che li riceve senza contrasto. I nervi, che sono parti sì sensibili della nostra machina, necessarj in tutte le funzioni, non venendo indeboliti, l’economia animale conserva tutte le forze. Non essendo gli organi troppo tesi dal lungo pensare su di un oggetto che stanca tutte le fibre, la loro elasticità mantiene ogni vigore.

Partendo tutt’i nervi dal cervello, punto ove s’interseccano se esso non soffre verun disordine, gli altri nervi per naturale consenso risentendosi della medesima tranquillità, il temperamento non può mancar di divenire sempre più forte.

Se queste influenze del lavoro dello spirito sulla salute del corpo sono sì sensibili, chi potrà non esser convinto della necessità di stabilire principj facili, che non sieno capaci di troppo affettare gli organi intellettuali?

Questa sarà dunque una nuova ragione sì forte che le altre già esposte per muovere quelli a’ quali è confidata l’educazione degli adolescenti a ben guardarsi avanti di presentare agli alunni di codesta età idee elementari, se non sono accompagnate da tutta quella chiarezza e precisione che le fa ammettere senza ostacolo e servir di fundamento per far rapidi progressi nelle scienze più sublimi.

V. Salute; come si può conservare anche negli studj.

Le riflessioni dell’articolo antecedente mi conducono a ragionare dei mezzi di mantenere sani i temperamenti de’ miei alunni, che colla sovra esposta maniera non mancheranno di entrare in questa età con menti giojali ed amene e machine incallite nella fatica. La salute è il primo mobile della educazione. Un corpo gracile ed estenuato è incapace di lavori mecanici e ben presto soccombe anche negl’intellettuali. Un adolescente forte e robusto è ugualmente atto sì alle une che alle altre.

Comincierò pria a parlare dell’età dell’adolescenza. Varia secondo i cibi, i vestiti ed i climi. I temperamenti spiranti o vigorosi degli stessi genitori contribuiscono pur troppo a renderla o precozia o ritardata. Comunemente però questa bella e di tanti fiori ornata primavera della vita umana, questa general vegetazione sì delle facoltà del corpo che di quelle dell’anima, suol cominciar alla età di dieci, undici o dodici anni. Come poi si annuncia, quali sieno tutt’i di lei sintomi preziosi, non ho mancato d’indicarli.

Avendo già nella puerizia presentate molte sensazioni dolorose, non in modo di castigo ma sotto l’aspetto del piacere, continuerei ad affettarne i miei alunni anche nell’adolescenza. Vorrei che si aumentassero i gradi di dolore e che loro si rendessero più famigliari a forza di ripeterli. Già accostumati a vedere con indifferenza oggetti turpi e rivoltanti, ne offrirei in questa età altri ognor più difformi e mostruosi.

Se i colpi di pistole e fucili non erano capaci di accagionare scuotimenti perniciosi agli organi del loro udito, in questo nuovo periodo di vita soffrir potrebbero senza pericolo lo strepito orribile dei bronzi micidiali. Una batteria, rumori ancor più forti non darebbero scosse irregolari e troppo impetuose.

Mollezza, che rendi i nostri corpi languidi ed estenuate le spirituali facoltà dell’anima; che con più maniere ci avveleni i piaceri tutti della vita; che ci apporti in dono mille mali che conturbano la nostra fisica e morale esistenza; se stata sei allontanata dall’infanzia e dalla puerizia di codesti miei fanciulli, non verrai già ricercata per contaminarne l’adolescenza, che seguiterà a passare i suoi dì in quella graziosa semplicità di usi e costumi che pel ben nostro c’insegna la sempre mai sapiente natura!

Al nascondersi, nelle dolci stagioni, del sommo astro di luce, a cagion del rotolarsi che fa intorno il proprio asse il nostro pianeta, questa comune madre natura ci avverte esser le tenebre che la cuoprono un dolce invito per riparar col sonno la dissipazione di tanti necessarj umori. Al comparir che fa di bel nuovo il sole, dopo la regolar rivoluzione che fece la terra, la luce che ci è resa, se avvisa l’agricoltore di ritornare ai suoi rurali strumenti, comandare anche deve alla mia adolescenza di scuotere il sonnifero letargo per riprendere l’attività delle funzioni di una vita che cessa di essere tale ogni qual volta si osa perderne i periodi nella funesta indolenza.

Si deve in questa età diminuire il tempo che si accorda al sonno.[6] Sei ore, al più sette bastano a’ suoi bisogni; e se la notte eccede in lunghezza come principalmente arriva nel verno, se ne impieghi parte a far giuochi che seguitano ad accostumare gli adolescenti a sprezzar gli orrori immaginarj della oscurità, che non eccitano ribrezzo se non pell’ignoranza degli oggetti che ci circondano e pei pregiudizj di larve e spiriti che si osano presentarci fin dalla più tenera infanzia. Dico di passar parte delle notti troppo lunghe in giuochi, poichè quando anche i fanciulli avessero la maggior possibile disposizione allo studio, giammai non sarei per concedere di applicarveli al lume delle candele, il cui fumo è dannoso all’odorato ed i raggi irregolari offendono la retina, ed affettando i nervi ed i polmoni, indeboliscono con tutta la machina gli organi della vista. Quando poi gli accennati giuochi fossero sempre analoghi a’ loro studj, servirebbero allora di una duplicata utilità.

Al nascer del giorno sorta puro l’adolescente dal duro suo letto; riceva l’aria del mattino; contempli la magnificenza con cui i raggi solari fanno riflettere gli oggetti sull’orizonte; commosso da tali maraviglie, sorpreso da tante bellezze, farà questioni al precettor che lo accompagna sull’origine di sì gran portenti. Che bella occasione non è mai questa di parlargli con una rispettosa compunzione, qual era quella del gran Neutone, del Sommo essere increato e Creatore! Ridenti e grate essendo le circostanze, ameni gli oggetti che le producono, le idee di una credenza veramente sublime da lui verrebbero ricevute con piacere, trasmesse nello intelletto senza pena e contrasto; ben differenti di quelle altre idee troppo astratte ed oscure, che si sogliono dare accompagnate da definizioni sì difficili che non possono essere intese da’ più dotti istruttori, ed indi seguite da un pernicioso apparato di precetti e di dimostrazioni che si contrastano e che affettano disagradevolmente tutte le nostre sensazioni, che ci accostumano sì di buon’ora ai dubbj, quali col crescer di età ci guidano alla decisa incredulità, oppure alla stupidità o alla superstizione.

Il gelo, le nevi, la nebbia, la pioggia non devono impedir gli adolescenti a respirare l’aere del mattino, troppo necessario avanti di cominciar ogni applicazione sì di lavori manuali come degl’intellettuali.

In tutte le azioni dell’adolescenza l’esempio di chi la istruisce è pur troppo di una grande importanza sì ai progressi morali che ai fisici. Non si faranno dunque avanti i miei alunni dai precettori azioni che possano esser nocevoli alla salute. Gli atti collerici e segni delle passioni impetuose sieno allontanati dagli attenti loro sguardi, mentre se fossero osservati, tosto immitati arresterebbero allora al mezzo della carriera le migliori disposizioni di una utile educazione.

I studj più regolati di questa età non devono esser del genere degli accostumati nelle pubbliche scuole e collegj. Se si devono applicare i miei alunni in quest’epoca della vita la più propria a far rapidi progressi, non pretendo per questo di stimolarli ad un sedentario ritiro, che tanto disaprovai nella puerizia. Lo studio di questa età dovrà esser preso per sollievo. Si dovrà offrire agli adolescenti sotto l’aspetto il più piacevole. Non opprimere con minaccie o parole improprie e dure quelli che non mostrano inclinazione, corregger con bontà gli errori ed animar con lodi, applausi e carezze chi mostra maggiore attività ed attenzione. Dirò di più che il miglior metodo di animare i fanciulli allo studio si è di farlo destinare quasi in ricompensa dei buoni diporti. Parlando avanti di loro i precettori con dignità e grandi acclamazioni di tutti quelli adolescenti che riescono, e delle stesse scienze, arti e mestieri che imparano, credo che sarebbe il modo il più proprio ad introdurre ne’ cuori l’amor pello studio e la più cocente emulazione per meritarsi sì graziose e lusinghiere distinzioni dai loro istruttori.

VI. Nutrimento.

Ho già rimarcato che le maggiori rivoluzioni che sconcertar sogliono la nostra salute vengono dalla pessima scelta dei nutrimenti, ma più ancora dei modi di prepararli. Dimostrai quanto sieno perniciose al nostro temperamento le cucine rafinatamente delicate e lo stato infelice in cui perpetuamente si ritrovano quei parasiti che vanno in traccia delle più ricercate e più squisite vivande. Cerchiamo nel presente articolo d’indagare le ragioni per le quali cibi troppo sostanziosi sieno sì pericolosi, parlando in seguito di quelli che esser possono i più analoghi alla natura ed i più atti a soddisfare i nostri veri bisogni.

Insisto colla maggior forza su di un sì importante soggetto in codesta età, mentre essendo quella in cui si operano le più maravigliose rivoluzioni del nostro corpo sì machinali che intellettuali, è più che importante il ragionare come tal volta si ralentiscono o si sconvolgono pella colpa di chi veglia alla educazione degli adolescenti, a’ quali in sì fatta guisa, se non si otturano, si ralentiscono almeno le facoltà degli organi della circolazione del sangue e de’ fluidi e quelli del cervello e dei sensi. O fortunata mia adolescenza, se guidata da veri filosofi più non sarai minacciata da tante sventure!

I cibi accostumati nelle mense squisite vengono preparati e frammischiati con materie spiritose acri e talmente stuzzicanti che la digestione si fa con molta pena, restando il più delle volte imperfetta. La digestione pronta o ritardata decide della maggiore o minore quantità del chilo, il quale dev’esser troppo scarso se grande è la quantità delle vivande. Più delicate sono elle, maggiore dovendo esser la quantità che s’inghiottisce, più difficile per conseguenza la digestione.

Il signore professore Tissot c’insegna essere l’azione dei differenti organi quella che tira dagli alimenti i succhi analoghi ai nostri umori e che li cangia in nostra propria sostanza; prosiegue a spiegarsi colle seguenti precise parole: Se questi organi, dei quali lo stomaco è l’essenziale, sono troppo deboli per agire sopra una gran quantità di alimenti o sopra alimenti difficili a digerire, invece di esser cangiati in nostra sostanza, di essere ciò che si chiama assimigliate, si corrompono seguendo la loro propria disposizione a quella o a quell’altra specie di corruzione, e restano corpo straniero che irrita e non nutrisce.[7] Quelli che si accontentano di cibi semplici, non mangiandone una quantità eccedente al bisogno fanno una digestione sì perfetta che il chilo entra nel cuore e da questo passa al cervello senza pena, ove si rende più proprio del sangue ordinario a formare spiriti animali, che loro conservano non solo tutte le facoltà necessarie allo sviluppamento della machina corporale, ma quella della immaginazione, che presso degli adolescenti ghiottoni e parasiti divien languida, perdendo ogni vivacità e prontezza.

Non solamente nell’adolescenza ma in tutte le età abbiamo bisogno di conformarci alla maestra natura nello scegliere i nostri cibi. Collo allontanarsi della medesima rendiamo il sangue troppo rareficato o ben troppo grossolano, effetti ugualmente fatali che cercar dobbiamo di evitare se ci è cara in qualche modo l’armonica conservazione dell’equilibrio de’ fluidi, equilibrio da cui dipende intieramente la perfezione degli organi machinali ed intellettuali.

Il padre Mallebranche nella sua ricerca della verità così si spiega: Se il sangue è molto sottile, conterrà molti spiriti animali, e se è grossolano pochi. Se il sangue è composto di particole assai facili ad ardere nel cuore ed in altre parti, o molto proprie al movimento, gli spiriti collocati nel cervello ne saranno estremamente riscaldati ed agitati; se al contrario il sangue non si fermenta a sufficienza, gli spiriti animali saranno languenti, senza azione e senza forza. In fine, secondo la solidità che si troverà nelle parti del sangue, gli spiriti animali avranno maggiore minor solidità e per conseguenza maggiore o minor forza nel loro moto.[8]

L’azione dei fluidi sopra i solidi essendo in ragione della loro superficie, più sarà sciolto e diviso nel nostro stomaco il cibo, assai più sarà per facilitare la digestione. Per rendere i cibi più divisi e più sciolti, non vi è miglior metodo che di ben masticarli, azione che contribuirà maravigliosamente alla formazione del chilo, e di un chilo ben composto che accrescerà la forza delle fibre nel confundersi col sangue nella vena ausiliaria, da dove in seguito, frammischiato col sangue, va rendendosi al cuore, centro della sua circolazione.

Riflettendo sulla necessità di continuare a nudrir l’adolescenza come la puerizia co’ cibi i più semplici che non accagionino gli esposti sconcerti negli organi e nella circolazione de’ fluidi, non posso fare a meno di consigliare a chi veglia sulla educazione degli adolescenti a limitare l’uso delle carni. Non è già che io sostenga coll’autor dell’Emilio esser le medesime contrarie alla natura; la struttura anatomica del corpo umano proverebbe al contrario, ma bensì per la ragione che l’adolescenza è una età piena di calore ed in cui il sangue è nel movimento il più veloce, che non abbiamo bisogno di troppo eccitare. Le carni limitate ad una certa quantità formano un nutrimento convenevole nelle progressive età dell’uomo.

Insisterei di bel nuovo nel consigliare le erbe, laticini e gli altri vegetabili, se il grand’Haller, l’eruditissimo signor Tissot e varj altri medici illustri non lo avessero di già fatto con opere profunde e di una lettura interessante, perchè spogliate di tutte le pedanterie e ciarlatanismi dei quali ordinariamente si vestono molti impostori che credono non esservi modo più efficace di aspirare alla gloria di gran dottrina ed ai suffragi delle sapienti società dello stile oscuro, bitorzoluto e consueto delle mediche facoltà.

Non ho bisogno di avvertire che questi precetti risguardano piuttosto le figliuolanze de’ nobili e delle benestanti famiglie, non già quelle dei frugali agricoltori ed artigiani destinati ad un genere di vita più attivo e sobrio dalla stessa natura del loro stato.

VII. Esercizj.

Per isminuirvi tutte le sensazioni dolorose dalle quali è continuamente minacciata l’umanità, vi accostumai, nobili alunni miei, alle pene, al lavoro fin dalla puerizia e dall’infanzia; seguite pure, divenuti adolescenti, a sprezzare il riposo e la tranquillità che generano l’inerzia e la codardia. Alzati col giorno dal, come già dissi, duro vostro letto, correte, pria di occuparvi alle opere che esiggono i soccorsi dello intelletto, a procurarvi le forze del corpo che tanto influiscono sopra di quelle dello spirito. Indorate dai raggi del sole le cime dei monti, se li avete in vostra vicinanza aggrimpatele pur senza timore. I cammini scabrosi, pieni di sassi aguzzati, non ralentischino il vostro ardore nelle corse, le quali in questa età devono esser più longhe e più difficoltose. Diverrete così capaci di resistere ad ogni disaggio, riguarderete colla stessa indifferenza i calori soffocanti della state e gli orridi ghiacci del verno. Le più funeste rivoluzioni che possano arrivare alle vostre fortune non vi altereranno. Non conoscendo gl’immaginarj bisogni prodotti da una vita molle ed effeminata, in qualunque centro che la dura sorte vi ponga proprj vi troverete a sostenerne i pesi. Gli stati i più afflittivi e penibili non v’impediranno di aspirare alla reale felicità. Ringrazierete allora chi ebbe cura della vostra educazione di non esser divenuti esseri isolati, incapaci di vivere fuori da un dato elemento, ma atti ad abbracciar ogni genere di vita.

Non obbiettatemi che nobili essendo e ricchi, degradano il vostro stato pene sì dure. Genitori orgogliosi, impalliditi e pusillanimi, non tremate più pella sorte de’ vostri figliuoli. Cessate i lamenti, acquietate l’animo. Se gli esercizj faticosi mantengono allegri gli spiriti e sani i corpi, come non potrete approvarli? Quando anche minacciati non fossero dai rovesci della fortuna, che abbandonò talvolta i più superbi monarchi, credete forse che la salute ed il vigore disdichino ad un sangue illustre?

Giacchè vi bagnaste, alunni miei, nell’infanzia e nella puerizia, principiando con acque tiepide, poi fredde indi freddissime, seguitate ogni dì questo lodevol costume. Non accontentatevi di semplici bagni, ma nuotando sciogliete con libertà le vostre membra; un uso sì salutare faceva una delle giornaliere occupazioni degli adolescenti romani, sì dei plebei che dei patrizj; molte altre nazioni celebrate nella storia non lo negligentarono, ed anche oggidì lo osservai nella gran Brettagna ed in altri climi praticato nell’adolescenza e nelle altre età dalle persone le più cospicue pella lor nascita.

Se il nuotare è importantissimo alla salute, lo sarà molto più nelle acque salse del mare, i di cui umori insinuandosi nelle nostre fibre e nervi li rendono sempre più forti e robusti.

Parlai di acque freddissime; mi sembra però essere utile il rimarcare che acque di tal natura non converranno a quei fanciulli, che concepiti da genitori gracili e di un sangue corrotto, dovransi elevar con maggior cautela. Se con essi loro si cominciano bagni e nuoti in acque tiepide, si potranno accostumar poco a poco alle fredde, ma non decidersi pelle freddissime se prima non si è ben sicuro che abbiano cangiata la costituzione debole in un’altra del tutto opposta e forte.

Negli esercizj che faranno nello aggrimpar monti o nel correre impetuosi in pianure coperte di nevi e ghiacci, nei passeggi giornalieri, in tutte le stagioni abbiano sempre nudo il capo e scalzo il piè, dovendo però esservi già avvezzati dalla puerizia. Si aprirebbero i porri che sono rinserrati; sarebbe più libera la benefica traspirazione; non si unirebbero certi umori biliosi in gruppi pestiferi che impediscono con tanta malignità la circolazione del sangue; le digestioni e le secrezioni essendo più regolate, il chilo sarebbe in conseguenza più abbondante e meglio preparato. Ce lo consiglia Locke e J. J. Rousseau. Il buon Montaigne, col suo stile naturale, schieto ed eloquente, ne mostra con varj esempi la necessità. I filosofi dell’antichità lo praticarono ne’ loro utili sistemi di pubblica educazione. Quanto meglio non si svilupperebbe la machina in una età in cui la natura si ritrova nel moto il più accellerato?

In tutti gli esercizj ed azioni si accostumi la gioventù perfino dalla più tenera infanzia a non fare alcuna distinzione dalla mano diritta alla manca. Ben ha ragione Platone di dire che la natura non ha stabilità su di ciò alcuna differenza.[9] Non so al certo come un sì sensibile diffetto si sia trasmesso nella educazione con una sì inviolabile ostinazione.

VIII. Ballo.

Le arti dette cavalleresche sono un’altra specie di esercizio utile in più guise. Se ama il fanciullo nella puerizia a saltare e ballare, assai più l’adolescente. È un’arte a cui c’invita la natura, la quale dati avendo all’uomo gesti relativi a tutte le di lui differenti sensazioni, gli ha insegnata altresì la maniera di dipingere col ballo le diverse situazioni dell’anima. Ballavano i profeti, i sacerdoti, i filosofi. Quest’arte nell’antichità era impiegata non solo per celebrare le nozze, le coronazioni dei monarchi, le vittorie, le nascite ed i funerali degli uomini illustri, ma le glorie altresì de’ numi immortali, i misterj, gli oracoli e le più sacre cerimonie. Esprimino dunque ballando i miei nobili adolescenti istrutti da maestri abili la gioja ed il piacere che internamente circolano nelle loro vene. Accompagnati dagli strumenti musicali,[10] espongano pure con legiadria tutte le sensazioni del loro cuore. Questo solazzo sì innocente loro servirà maravigliosamente a fortificare i nervi e le fibre, a sciogliersi con ogni libertà. Imparerebbero a presentarsi con garbo e con modi graziosi, si manterrebbero sempre allegri e col divertirsi si renderebbero ognor più robusti. Il ballo va accompagnato della musica. Della necessità d’insegnarla ne ho già parlato.

IX. Cavalerizza.

Continui pure la cavalerizza ad occuparli nelle ore di sollievo. Leggiera la mano, sostengano la briglia, forte al bisogno reprimano l’impeto del fuocoso destriero; sciolte e libere le coscie e strette le braccia, mantengano i lor corpi in un perfetto billancio. Se montate da principio come i Numidi ed i Parti non avessero selle e staffe, quanto più forti diverrebbero nella bell’arte di ben diriggere un destriero? Sapendosi sostenere i miei nobili adolescenti con leggiadria sul dorso di spumanti corsieri in una postura diritta e libera che conserva l’equilibrio, quanto bello non sarebbe il vederli un dì divenir valorosi officiali, correre alla testa di bene armati ad agili cavalieri con un diporto sempre nobile e fiero?

X. Scherma.

La scherma è un altro esercizio utile alla nobile adolescenza. Sebbene elevati da filosofi sapranno vivere in modo di non provocarsi a sdegno, possonsi loro nulladimeno presentar molte occasioni nelle quali quest’arte esser può di molta utilità. L’obbligo di vegliare alla propria difesa è un sentimento ispirato dalla legislatrice natura. I metodi che insegnano di supplir coll’arte e colla destrezza ove manca la forza sono ben degni di trovar luogo nelle istruzioni di codesta età. Se non verranno attaccati da alcun nemico, loro si possono offrire belle circostanze di procurar ad altri il soccorso del lor valore, della loro agilità, della loro arte. Imparino dunque a presentare in profilo i corpi leggieri, a stendere il piè diritto con cellerità, a mantener fermo il manco, a riguardar con attenzione più dell’arme dell’avversario l’occhio che la guida, e parando i di lui replicati colpi, portarne con sicurezza nel di lui seno, ma più in quelle parti del di lui corpo che non lo possono uccidere, ma porre soltanto per allora fuori di stato di sostenere il combattimento. Avrebbero così il dolce piacere di farsi amici i nemici e di vedere avanti i loro sguardi monumenti generosi di umanità. Insegnando loro quest’arte, non si manchi d’ispirar sentimenti umani qual primo ed ultimo scopo di un esercizio che sembra altro non averne di mira se non l’altrui distruzione e morte. Di qual soccorso non sarebbe altresì alla salute, come per scioglier le membra e renderle sempre più incallite alla fatica?

XI. Vestimenti.

Se gli abiti stretti sono perniciosi nella puerizia, assai più fatali saranno nell’adolescenza, in cui il corpo fa la sua maggior cresciuta. Diminuiti i tanti lacci che ci avvincolano in ogni parte, abbiano i miei alunni abiti non tanto lunghi, ma larghi, comodi e leggieri. Gli accostumati da noi Europei, che pretendiamo di esser gente di senno e di buon gusto, sono i più incomodi ed i più nocivi allo sviluppamento delle facoltà animali. Quelli degli orientali e dei Polonesi sono i più proprj per tutte le età, ma assai più pell’adolescenza, che se ha da crescere, formarsi, aumentare in forza, in salute e mostrar tutte le di lei forze vitali, non vuole ostacoli, legami, impedimenti e prigioni.

XII. La necessaria riforma degli studj, altre volte sì difficile, quanto sia facile nel presente secolo.

Due secoli fa sarebbe stato inutile il proporre una riforma di studj. Molte sventurate nazioni vivevano sotto la forza del fanatismo. Altre cominciavano appena a scuoterne il giogo. Vertiginosi gli uomini di allora, ben lungi di poter fare attenzione ai modi di pervenire alla cognizione delle verità scientifiche, sempre armate, tenevano il brando; alcune mosse dalla brama di allontanarsi dagli errori che loro aveva dettati e trasmessi una imperiosa rivoluzione di superstiziose abitudini; altre correvano impetuose al macello senza risparmiare il sangue de’ fratelli, amici, teneri pargoletti ed amati genitori, guidati dall’ardore e dalla frenesia non solo di conservarsi fedeli alla loro credenza, ma di obbligare gli altri popoli a riconoscerla; sebbene per lo più non disputassero che di parole, il cui senso non era inteso dagli uni e sprezzato veniva dagli altri. Si può dire ancora che molte genti seminavano gli orrori delle più aspre guerre, condotti dagli uomini i più arditi ed avari, che loro persuadevano non esservi dono più grato avanti l’increata Maestà dell’Essere Supremo che preci ed olocausti tinti nel sangue forastiero e nazionale.

Non abbiate a male, o leggitori, che vi presenti sovente avanti gli occhj la trista serie di codesti sacri delitti, che vi annoveri le turpitudini del fanatismo. Amo gli uomini, nè mi posso dispensare di parlarne con frequenza per farvi conoscere quali sieno i più terribili nemici che temer dovete. Quanto mi stimerei fortunato se potessi pervenire a rendervi più cauti sulla conservazione della vostra felicità!

Un’altra difficoltà che impedita avrebbe la riforma degli studj era l’abitudine che si aveva di rispettare colla più profunda venerazione li sofistici paradossi delle scuole e l’autorità di Aristotele. Se erano imbarrazzati i precettori nello scuoprire l’origine di certi fenomeni fisici e metafisici, ricorrevano alle feconde qualità occulte del medesimo, le quali dispensando di ragionare, erano proprie a favorire l’ignoranza, l’inerzia e la stessa superstizione. È cosa assai sorprendente come questo filosofo sì esatto e sì profundo nel deffinire alcune importanti verità della morale e della storia naturale, non ci abbia lasciato che oscuri paralogismi nelle altre scienze. I suoi discepoli e le altre scuole di tutt’i filosofi dell’antichità, invece di recarci qualche rimedio, non fecero se non confermarci vieppiù ne’ di lui pregiudizj.

Languirono gli uomini durante molti secoli negli errori. I diversi popoli che scossero in parte il giogo della superstizione, resi dopo varie sanguinose guerre pacifici possessori dei privileggi che acquistati avevano colla loro costanza e valore, cominciarono a servirsi delle nuove prerogative che loro accordava la ricevuta libertà nel ragionare sopra il ben essere ed indi nel far tentative di altre scoperte in tutte le scienze. Avendo superati infiniti ostacoli ritrovarono molte verità. Non vi fu scienza che non acquistasse nuovi lumi, nuove cognizioni.

Una sì felice fermentazione di spiriti collo accrescere la curiosità ci avrebbe forse col volger di alcuni secoli guidati alla verità. Ma nacque nel seno di coteste speranze un ingegno creatore, che elevandosi in benefattore della umanità seppe abbreviargli il cammino. Questi è il gran Baccone.[11] Talento capace di tutto, sebben fortemente occupato a gerire una delle più difficili magistrature nella sua patria, trovava fortunati momenti per far la felicità di tutto il genere umano. Le diverse memorie che aveva da sè raccolte fra il tumulto degli affari digerì poi nel ritiro. Le disgrazie accagionategli dalla avidità di chi lo circondava si convertirono in beneficj per tutte le nazioni. Ceneri mai a sufficienza venerate, se subiste la crudeltà del destino allorchè un soffio di vita vi animava, se provaste l’ingratitudine della vostra età, ricevete gli omaggi dei posteri imparziali e riconoscenti!

Questo grand’uomo dunque ci mostrò l’arte d’interrogar la natura e di pervenire ai fatti, veri principi di un solido sapere. Un altro filosofo illustre dopo di lui c’insegnò la maniera di combinarli e compararli, e di tirarne le più esatte conseguenze. Cartesio è quel desso, che malgrado i suoi errori formò un discepolo sublime in Mallebranche. Contribuì più che non si pensa a produrre i molti talenti creatori, de’ quali ne ammiriamo in un co’ scritti i rispettabili caratteri e le celebrate memorie. Spiegando infine diversi fenomeni del primo, ajutò ad introdurre la buona filosofia, ad animarci a quella preziosa libertà che sradicando molti pregiudizj ed abusi inaffiò diversi spiriti felicemente organizzati di zelo e di amore pella verità, di cui continuamente si vedono maravigliosi portenti.

Rotte le funeste catene della troppo venerata antichità, smascherata l’ignoranza di que’ pedanti che per tanti secoli aveano usurpato il nome di sapienti, dissipate le tenebre di scienze immaginarie e calliginose inventate dal sempre misterioso fanatismo, siamo infine arrivati in un secolo di luce in cui parlar si può con ogni fiducia della necessità di riformare gli studj, giacchè alle tenebrose peripatetiche inezie sostituire si possono nozioni che riuniscono la chiara evidenza alla eleganza del gusto.

Il tempo che avranno impiegato i miei alunni in ischerzi e piaceri nella puerizia non si sarà già perduto. Se erano incapaci di riflettere serialmente sugli oggetti che loro si presentavano, a forza di vederli famigliarmente vi si saranno talmente accostumati che entrando nell’adolescenza troveranno preparata la via per fecondare le facoltà dello intelletto. Le nozioni che sono ora rare nella gioventù sarebbero perfettamente scolpite nella memoria all’entrare di questa nuova epoca di vita e faciliterebbero le istruzioni delle scienze le più difficili e le più astratte.

Non rattristatevi, nobili adolescenti, nella nuova carriera che vi prepara. Se abborrite gli studj che vi s’insegnano ne’ colleggj ed università, amerete quelli che vuo’ offrire alla vostra curiosità. Vi piaceranno non solo per l’amenità che rinchiudono, ma pel metodo facile con cui mostrar vi si devono. Chinato e steso il dorso sopra banchi non ralentirete gli effetti della digestione, ma passeggiando, discorrendo e scrivendo con attitudini comode, riceverete lezioni che piacciono; l’acquisto delle scienze non sarà in contraddizione colla necessità di conservarvi il vigore e la salute.

XIII. Alcuni mezzi per facilitare i studj.

Se avranno i miei nobili fanciulli tutti assieme passata la puerizia nelle città in case ben distribuite e situate in posizioni ove l’aria è più salutare; se a loro tutti indifferentemente saranno stati presentati con oggetti sensibili gli elementi di varie scienze, senza essersi particolarmente occupati ad uno studio riflesso, entrati nell’adolescenza converrà allora abbracciare un opposto sistema frammischiando i piaceri colle intellettuali occupazioni.

Questo nuovo genere di vita più non soffrirà di permettere che uniti in un sol luogo tumultuosamente e senza scelta s’istruiscono in cognizioni sì complicate. Qui si tratta di guidarli gradatamente e di non ammetterli a studj più composti se prima non saranno ben fundati ne’ più semplici. Per arrivare a questo scopo, sarà necessario separarli gli uni dagli altri, separazione che dovrà esser piuttosto calcolata dalla capacità dell’ingegno di ciascheduno che dall’età, la quale sempre non decide dei talenti, precozj in alcuni e ritardati in altri.

Dividerei l’adolescenza in sei epoche. Ognuna di queste dovrebbe durare un anno, due o tre mesi più o meno secondo i progressi. Sarebbe per conseguenza d’uopo fissare a ciascheduna delle medesime una particolar abitazione, avendo sempre la cura di situar tali domicilj vicini alle mura delle città e meglio ancora fuor delle medesime, ma poco distanti a cagione dei continui soccorsi che richieggono.

Siccome riescirebbe cosa dura e scabrosa per questi adolescenti l’abbandonare gli amici che si saranno fatti nella puerizia o nel corso dell’adolescenza, e che un cambiamento sì sensibile potrebbe renderli valetudinarj e malenconici, si dovrà dunque pensare a qualche nuovo spediente.

Lungi di volervi accagionare un tal cordoglio, vuo’ che seguitate, alunni miei, a mantenere fra di voi i consueti rapporti di vera amistà. Gli amici vostri vedrete ogni dì. Affinchè anzi si aumenti in ognuno di voi il piacer di scambievolmente vedervi, vuo’ che tutti assieme vi uniate per formar gli esercizj giornalieri che vi proposi di quelle arti nobili che procurar vi deggiono solazzi i più grati. Ballate pure a vicenda, mostrate in contradanze e menuetti l’interno gaudio che vi anima il cuore; assieme imprenderete a guidare un gentil destriero come a rendere i vostri corpi robusti ed agili co’ penibili e sani sforzi della scherma.

XIV. Studj della prima epoca.

Con quanti vantaggi non entreranno mai i miei nobili adolescenti nella carriera degli studj! Famigliari le massime elementari della morale e del diritto, conoscendo le situazioni delle diverse regioni, quelle del globo ossia la sfera, avanzati nella storia, nell’aritmetica e nella geometria come nell’uso della lingua latina senza avere avuto d’uopo di stancare le loro facoltà intellettuali, avranno acquistate non già nozioni immaginarie e chimeriche, ma cognizioni vere ed utili.

Vi è apparenza che i miei alunni all’entrare che faranno nell’adolescenza possederanno di già le quattro regole dell’aritmetica, i rotti, diversi conti di proporzione, e che sapranno estrarre le radici quadrate e forse anche le cubiche. In codesta prima epoca si dovrà finire d’insegnare quel che non potranno aver terminato d’imparare di una tal scienza nella puerizia e cominciare nello stesso tempo l’algebra; queste due scienze aprono il vero cammino alle altre, perfezionano le facoltà intellettuali e facile rendono tutto quel che sarebbe più scabroso e difficile.[12]

Locke in più luoghi delle opere sue ci avverte che senza queste due scienze far non potiamo in tutte le altre rapidi progressi. Mallebranche parlando dei modi di estender lo spirito e di dargli maggiore realità chiama in soccorso l’aritmetica e l’algebra; dice che queste due scienze insegnano il mezzo di abbreviare di tal sorta le idee e di considerarle in un tale ordine, che quantunque lo spirito abbia poca estensione, è capace coll’ajuto delle medesime di scuoprire compostissime verità e che sembrano a primo aspetto incomprensibili.[13]

L’aritmetica applicata agli oggetti è uno studio facile adattato alla debolezza della puerizia, ma l’algebra, esigendo una concezione più felice, volendo la capacità di abbracciar più rapporti, non può esser mostrata che nell’adolescenza; ma se poi una operazione di aritmetica scuopre una sola verità, questa stessa operazione fatta coll’algebra ne scuopre una infinità.

Se gli alunni miei nella puerizia avranno imparato a conoscere uno, due o tre elementi o regole di Euclide, nell’introdurli in questa prima epoca dell’adolescenza si avanzerebbero nelle altre con passi molto celeri mediante l’ajuto dell’aritmetica e dell’algebra. Finirebbero probabilmente in questa prima epoca la geometria semplice ed ordinaria, che per meglio scolpirla nella memoria dovrasi applicare, come ho già detto nel primo volume, ad oggetti veri e sensibili. Si mostreranno loro i principj di geografia colle carte.

Ci serviranno maravigliosamente le stesse carte nello studio che sì farà della storia, letta e spiegata col metodo il più ameno e facile affine di non istancare gli organi dell’attenzione. La storia è in sè molto piacevole, e per poco che si cercasse di facilitarne il modo d’insegnarla non si mancherebbe di ritrovare il più proprio a sempre più interessare la curiosità dell’adolescente. La storia è il vero teatro della vita umana. Parlerò in appresso della maniera con cui dovrebbe essere scritta quella che ha da servire alla istruzione de’ miei nobili adolescenti, se ha da fornire un campo ameno e vasto alle più necessarie riflessioni e da insegnare l’origine ed i progressi di tutti gli errori fisici e morali che furono e sono funesti alla umanità. La storia sarebbe, in questa guisa, come lo pensò Baccone, una scienza da sè sola sufficiente a far l’uomo saggio.

Il diritto, ossia i doveri ed i diritti dell’uomo unito in società, cominciato nella puerizia, sarà continuato e finito in questa prima epoca dell’adolescenza. Per diritto non intendo gli errori pubblicati da tiranni che non conoscevano i doveri dell’uomo; non voglio parlare di quello della pace e della guerra di Grozio, della natura e delle genti di Puffendorff, il pubblico di Germania, le diverse giurisprudenze, oppure quello de’ sovrani eruditamente esposto dall’abbate di Mably. Per principj di diritto qui altro non intendo di deffinire se non quelle massime semplici ed elementari che ci fanno conoscere le prime regole del giusto e dell’ingiusto, cioè i veri cardini della nostra felicità. Burlamachi ne’ suoi Principj del diritto naturale si esprime in vero con chiarezza maggiore di quel che non lo fecero i di lui antecessori. Hubner ne mostra varie massime utili a meditarli. Da questi e da altri autori si potrà facilmente raccogliere un breve sistema, senza aver bisogno di appesantirsi in certi voluminosissimi libri, ne’ quali conviene annojarsi con fastidiose erudizioni prima di trovare una qualche verità.

Il disegno è un altro trattenimento necessario in questa prima epoca. Gli alunni miei lo avranno cominciato nella puerizia con molto piacere, e con ugual diletto lo continueranno nell’adolescenza. Desta il genio alla pittura, all’architettura ed alla scoltura; insegna a tener la mano leggiera ed a formar con chiarezza e precisone i caratteri nella scrittura. Si deve però guardare che gli adolescenti non vi prendino un piacer troppo deciso ed esclusivo, mentre perderebbero allora quello degli altri studj più utili. Si dovrà anche far grande attenzione che nel disegnare troppo non curvino il dorso, attitudine in più guise nociva alla salute.

Siccome la principale idea che mi propongo con questi saggi si è il ben essere generale e particolare di tutti e di ogni individuo che formano le società, così la prima scienza che ho di mira nella educazione di tutti gli stati si è la natura, i cui insegnamenti soli possono guidare ad una stabile felicità.

Prendendo per base questo indelebile principio, tutte le scienze ed arti che s’insegneranno a’ nobili alunni devono partire e riunirsi in codesto grande scopo, affine di ottenere il solo intento che dobbiamo desiderare, di rischiarire gli uomini sui loro veri interessi, preparando così quel solo genere d’istruzioni che possono contribuire alla prosperità di tutti e di ognuno de’ membri componenti qualunque società.

La scienza dell’economia politica potrebbe essere invero insegnata nello spazio di una o due epoche nell’adolescenza; ma siccome è della maggiore importanza possibile che i nostri alunni non ne dimentichino nel corso della lor vita veruno de’ luminosi suoi principj, la dividerò in sei parti, secondo le sei epoche; acciocchè in sì fatto modo tutt’i precetti che rinchiude sieno mostrati colla maggiore evidenza e facilità, e che si scrivino con caratteri inscancellabili non solo nella memoria ma ne’ cuori.

Finite le elementari spiegazioni dell’indicato diritto naturale, s’incomincierà ed entrare nella carriera economica, di cui abbiamo guide eloquenti e sicure.

Il primo nostro passo consisterà nell’esame della proprietà. Accostumiamo di buon’ora i nostri alunni ad avere in orrore tutt’i sentimenti che tendono ad alterarla. Mostriamo loro i perniciosi effetti della immaginaria uguaglianza, che non può sostenersi se non coll’entusiasmo della ignoranza e che non può esser cagione di una numerosa popolazione, perchè si oppone ai progressi dell’agricoltura. Insegnamo loro che tutti i discorsi che ispirano l’uguaglianza sono discorsi rei e sediziosi, non essendovene de’ più perniciosi; che gli uomini non si sono portati a formare le città e le repubbliche che per conservare ciascheduno il proprio avere; che sebbene la natura li porta ad unirsi ed a vivere in società, altro stimolo però non li animò a fabbricare le città, nè li ha costretti a ritirarvisi per vivere in pubblici asilj, se non la speranza di godere i loro beni con sicurezza.[14] Facciamo in guisa che sieno persuasi che l’agricoltura non può fiorire senza la sicurezza nella proprietà, che le società che non sono agricole non possono avere una forma permanente e che simili stati non meritano il nome di governi ma di anarchie.

Per ajutare la memoria degli alunni a concepire tutte le idee che si rapportano alla proprietà, sarebbe necessario il dividerla in tre parti: 1° proprietà de’ terreni, 2° proprietà personale, 3° proprietà mobiliare.

Nell’insegnare la proprietà de’ terreni, facciamo vedere essere impossibile di aspirare al maggior numero possibile di produzioni se il proprietario di un terreno non ha la facoltà libera di dare al medesimo terreno che occupa quel genere di coltura più conforme alla propria volontà e di farne tutti quegli usi che stimerà i più convenevoli al proprio interesse o piacere; che ogni limite od ostacolo con cui si osa contaminare questa proprietà, collo sminuire la sicurezza dell’uso de’ prodotti, annichila molti prodotti, e per conseguenza la sussistenza e le soddisfazioni, e con esse la popolazione. Qui si possono passare in revista le perniciose conseguenze delle proibizioni di piantare o seminare certe derrate o l’obbligo di coltivare altre derrate. Questo sarà un vastissimo campo di ragionamenti sulla vera origine de’ contratti e di tutte le altre leggi positive e naturali.

La proprietà personale ci darà anch’essa un fundo inesausto di belle riflessioni sulla libertà che l’uomo aver deve di disporre di sè a suo piacimento; di fare de’ suoi pensieri, delle sue parole, delle sue forze, delle sue facoltà fisiche ed intellettuali ogni uso possibile purchè non limiti le funzioni dell’altrui proprietà personale. Vedrebbero i miei alunni quanto rivolta la natura lo sforzare l’uomo piuttosto ad un impiego che ad un altro, e quanto sia funesto alla prosperità di una nazione il costringere i cittadini a qualunque dato genere di azioni che si trovano in contraddizione colla propria volontà. Piacesse al cielo che i reggitori de’ popoli si convincessero di tutte le verità contenute in quella della proprietà personale; non vedremmo più sforzati recrutamenti che spopolano le campagne, le arti ed i mestieri, l’autorità paterna estendersi sulle unioni coniugali; svanirebbero i regolamenti e le proibizioni in una infinità di oggetti che sminuiscono cogli avanzi le riproduzioni della terra.

Faremo scorgere infine nella proprietà mobiliare[15] la libertà che ogni uomo aver deve nel godimento de’ frutti del suo lavoro e nell’impiego di ogni bene che possiede, acciocchè i prodotti sieno assicurati al lavoro, all’industria ed a qualunque genere di avanzo, mentre l’uomo è laborioso o fa speculazioni costose in ragione della sicurezza che ha di raccoglierne i frutti, dipendendo poi dalla quantità e dal libero impiego degli avanzi la quantità delle produzioni. Questo genere di proprietà dipende dalle altre due già indicate proprietà, posciachè se non ho la facoltà di disporre a mio piacimento di tutte le mie ricchezze mobiliari, manco allora di sicurezza nella proprietà personale e la mia proprietà originaria non ha più una forza inviolabile.

La proprietà sarà dunque lo studio economico della prima epoca de’ nobili adolescenti, giacchè è il più inviolabile fundamento di ogni società. Non indico se non le cose generali, non intraprendo che le deffinizioni elementari ed il metodo con cui deve essere studiata la gran scienza della prosperità sociale, mentre sapienti essendo gl’istruttori sapranno dilatare ed abbracciar tutte le idee e precetti che rinchiude.

Questa proprietà non è solo da osservarsi fra il governo ed il corpo governato, ma bensì di nazione a nazione, poichè la giustizia universale, il vero diritto pubblico esigge che una nazione non trasgredisca le leggi essenziali della proprietà, sicurezza e libertà delle altre nazioni, la natura avvertendoci esser leggi ingiuste e contrarie alla nostra prosperità nazionale quelle che offendono l’altrui prosperità nazionale. Se i miei alunni pervenissero al supremo ministero nazionale non saprebbero suggerire al legislatore che di togliere tutti gli ostacoli, proibitive, monopoli, regolamenti, prerogative che ralentiscono l’agricoltura, la libertà de’ trasporti dell’industria e del lavoro delle altre nazioni come contrarie al diritto naturale.

Ecco gli studj ai quali destino i miei adolescenti in codesta prima epoca. Non potranno già sembrare troppo difficili se si riflette ai modi piacevoli con cui si devono ammaestrare.

La lingua latina, la greca, la francese si continuerà ad insegnarle senza noja. Le parleranno alcuni precettori talvolta invece della favella volgare. Siccome questa poi, cioè la nazionale, è sempre la più necessaria, si avrà cura di discorrere alla presenza degli alunni con purezza, servendosi di termini e di parole esatte e chiare, che deffiniscono colla maggiore precisione. Lungi sopra il tutto dalle orecchia de’ mie nobili alunni tutt’i sucidi barbarismi di uno stupido dialetto.

XV. Epoca seconda.

Bene avanzati nella geometria, finita tutta l’aritmetica, acquistati gli elementi dell’algebra, condurrei i miei nobili alunni colla scorta del calcolo, del compasso e degli altri strumenti nelle matematiche. Qui mi si presentano machine ed operazioni infinite per rendere sempre più fertili le terre, per difender la patria contro de’ nemici e perfezionare le arti, le manifatture ed i mestieri.

Essendo queste machine perfettamente legate alla fisica esperimentale, non si potrà fare a meno di cominciare in quest’epoca una tal scienza, scienza che insegna a conoscere i corpi, le loro estensioni, figure e mobilità e dimensioni tutte che si prenderanno con maggior esatezza, mediante l’ajuto del calcolo, di quello che far lo sieno capaci i semplici sensi. Questi possono benissimo far vedere la mobilità, facoltà comune a tutti i corpi, ma non già i gradi diversi della sua celerità, che non potranno giammai esser meglio deffiniti che dal medesimo calcolo, il quale solo misura con accuratezza le forze del liscio, delle superfici, delle quantità di materie che compongono ogni corpo, le resistenze riguardo alle masse, ossia forze d’inerzia, e l’altra forza di ostacolo che si trova nelle materie o corpi stranieri fra i quali deve dirigere ogni dato corpo il suo cammino.

Da quanto qui ho detto voglio solo conchiudere che il calcolo dovrà guidare i miei nobili adolescenti sì nel corso delle matematiche che in quello della fisica esperimentale.

Il calcolo è l’origine di ogni evidenza. Facilitò la navigazione, fece scuoprire nuovi continenti, nuovi fundi di commercio. Ci colmò di mille doni diversi; nelle mani del vero filosofo guidate dalla profundità del genio misura gli spazj immensi della natura. Approssima gli oggetti i più lontani, li divide, li sottodivide e ne regola il moto. Scuoprendo i principj di ogni fenomeno perfezionò l’optica, l’astronomia, l’idraulica, l’idrostatica ed una infinità di altre scienze ugualmente utili e sorprendenti che amene e dilettevoli. Conobbe nuovi fluidi ed i loro effetti ignorati dai pensatori i più illustri dell’antichità. Colla scorta del medesimo i gran maestri nella economia arrivarono a scuoprire sì luminose e sì utili verità.

La fisica dunque guidata dal calcolo farà conoscere con esatezza a’ nostri alunni le proprietà de’ corpi naturali, i loro fenomeni ed effetti, movimenti ed affezioni diverse, proprietà che tutte si riducono, come lo spiega Musschenbroeck, a tre sorte di oggetti, cioè il corpo, lo spazio ossia il vuoto, ed il movimento, proprietà che agiscono secondo certe leggi e corpi che si riducono a quattro specie: 1° animali, 2° vegetabili, 3° fossili, 4° quella dei corpi dell’atmosfero, ognuna delle quali specie si divide in molte altre specie, governate da un assai maggior numero di leggi particolari che di leggi generali che si scuoprono colle sperienze, come quelle della chimica, dell’idrostatica, della pneumatica, dell’optica e di molti altri simili rami sì piacevoli che interessanti.

Nella vastissima regione delle umane cognizioni non ve ne sono certamente di più utili di quelle che dipendono dalla fisica esperimentale. L’ignoranza della medesima ha strascinati una moltitudine d’innocenti ai più ontosi patiboli condannati da giudici atrabilari, ha fatto inventare mille sette perniciose, ha formati tiranni, ha create opinioni funeste alla umanità, ha indotto tanti popoli nelle più assurde e più atroci superstizioni, ha confusi tutti gli oggetti che interessano la conservazione dell’ordine naturale ed ha impedito infine l’accesso di tutte le verità essenziali all’uomo, facendo tal volta accusare e insensatamente punire illustri filosofi da coloro che ne dovevano sostenere le sì avvantaggiose e consolanti dottrine.

Se la fisica, e principalmente l’esperimentale, fosse insegnata da professori approvati da una universalmente conosciuta riputazione, ne arriverebbe al certo una pronta e benefica rivoluzione in tutte le altre scienze e nella morale. Cittadini illuminati ne’ veri suoi principj non ricorrerebbero a cagioni sopranaturali e maravigliose che sono fondate nella ignoranza, non implorerebbero il soccorso del fanatismo per ispiegare i continui fenomeni da cui siamo circondati. Gli errori popolari svanirebbero dalla superficie della terra. Gli uomini non sarebbero sì crudeli e la loro religione sarebbe più pura, perchè destituita di tutte quelle favole che la contaminano.

Questa scienza spianerebbe la via a’ miei alunni per istudiare tutt’i i principj dell’ordine sociale. L’economia politica coll’ajuto della stessa s’introdurebbe con celerità nei loro intelletti. Le verità le più profunde che contiene si renderebbero famigliari. Si dissiperebbero tutte le difficoltà. Non si oserebbe allora resistere alla evidenza della marcia rischiarita ed essenziale della natura. Non si formerebbero dubbj e contrasti sopra i più chiari precetti che interessano il ben essere degli uomini uniti in società. Vedrebbero che la proprietà, la libertà, la sicurezza, che fanno multiplicare colla sussistenza e coi godimenti la popolazione, non sono che un puro ed incontestabile risultamento di quelle stesse leggi che si ammirano nell’esaminare con attenzione tutte le proprietà e qualità de’ corpi diversi mediante gli esperimenti con cui si annalizzano.

Questa scienza è divenuta ora più facile di quanto lo era ne’ secoli passati, dappoi che il gran Newton scosse il giogo delle congietture e delle ipotesi, o che ne diminuì almeno l’ascendente. Colle esperienze, la geometria ed il calcolo, distrusse i torbilioni di Cartesio, rese palese la forza che mantiene colla gravitazione i pianeti nei loro orbiti, insegnando le leggi del movimento e quelle della luce colla di lui optica.

Si comincieranno gli elementi della cosmografia insegnati con regolarità e mostrati ai sensi con globi e sfere che veder si possono e toccar con mano. L’esempio di una palla come lo indicò Galileo spiegherebbe le differenti fasi della luna. Facendo agirare intorno alla stessa una fiacola che ne lasci vedere ora il quarto, ora la metà, e che la lasci invisibile quando fra la palla e la fiacola si pone un corpo opaco, si farebbero conoscere le rivoluzioni di questo pianeta, quanto basta di una tal scienza nella seconda epoca.

I primi elementi di questa scienza, che è un ramo della fisica, renderebbero più agevole e più utile lo studio della geografia, studio che ha una sì gran conessione non solo colla storia, ma con quello della economia politica.

Il disegno sarà qui di una grande utilità. Esaminando le machine, potranno delinearle con esatezza, conoscerne sempre meglio gli ordigni, comprenderne assai più facilmente le complicate teorie e scolpirle nella memoria.

Si continuerà in quest’epoca ad insegnare la lingua greca, la latina e la francese col modo mentuato, e servendosi anche nelle indicate istruzioni di libri scritti in queste tre lingue. Si seguiterà parimenti la spiegazione della storia.

In quest’epoca vorrei che si cominciasse non solo la fisica esperimentale, ma la mentale. Nella prima gli antichi ci possono servire di soccorso, principalmente nell’arte di far machine, coltivata in ogni tempo. Nella fisica mentale, ossia nella mecanica ragionevole, non seguiteremo che i moderni, mentre in questa scienza da Aristotele fino a Cartesio i filosofi seguivano le opinioni popolari, ignorando la natura del moto e non conoscendo altra forza che l’impulsione, forza che non solo non è causa, ma nemmeno effetto generale e costante in ogni materia; poichè è dimostrato che non esiste ne’ corpi in riposo, e che ne’ corpi slanciati non sussiste che breve tempo, venendo distrutto dalle resistenza che incontra ed avendo bisogno di nuove impulsioni per esser rinovata.

L’economia politica ci presenterà in quest’epoca il teatro sublime ed interessante dell’agricoltura. Nutrice del genere umano! Che sarebbero gli uomini senza di te? Tu sola li conservi, li multiplichi e li rendi felici!

Sarà cosa essenziale il fare un’ampia e sensibile dimostrazione di tutt’i precetti che i gran maestri nella economia ci danno di codesta prima scienza. Insegnamo ai nostri alunni come il solo lavoro dell’uomo, per infaticabile ed industrioso che sia, appena è sufficiente ad alimentarlo colla sua famiglia, come ogni coltura, che non ha altro stimolo che il lavoro, non è capace a procurare ad una nazione la sussistenza e molto meno la prosperità. Queste prime verità serviranno a confermarli in quelle che abbiamo già esposte contro il sentimento distruttivo della uguaglianza. Vedrebbero come i terreni ripartiti fra tutti gli uomini componenti una nazione non possono dare una quantità sufficiente di produzioni per istabilire un pubblico deposito di opulenza tutelare e di difesa, e quanto difficile sarebbe altresì un simile riparto per la differenza fra i terreni, la forza e l’industria degli associati.

Dopo l’esposizione energica di sì chiari principj parliamo degli avanzi che la terra esigge da chi la coltiva per ottener il maggior numero possibile di produzioni e di riproduzioni perpetuate con ostinazione.

Distinguiamo gli avanzi in tre specie principali: 1° avanzi originarj, 2° avanzi primitivi, 3° avanzi annui.

Descriviamo con ogni dettaglio i nivellamenti, le fosse, gli edificj, le piantazioni elementari ed altre simili spese originarie necessarie a muovere e lavorare qualunque terreno ch’era incolto, affine di fissare con precisione in che consistono gli avanzi originarj.

Negli avanzi primitivi annoveriamo pure gli strumenti ed utensili di ogni genere, gli animali domestici, piccioli e grandi armenti, pollami ec. ed altri animali necessarj sì al nutrimento de’ coltivatori ed operaj come per ingrassare le terre.

Non ismentichiamo negli avanzi annui i salarj e la sussistenza degli uomini, la sussistenza e custodia degli animali, come altresì le sementi, facendo vedere il giusto rapporto fra questi diversi avanzi. Cioè per esempio che due mila lire di annui avanzi suppongono dieci mila lire di avanzi primitivi, e questi altri mille d’interesse per mantenerli, e così in proporzione gli avanzi originarj e loro conservazione per mantenere una terra feconda colla gran coltura, che tende alla maggiore quantità possibile di riproduzioni.

Dobbiamo render ragione in questa epoca della differenza che passa fra il proprietario ed il fermiere, e del diritto inviolabile di coltivare a suo piacimento quel terreno di cui ne paga parte del rapporto al primo che gli accorda il potere di lavorarlo. Siamo tenuti fra questi precetti d’inculcare il dovuto rispetto verso quegli uomini che sanno colla quantità di avanzi far multiplicare i prodotti delle terre, mentre da essi dipende l’aumento della popolazione e della opulenza tutelare e nazionale. Palesiamo ai nostri alunni la somma necessità in cui si ritrova qualunque governo di risguardare con venerazione e riconoscenza lo stato dei fermieri e coloni, ossia la classe coltivatrice, e di operare in maniera d’incoraggirla, di sorte che il migliore impiego delle ricchezze mobiliari ossia il modo di multiplicare la propria opulenza consista in avvenire in quello della coltura delle terre.

Ragionar dobbiamo co’ nostri alunni della differenza fra la grande e la picciola coltura, e la differenza sopra il tutto nella quantità delle loro produzioni. Procuriamo di mostrare col calcolo il più esatto non solo la differenza della grande e della picciola coltura con diversi esempj parlanti, ma come ve ne sieno tre sorte di grande e tre sorte di picciola coltura, e come tutti questi perfezionamenti e degradazioni di vere ricchezze dipendono essenzialmente dalla più o meno perfezionata o diffettosa forma di governo, acciocchè conoscano con certezza la conessione che tutti gli errori politici hanno coll’agricoltura, ed in qual guisa si risente, e con questa la popolazione e tutte le ricchezze nazionali nell’esercizio diffettoso o tirannico dell’autorità legislativa e tutelare.

Non abbandoniamo le istruzioni sull’agricoltura e non passiamo alla terza epoca senza avere prima ragionato di tutte le qualità di colture e della diversità de’ loro avanzi. Imparerebbero in questo modo che le vigne, i giardini di frutti e di legumi vogliono una quantità assai minore di avanzi primitivi e maggiore di annui avanzi che la coltura dell’aratro; che i boschi, i prati ec. esiggono pochi avanzi annui e pochissimi avanzi primitivi, non riducendosi le spese che a poche opere ed alla raccolta, ma bensì una buona quantità di avanzi originarj.

Insistiamo con forza contro ogni genere di tirannia che impedisce con fatiche irregolari ed illegittime i lavori de’ coltivatori, facendo sentire tutte le funeste conseguenze delle opere coercitive di pubblici cammini ed altre che distornano l’agricoltore dalle sue opere essenziali. Ispiriamo orrore per tutti quei regolamenti con cui si pretende dar comandi assurdi ai coltivatori, il cui lavoro è troppo prezioso alla umanità per limitarlo col menomo ostacolo. Impieghiamo tutta l’eloquenza possibile per convincere i nostri alunni essere crudelissime tutte le leggi che obbligano i coltivatori a comparire a certi mercati, a risico di far perdite nella vendita delle loro derrate, perdite che sminuendo gli avanzi di ogni genere sminuiscono colla quantità delle riproduzioni la sussistenza e le soddisfazioni, e con queste la popolazione nazionale. Non si passi alla dimostrazione di una nuova verità se le precedenti non furono intese, mentre la vera economia politica non è già un codice di opinioni, ma un incatenamento delle più sacre verità, che devono essere insegnate con un metodo geometrico.

XVI. Epoca terza.

Conosciute mediante le lezioni dell’epoca precedente le leggi del moto semplice e composto, le forze centrali, quelle del peso, si avanzerebbero i miei alunni nell’esame delle machine e ne prenderebbero lo spirito d’invenzione, per concorrere alla formazione di altre di vera utilità, sì per accellerare i lavori produttivi dell’agricoltura che quelli dell’industria e per tutti gli altri usi proprj ad accrescere ogni genere di comodità e soddisfazioni.

Inoltrati nel calcolo i miei nobili adolescenti e nelle matematiche, che sempre continueranno ad approfondire come altresì la fisica esperimentale, comincierei in questa terza epoca lo studio di tre altre scienze, cioè la storia naturale, la medicina e la chimica.

Non principierei la storia naturali dalla teoria della terra, nè tampoco dall’uomo. Avranno gli adolescenti già percorsa la prima cogli elementi della geografia e collo studio della cosmografia; e la cognizione del corpo umano la separerei del tutto dal tronco della storia naturale per unirla inseguito alla medicina.

L’introito della storia naturale sarà il regno animale per venire al vegetabile, ed indi al regno minerale. Osservino pure le molte stupende maraviglie, le contemplino guidati dall’occhio filosofico di Aristotele, di Plinio, di Reaumur, Linneus, Gessner, Buffon ed Aubenton, Bomare, Bonnet, Spalanzani ed altri celebrissimi osservatori che molti segreti ci scuoprirono, degni invero degli sguardi dell’uomo che brama di meditare.

Quanti errori prodotti da una stupida ignoranza, resi sacri sotto gli auspici onorati di gualche uomo illustre, non si dissiperebbero per far luogo alla sublime realità, della quale unicamente proporre ci dobbiamo di andare in traccia. Si ricorra a’ buoni telescopi per supplire coll’arte dei vetri ciò che naturalmente veder non si potrebbe.

Quante belle ed importanti verità non colpirebbero l’immaginazione de’ miei adolescenti, di quante cose fallaci credute ciecamente dal volgo non si disingannerebbono? Non crederebbero al certo con molti antichi filosofi che le materie putride, la cui corruzione non è se non un dislocamento delle parti che cangia lo stato de’ molecoli ne’ corpi misti,[16] possa generare corpi dotati di organizazioni, mosche, vermi ed altri insetti.[17] Si persuaderebbero con evidenza che detti animaletti hanno una origine più nobile e più illustre; vedrebbero che le madri attirate dall’odorato verso quelle materie nelle quali vi trovano i più succolenti lor cibi, vi si portano non solo per nutrirsi, ma per ivi deporre le loro uova, che trovandovi i necessarj gradi di calore si rendono feconde e si covano, affinchè al sortire dei guscj abbiano preparato avanti di loro il bisognevole nutrimento.

O mirabili portenti del Divino Artefice! Opere grandiose della increata onnipotenza! Chi le vede, chi le esamina parte a parte potrà forse cessare di adorarti, di riconoscer la tua prescienza, la tua forza, di esser penetrato pegli infiniti beneficj da’ quali ci vediamo circondati e con cui tu colmi l’umano genere di grazie e di favori?

Non imprenderò ad esaminare i rami folti ed ornatissimi di foglie del grand’albore di questa scienza sublime. Non sarò sì ardito d’indicare le leggi con cui agisce natura in tutte le più segrete rivoluzioni. Tutte sono profunde nella loro semplicità, tutte sono sublimi ne’ loro principj, tutte annunciano con sommi applausi il Grand’Essere supremo che le governa. Intieramente compunto nel mio cuore dalla più profunda ammirazione, finirò col dire che la storia naturale ci prova con maggior forza ancora l’esistenza di Dio di quella che impiegar sogliono gli inventori de’ sofismi per distruggerla co’ loro mal tessuti paralogismi.

Se pella maggiore facilità d’imparar questa scienza abbiamo separata l’anatomia, non intendo però se non l’anatomia del corpo umano, e non già quella degli animali sì ben dimostrata dal sigr. d’Aubenton. Gli albori, gli arboscelli, i legumi, i frutti, i fiori, tutte le piante ed erbe hanno parimente la loro anatomia, che osservata coll’occhio e tal volta col soccorso de’ vetri ci renderà sempre più facile lo studio dell’agricoltura, ramo principale della medesima storia naturale, cercar dovendo gl’istruttori nel dimostrarla di tutto rapportare alla maggiore intelligenza della scienza governativa.

Colla storia naturale studieranno i miei nobili alunni la medicina, ma sotto altri istruttori. L’anatomia degli animali fornirà molti lumi a quella del corpo umano. Se vi si applicassero i medici nella investigazione dei corpi de’ quadrupedi, degli uccelli, de’ rettili e perfino degl’insetti, scuoprirebbero arcani che loro scioglier farebbero una infinità di questioni che restano tuttavia sì problematiche. Non istudierebbero della medicina se non i primi elementi, mentre le lezioni più difficili di questa profundissima scienza vanno riserbate pella quinta e sesta epoca.

Non è possibile, non dico di approfundire, ma nemmeno d’imparar gli elementi principali di queste due scienze in una sola epoca. La storia naturale e la medicina hanno moltissimi rami, ciaschedun de’ quali forma una scienza estesa. Se desideriamo che i nostri alunni prendino delle medesime i più sodi principj, non vi è dubbio che si dovranno continuare le dimostrazioni, come ho già detto, durante le tre epoche seguenti.

La storia naturale e la medicina vogliono l’ajuto della chimica. La storia naturale descrive le produzioni della natura, la medicina le applica agli usi utili alla conservazione della salute, ma la chimica internandosi nelle più segrete proprietà e facoltà delle medesime dà le definizioni le meglio analizzate. Il di lei impero si estende ne’ tre regni. I suchi, i sali, gli acidi estrae dai corpi animali e vegetabili; e ad essa sola si aspetta il conoscere i minerali ed il separare l’uno dall’altro metallo.

La chimica è quella che co’ suoi forni, cruciuoli, matarazzi, cocurbite, maniche d’Ipocrate ed altri simili vasi e strumenti compone e discompone tutte le produzioni della terra, pesandone gli elementi. Col fuoco forma operazioni diverse con cui presenta la natura sotto tutti gli aspetti i più varj ed interessanti. Opera le maraviglie le più sorprendenti e nello stesso tempo le più utili alla nostra salute, al perfezionamento dell’agricoltura, a quello delle manifatture, delle arti, dei mestieri e di tutte le umane cognizioni. Anch’essa è un mezzo efficacissimo per condurci alla dimostrazione dell’esistenza di un Essere Supremo e per allontanarci da tutte le opinioni superstiziose, per guarirci così di ogni genere di fanatismo.

Allontaniamo de’ nostri alunni tutti gli spiriti tenebrosi, tutti quei falsi professori infatuati delle vane e chimeriche speculazioni dell’alchimica, scienza immaginaria di cui tanti impostori si servono per sedurre l’altrui imbecillità e porla a tali contribuzioni che rovinano in un colla fortuna la stessa salute.

Se l’alchimica colle sue pretese chiavi, co’ falsi, oscuri e superstiziosi enigmi dei Filaleti, Valentini, Paracelsi[18] ed altri simili autori mistici è propria ad ingannare l’incauta e sperante ignoranza guidata dalla venalità, la chimica poi ne dissipa le tenebre caliginose, apre lo intelletto ed è una fonte di deliziosi piaceri.

Cerchiamo dunque per professori veri filosofi, che co’ lumi i più estesi nella fisica sieno capaci coll’ajuto delle esperienze di guidare i nostri alunni nella scoperta de’ più utili segreti della natura. Lo studio della chimica dovrà anche esso durare due o tre epoche.

Gli stabilimenti della educazione dei nobili alunni dovrebbero esser forniti di ben diretti laboratorj.

Ne’ gabinetti di storia naturale si devono trovare gli animali disseccati, scheletri e tutti gli oggetti i più necessarj alle giornagliere dimostrazioni, che produrranno frutti infinitamente più copiosi della lettura.

Qualche giardino botanico sarà al pari necessario. Ivi imparerebbero i nostri alunni le nozioni delle piante ed erbe, le loro qualità e proprietà ed il modo con cui devono esser coltivate.

Si continuerà in questa terza epoca il disegno. Impareranno a delineare e dipingere animali, minerali, piante, erbe, fiori ed altri vegetabili per facilitare vieppiù la storia naturale. Si disegneranno le cocurbite, gli alambicchi, i materazzi, fornelli, cruciuoli, tutt’i vasi e stromenti necessarj alla chimica; come altresì a suo tempo le parti esterne ed interne del corpo umano, e tutti gli altri oggetti che interessano la medicina e le altre cognizioni che giornalmente collo studio si acquistano. Si scolpirebbero sempre più profundamente nella memoria, che le riterrebbe allora senza grave fatica.

Quanto alle lingue sapienti, ne avremo in questa epoca un gran bisogno. I principj della medicina d’Ipocrate, di Galeno, de’ medici greci, latini, arabi e di altre nazioni sono in quelle lingue. I libri i più dotti di storia naturale, alcuni che trattano di chimica sono in greco ed in latino. La lingua francese ne ha molti di un uso mirabile, che gli alunni potrebbero leggere senza veruna difficoltà. Ve ne sono in questa ultima lingua di eccellenti ne quali vi regna molto ordine ed una grande amenità nello stile.

Seguitiamo pure lo studio della geografia scortata dagli elementi cosmografici. La storia sarà continuata colle riflessioni a cui si devono accostumare anche i discepoli, mentre avendo già raccolte nel loro intelletto molte idee, sarebbero ben capaci di formar paragoni e giudizj, i più felici dei quali metterei in iscritto con caratteri ornati, affinchè servissero di premio per chi li fece ed agli altri di stimolo e di emulazione. Ma veniamo alla scienza più essenziale all’uomo, cioè all’economia politica.

Ottenute, come abbiamo sommariamente spiegato nell’epoca antecedente, col mezzo degli avanzi necessarj tutte le possibili sussistenze e soddisfazioni, sarà essenziale il rapportare come codeste ricchezze si distribuiscono nella società per cangiarsi in nuovi avanzi ed in sempre più ostinate riproduzioni, affine di mantenere ed accrescere la felicità la felicità e la popolazione della medesima.

Gli uomini, sebbene non possono essere tutti proprietarj e coltivatori di terreni, debbono però ricevere ed entrare a parte nella distribuzione delle annue raccolte.

Quelli che coltivano i terreni hanno la prima pretesa di ritenere ciò che loro è d’uopo per formare un fundo di ricchezze essenziali alla formazione di quegli avanzi che si richiedono per ottenere le produzioni per gli anni avvenire.

Ritenuta che avranno sulla totale produzione quella massa di ricchezze sufficienti alla formazione degli avanzi, al pagamento degli agenti che porre devono in opera per arrivare a questo scopo ed a procurarsi una somma proporzionata di modi di sussistere e di godere, i coltivatori consegnano allora nelle mani de’ proprietarj degli stessi terreni una porzione relativa alla quantità delle derrate che si procacciarono co’ loro avanzi e fatiche, favorite dalla maggiore o minore fertilità del suolo, regolata dalla rivoluzione delle stagioni.

I coltivatori ed i proprietarj delle terre dalle quali si ottennero questi primi fundi di ricchezze non li consumano già tutti in quella stessa natura con cui li hanno ricevuti. Circondati da desiderj di avere una graziosa esistenza, una gran porzione ne cedono a’ fattori della industria per essere dalle mani di questi cangiati in materie composte, proprie ad ogni uso. Quindi si vedono sortire vaghe moltiplicità di manifatture proporzionate alle brame di quelli che le richiedono, e che mettono in movimento un numero sorprendente di consumatori e salariati, che talvolta sebbene senza che lo immaginino, sempre però diriggono le loro azioni e spese alla formazione de’ nominati avanzi del territorio, ogni qual volta l’autorità governativa non ne ralentisce il zelo con quelle nocive intraprese che chiamar si possono oltraggi fatti alla natura.

Non comprenderemo già nel numero de’ salariati il depositario dell’autorità, colla cui forza protettiva viene resa rispettabile la proprietà de’ cittadini. Coproprietario della totalità de’ territorj, la di lui porzione nelle derrate è inviolabile al pari e più delle altre porzioni pagate da’ coltivatori a’ proprietarj de’ nominati terreni. Salariati chiameremo però gli agenti che mantiene in un continuo moto per vegliare alla conservazione delle sue prerogative, come alla sicurezza, libertà e tranquillità de’ cittadini che compongono il corpo governato. In codesta terza classe porremo altresì tutti quegli uomini che non sono nè proprietarj nè coltivatori di terre, i cui diversi impieghi ed occupazioni dovranno essere descritte da’ precettori agli alunni.

È arduo il voler fissare una giusta ed inalterabile misura nella distribuzione e porzione che aspettar può ad ogni classe de’ cittadini della produzione totale di un vasto territorio componente un regno od una provincia, cioè quale sia la porzione che si aspetta ad ogni classe de’ cittadini. Una infinità di combinazioni non ne permettono l’accuratezza che fino ad un certo punto. Ogni qual volta un governo non impedisce con cattive leggi la formazione degli avanzi dell’agricoltura nè l’emulazione delle spese sì ne’ proprietarj territoriali che negli agenti della industria e negli altri salariati, la machina sociale conserverà inviolabilmente il suo giusto equilibrio e tenderà verso la sua natural perfezione.

Che c’importano diverse frazioni, le quali impediscono di fissare una distribuzione invariabile? Confidandone la somma cura alla natura, se non otterremo, si approssimeremo almeno alla quota essenziale al ben essere di una nazione. Questa riflessione non diminuisce per questo il nostro rispetto verso di chi seguendo le pedate di Guglielmo Harvey ritrovò nella politica quella circolazione che il nominato inglese invenì per appianare la strada alla scoperta de’ più curiosi ed interessanti fenomeni nella medicina.

La distribuzione delle ricchezze, ossia la circolazione, dovrà essere spiegata a’ nostri alunni con tutta la possibile precisione. Se non si fossero su di una sì importante materia scritte opere stimabili donde raccoglierne le lezioni, darei una maggiore estensione a queste preliminarie riflessioni.

XVII. Epoca quarta.

Apriamo la carriera di questa epoca collo studio della filosofia. Nel prendere la filosofia nella sua fonte, cioè ne’ precetti inventati e coltivati da’ sapienti della più lontana antichità, cominciamo a convenire che se ci trasmisero insegnamenti utili su diverse materie, lasciarono però digiuna la posterità delle massime elementari che servito ci avrebbero di appoggio per camminare in diversi angusti sentieri, circondati da rocche scoscese e da scabrosi precipizj.

Fosse diffidenza per i ricevuti pregiudizj o fosse gelosia di aumentare il numero dei dotti, che diminuita avrebbe forse la venerazione con cui il volgo li risguardava, i sapienti dell’antichità osservarono un ostinato silenzio sopra un numero considerevole di oggetti, oppur non ci parlarono dei medesimi se non con termini vaghi e generali, che servir non ci potevano di luci per rischiarirci nelle nostre ricerche.

Che dispiacesse a que’ filosofi il render comuni i principj delle scienze lo provano i termini ambigui ed oscuri, gli enigmi ed i misterj co’ quali sempre cercarono d’inviluppar le verità.[19] Simili agli oracoli degl’idoli ed ai falsi profeti, pronunciavano con un stile sì difficile e ricercato le loro istruzioni che le rendevano soggette a diverse interpretazioni, ed in qualunque modo che i discepoli le spiegassero, se ne sortivano precetti di vera dottrina, si ascrivevano come prodotti della profunda sapienza dei maestri. Cercavano così di formare indovini piuttosto che sapienti.

Tal volta ancora arrivava per effetto d’ignoranza. Sospettavano l’esistenza di un tal principio, e non avendo per anco raccolte nel loro intelletto idee sufficienti per capirlo, molto meno per ispiegarlo, pubblicavano i loro sospetti con termini sì oscuramente tessuti che chiunque li ascoltava non mancava di supporre in loro le più chiare e più sicure nozioni anche in quel che non intendevano.

I superstiziosi amatori dell’antichità (ne ha dessa al par della religione) non mancheranno di concepir contro di me le più funeste idee e di guardarmi qual empio e sacrilego.[20] Impalliditi sulle occulte qualità di Aristotele e sulle vaghe meditazioni di tanti famosi visionarj, tremano che loro si dica essersi resi canuti sopra tanti studj, i quali non contengono che chimere. Più di voi, o fanatici, rispetto l’antichità. Se mi rido delle botti, delle vesti sucide e logore, della vita stentata e misera, delle altre pazzie di alcuni pretesi saggi di que’ tempi, venero con ardore le sacre ceneri del medesimo Aristotele, la cui storia naturale, retorica ed arte poetica sono opere che eccitano lo stupore; e sebbene visionario fosse in molti oggetti Platone, pure mi è cara la di lui memoria, quella di Socrate suo maestro e di varj illustri sapienti che si mostrarono prodigi di virtù. So anch’io che il nostro secolo ha i suoi ed i vetusti lumi, e che i filosofi antichi meditar non potevano che i loro.

Ora che abbiamo fatto saggio delle idee di Platone, delle qualità occulte di Aristotele, de’ numeri di Pitagora, e che scosso abbiamo il giogo di molti errori, potiamo meglio degli antichi ragionar di filosofia.

Il miglior metodo che potiamo seguire sarà quello di far indovinare agli adolescenti stessi le cagioni delle cose. Giacchè in codesta età le fibre del cervello sono capaci di tutte le inflessioni, si accostumino pure a meditare ed a render ragione dei diversi fenomeni che loro si presentano. Questo è il modo di farli ragionare e di accostumarli a non rapportarsi ciecamente alle decisioni altrui, acciochè non divengano schiavi di quegli uomini accreditati dal fanatismo della stupida moltitudine, venerazione pur troppo fatale che sempre fu il principale impedimento ai progressi della verità.

Se ora mi è d’uopo deffinire cosa intendo sotto il nome di filosofia, non mi contenterò di rispondere con Wolffio essere la scienza de’ possibili finchè sono possibili.

Per ispiegarmi con maggiore chiarezza dirò essere la filosofia l’arte di separare il vero dal falso nel cruciolo dell’esame o dell’annalisi per assoggettare tutte le nostre idee e decisioni alla ragione.

Se ragionare è filosofare, la filosofia dovrebbe comprendere tutte le scienze ed arti che esercitano le funzioni dell’intelletto umano.

Per dare alle istruzioni de’ nostri alunni tutta la precisione, rinchiuderemo la filosofia in quattro parti: 1° fisica, 2° morale, 3° logica, 4° metafisica.

Della fisica, di cui la storia naturale n’è un ramo essenziale, abbiamo cominciato a parlarne e ne seguiteremo lo sviluppamento.

La parte della filosofia che principieremo in questa classe sarà la morale. Gli antichi qui saranno di un gran soccorso. Le opere di Aristotele, Platone, Pittagora, Annassagora, Antistene, Catone, Cicerone, Seneca, Epiteto, Marco Aurelio e di altri filosofi di questa natura saranno presentate a’ nostri nobili adolescenti.

Sempre colla scorta del calcolo s’inoltreranno vieppiù i miei alunni nelle matematiche più sublimi. Prendendo il telescopio alla mano, montino sugli osservatori diretti da sapienti professori a contemplare le più sorprendenti maraviglie.

Più di tutte le altre scienze questa colpisce l’immaginazione de’ veri pensatori, che si portano naturalmente ad ammirare con evidenza il sommo essere increato. In fatti, qual cosa evvi mai più degna della nostra curiosità che il luminoso spettacolo del cielo che giorno e notte rilucer vediamo agli occhi nostri, ove il globo che ci serve di dimora forma una sì picciola parte? Che vastezza, che magnificenza! La varietà di tanti sorprendenti luminari, le loro disparizioni e ritorni, l’accrescimento e la diminuzione successiva di questi, lo splendore costante ed inalterabile di quelli, il moto degli astri tutti, la facilità che ci procurano di misurare il tempo, la maestosa mole del firmamento sempre più sorprendente quanto più viene esaminata, l’armonia con cui si muovono i diversi corpi senza confusione, senza accozzarsi l’un l’altro, sono portenti chiari della profunda sapienza, della somma bontà, della onnipotenza e di tutti gli altri infiniti attributi che si presentano alla nostra mente per debolmente descrivere l’increato creatore, per empierci di amore, di venerazione ogni qual volta innalziamo sì alto i nostri pensieri. O uomo! esamina, studia queste maraviglie e nega poi che v’è un Dio!

I libri migliori per ben dirigere gli adolescenti in codesta scienza, la quale è un ramo che appartiene ugualmente alla fisica che alle matematiche, sono gli elementi di astronomia del celebre Cassini, le istituzioni astronomiche del signor Lemonier, le lezioni elementari di astronomia del signor de la Caille. Ma quando si sarà ben avanti in questa scienza, si legga il gran Newtone ed i commenti del celebre padre Frisio e le opere dell’illustre signor La Lande.

Nel tempo che si applicano gli adolescenti a questa scienza sublime, dovrebbero studiare la gnomonica e l’arte di costruire i vascelli, cognizioni che ajutate dal disegno si renderebbero ognor più agevoli e più atte ad essere abbracciate dai sensi e dallo intelletto.

Abbiamo principiata nella prima epoca la storia; siccome la dobbiamo seguitare durante tutto il corso dell’adolescenza, è tempo di annunciare alcune riflessioni circa il modo di rendere codesto studio sempre più fruttuoso a’ nostri alunni.

La repubblica letteraria è piena di storie di tutte le nazioni, alcune troppo superficiali e ristrette ed altre poi soverchiamente difuse. Nella multiplicità delle medesime ve n’è forse una che possa servire di guida sicura a’ nostri alunni? Tutt’i filosofi hanno detto e dicono di no. Qual umiliazione per l’orgoglio umano, che crede di aver ritrovate tutte le scienze!

Che importa alla nostra felicità il dettaglio scrupoloso di tutte le circostanze che fecero vincere e perder le zuffe con cui gli uomini sempre crudeli, perchè in preda alla ignoranza, si distrussero con una rabbia metodica e più feroce di quella delle fiere? A che ci servono i nojosi narramenti di tante inezie alle quali si attribuirono con sì poca sagacità le origini della potenza o della decadenza delle nazioni o de’ cangiamenti de’ governi? Aneddoti sovente inventati, mal digeriti, proprj non sono al certo ad interessare l’attenzione de’ miei alunni, pe’ quali lo studio della storia deve servire di rischiarimento per confermarsi ne’ precetti della economia politica. La storia non deve essere per essi loro una massa mostruosa di opinioni, ma bensì la marcia dell’ingegno umano per iscuoprire gli errori di tutti i secoli, governi e nazioni, per vedere con evidenza quale sia l’origine della prosperità degli uni o della decadenza degli altri.

Nello scorrere la vastissima regione della storia, i precettori filosofi la potrebbero dividere in sei epoche secondo il numero delle epoche che osserviamo nel corso degli studj a cui sono destinati i nobili adolescenti. Quello che avranno imparato nella puerizia di codesta scienza non consisterà che in cose generali e nelle nozioni le più chiare sull’origine del governo nazionale.

La prima epoca sarà formata delle memorie le meno assurde della più recondita antichità fino alla morte di Ciro fundatore dell’impero persiano. Questa epoca è assai meno longa di quel che si crede per quanto risguarda i materiali che la debbono comporre. Tolta la sacra scrittura, di cui si farà una lettura e spiegazione separata ne’ giorni festivi, la maggior parte delle nazioni non ci offrono sulla loro origine che favole inventate dall’ignoranza e perpetuate dalla superstizione. Malgrado questa oscurità, facciamo considerare agli alunni come i principj economici più o meno rispettati oppure offesi abbiano avuto influenza sulla prosperità o sulle triste vicende delle nazioni. Cerchiamo in questi tempi tenebrosi per quanto ci è possibile le poche verità, le invenzioni utili all’agricoltura, alle arti ed a’ mestieri.

Che potiamo mai dire dell’infanzia del genere umano? Non parlo già de’ governi patriarcali e pastorali, i cui monumenti non ci forniscono ragionamenti stabili, ma delle tanto lodate monarchie dell’Egitto, di Babilonia, di Ninive, dell’Assiria, delle prime colonie greche e di altre nazioni. I maghi egiziani, quelli di altri popoli, varj legislatori, in molti racconti avevano interesse d’ingannare la posterità. La storia d’Erodoto non ci presenta de’ secoli remoti se non probabilità o le favole ridicole che ha ritrovate addottate dagli uomini che gli parvero i più dotti. Tempi erano quelli di profunda ignoranza, in cui i sogni, le visioni, gli oracoli decidevano degli avvenimenti i più importanti, tempi ne’ quali, appena un buon re trovar possiamo fra cento tiranni; orrori che ci provano l’obblio de’ doveri e diritti sociali, e come questo obblio sia la cagione delle sventure de’ popoli. La storia di Ciro descritta da Zenofonte è copiosa anch’essa di descrizioni favolose, e vero non essendo quel che dice Erodoto se non gli avvenimenti de’ quali fu testimonio o che arrivarono nei tempi a lui più vicini.

Le croniche cinesi formano il solo corpo di storia degno di fede, per l’esatezza con cui sappiamo che i Cinesi hanno sempre saputo trasmettere i fatti i più interessanti. La storia di questo popolo il più antico ed il più colto della terra ci risarcirà della sterilità della maggior parte delle altre nazioni. In essa vedranno i miei alunni come la proprietà, la libertà e la sicurezza rispettate formino il governo il più stabile e sotto cui gli uomini sono i più felici. Ivi vedranno se è chimerica un’amministrazione naturale fondata su i principj fisici dell’ordine naturale. Non sarà loro possibile l’udirne la lettura senza sentire spesso umidi gli occhj di sentimenti teneri e deliziosi, nell’osservare padri amorevoli da un canto e figliuoli dall’altro affezzionati ed ubbedienti.

Faremo durare la seconda epoca sino a Giulio Cesare. Qui è il tempo di dissipare le funeste prevenzioni del volgo in favore de’ governi popolari di cui abbunda la Grecia. Passiamo con rapidezza sopra tante pompose descrizioni di battaglie che inorridiscono, perdute da potentissimi monarchi pei continui falli che facevano contro l’ordine naturale e guadagnate da un valore che si dissipa col fanatismo che lo produce. Distruggiamo l’insana ammirazione pel governo spartano, sotto cui il maggior numero giaceva nella più crudele tirannia e gli altri in un contegno servile e feroce. Veggano i miei alunni i continui tumulti de’ popoli greci, la prosperità passaggiera di questi e l’oppressione di quelli. Osservino che se vacillanti erano su i troni ed infelici co’ sudditi i capi nelle monarchie, solo ascriver si poteva all’ignoranza delle leggi fisiche e naturali, ignoranza che produsse tutte quelle rivoluzioni di cui è piena quest’epoca.

Esaminino i miei alunni con ponderatezza l’origine ed i progressi de’ Romani, che con tanta facilità soggiogarono nazioni perchè di loro più ignoranti nell’ordine naturale. Non ismentichiamo di far rimarcare le interne agitazioni di questo popolo vincitore in continui

conflitti fra’ diversi ordini de’ suoi cittadini, e come fosse chimerica la di lui felicità. Nelle frequenti vicissitudini interne che presenta, si persuadino che esser non ci può vera prosperità ove la proprietà non è rispettata. Gettino sopra il tutto un rapido sguardo sulle principali leggi fatte da questi banditi che non avevano alcuna tintura dell’ordine naturale, leggi che trovano difesa e panegirico perfino presso molti di coloro che ne dovrebbero abborrir la funesta memoria.

Avverto che non solo nella presente, ma altresì in tutte le altre epoche la storia deve abbracciar tutte le nazioni della terra.

Qui vi fono molti storici che dobbiam consultare. Tucidide ci descriverà la guerra del Peloponeso, Dioniggi d’Alicarnasso ci svilupperà le antichità. Tito-Livio ed il suo continuatore Frensemius, Polibio devono essere interrogati con precauzioni, poichè anch’essi ci presentano favole copiate con attenzione dal rettor Rollin, che molte fiate infastidisce colle più puerili rimarche. Abbiamo monumenti e medaglie nelle quali si trovano incertezze perchè gli antichi esageravano, medaglie e monumenti de’ quali ve ne sono d’inventati dall’adulazione ed altri falsificati.

Nella terza epoca porremo tutti gli avvenimenti che passarono davanti lo spazio di tempo dalla morte di Cesare fino a quella di Giuliano il filosofo, altrimenti chiamato l’Apostata. Questa epoca è breve ma interessante. Orribili tiranni compajono sulla scena in vero, ma di quando in quando il trono imperiale di Roma occupato da principi filosofi ci lascia qualche campo di osservare la marcia economica. Mettiamo perfino a profitto le crudeltà, acciochè si vegga non avere altra origine che l’ignoranza sì de’ mostri che regnavano che de’ sudditi che tremavano sotto le mannaje minaccianti. Tacito presenterà con energia ed eloquenza i regni tenebrosi di varj tiranni. Oltre Tacito vi sono molti altri scrittori con cui possiamo ajutarci. Dione, Floro, Plinio il giovine, Giusto-Lipsio, Giuliano l’imperadore, Vopisco, Spartiano, Capitolino, Marco Aurelio, Amiano, Erodiano, Lampridio, Eusebio, Aurelio-Vittore, Zosimo, Trebellio Pollione, Zonaro ec., le traduzioni di diversi storici dell’Indie, della Cina e di altre contrade. Siccome questi autori non hanno avuto di mira l’economia politica, agl’istruttori aspetta di scuoprirne le traccie.

Passiamo alla quarta epoca, che possiamo estendere sino alla fine del regno di Carlo Magno. Facciamo vedere la facilità con cui tante barbare nazioni vennero dal Settentrione ad invadere l’Italia e le altre più belle provincie del romano impero, i cui sudditi, governati dalla volontà arbitraria di principi deboli ed angustiati da imposte indirette e distruttive, erano sempre pronti a cangiar di governo nella speranza di ammigliorare il loro destino. Nel settimo secolo parleranno i precettori degli Arabi, che s’impadronirono di molte provincie dell’Europa, dell’Asia e dell’Affrica. Metteranno sott’occhj degli alunni lo stato della coltura in quei secoli barbari, origine della servitù di alcune nazioni moderne, le principali leggi e regolamenti feudali; la fatale ignoranza che mise a tutti le armi alla mano, la superstizione che sminuì colla sicurezza la proprietà de’ monarchi e de’ sudditi, il tumulto infine delle più atroci passioni ed il dispotismo inoltrato della opinione. Non nominerò gli scrittori contemporanei che si possono seguire, monachi la maggior parte, e gli altri quasi tutti venduti a questi; il miglior partito sarà di ricorrere alle memorie di molti autori del 14mo 15mo e 16mo secolo, ed ai più illustri fra’ moderni, per non infastidire gli alunni colla lettura di tante opere farraginose ed oscure. La quinta epoca, che dovrà finire al principio del regno dell’imperadore Carlo quinto, fornirà fatti e rimarche di una maggiore importanza perchè meno dubbiosi e descritti da autori contemporanei più istruiti, fatti trasmessi più autenticamente mediante l’invenzione della stampa. Quest’epoca ci presenta i cominciamenti di molti regni e nazioni moderne, colle loro rivoluzioni le più rimarchevoli. I Turchi succedono in diverse parti alle conquiste degli Arabi, annichilano l’imperio d’Oriente, i cui sovrani sono più occupati di quistioni teologiche che de’ principj sociali e della difesa. L’Italia raccoglie le scienze e le arti che si spandono poco a poco nelle altre nazioni che l’uguagliano; terra infelice, la cui fecondità è sminuita dalle leggi di depredazione dell’ordine naturale e fisico e dalla ignoranza de’ principj sociali. La Castiglia distrugge ed incorpora molti rami col fare un grand’albore reso estenuato dalla imbecillità de’ suoi regnanti, sommessi all’impero del fanatismo, che portano continui attentati all’ordine della natura. Le regie prerogative cedute nella Polonia al senato, che indi è costretto a dividerle coll’ordine equestre, da monarchi che se stati fossero meno debol meritato avrebbero il nome di grandi. La Russia sotto il dispotismo formare il piano che siegue tuttavia. I regnanti svezzesi e danesi in contrasto co’ prelati, che scorrere fanno fiumi di sangue. L’Inghilterra infelice per trovarsi i re nello stesso contrasto col clero e co’ grandi. Il Portogallo che si forma ed estende. L’Affrica agitata e divenuta più barbara. La Persia e l’Indie inondate parimente di sangue. La sola Cina conserva co’ cangiamenti de’ sovrani e delle dinastie il suo legale governo, ed in cui le disgrazie di varj suoi monarchi sono un tristo seguito della depredazione personale della natura. Questa epoca ha un numero di scrittori generalmente conosciuti assai grande per aver bisogno di nominarli. L’economia politica ne rischiarirà le spiegazioni con cui va fatto lo studio della storia.

Più interessante di tutte sarà la sesta ed ultima epoca, di cui abbiamo scrittori contemporanei bene istrutti. Ammirino in questa i miei alunni i progressi della ragione, ed in qual guisa tutte le scienze abbiano preparata la felice aurora di un regno fundato sulla umanità. Si facciano da essi loro annalizzare in qual guisa si sia distrutto in molte parti dell’Europa il governo feudale ed in quale altra guisa si conserva presso di alcune nazioni. Nel leggere la scoperta di tanti paesi ignorati, vediamo di trovare quale fosse lo stato della loro agricoltura, arti e commercio. Parliamo qui a’ notai adolescenti senza entusiasmo della marcia politica. Procuriamo di far loro sentire le triste conseguenze delle medesime scoperte che hanno scoraggita in moltissime regioni la coltura delle terre. Facciamo rimarcare come tutte le proibizioni imposte e regolamenti abbiano impedito la marcia dello stesso commercio con quella dell’agricoltura, affine che si convincano non avere altra cagione la debolezza di varie odierne nazioni che i limiti posti alla libertà ed alla proprietà dell’uomo.

Sembrerà invero a prima vista che la traccia dello storico sia facile. Avendo avanti di lui le immense ricchezze delle tradizioni e delle memorie di tutte le nazioni e di una infinità di autori che lo precedettero, pare che non sia mal agevole di esporre con semplicità le azioni ed i disegni degli uomini, i cui caratteri ed ombreggiamenti sono del tutto finiti. Le feroci imprese della superstizione, le crudeltà dei tiranni, le scelleragini e le inconseguenze dei ministri e favoriti, gl’intrighi ed i delitti delle corti, le viltà e la codardia de’ capitani e degli eserciti non possono fornire ragionamenti ai leggitori per biasimarli. I materiali sono nelle sue mani. I costumi e le gesta de’ suoi eroi sono già terminate. Non ha d’uopo di ricorrere alla immaginazione affin di presentare oggetti chimerici. Appoggiato alla pura verità delle cose, non è esposto a quei generi di censura che partono dal fundo della materia e dalla irregolarità delle disposizioni e mal distribuiti ornamenti a cui sono soggetti gli autori morali ed i poeti. Non è obbligato ad internarsi nelle scabrose discussioni colle quali i filosofi profondamente esaminano le ricerche le più attratte e le più sublimi.

Quantunque sembra che le esposte considerazioni debbano render facile il lavoro della storia, con tutto ciò nulla di più raro che un buono storico, perchè nulla di più difficile che il ritrovare uomini intieramente spregiudicati che abbiano voluto intraprendere una sì utile fatica.

Nell’implorare il soccorso degli storici, non si dovrà far perdere il tempo ai nostri alunni co’ dettagli e descrizioni inutili. Il miglior metodo di esaminare colla storia i gradi di prosperità e di decadenza negl’imperi si è l’esame dei renditi della terra ed i paragoni delle loro diverse epoche. Questo è il modo di scrivere la storia colla maggiore utilità come già ne intrapresero luminosi fragmenti varj economisti, modo il più fruttuoso, non già i racconti nojosi di tante battaglie e brighe di corti, come se le puerilità e le cabale de’ favoriti, ministri e sovrani potessero rovesciare un governo fundato sui progressi dell’agricoltura.

Non vorrei che si smenticasse di applicare ognun di questi nobili adolescenti a qualche mestiero. Si fortificherebbero il temperamento, guadagnerebbero nelle facoltà intellettuali ed imparerebbero con che guadagnare il lor vitto, se per una funesta troppo ordinaria rivoluzione arrivassero a perdere i beni della fortuna. Non sarebbero, come lo ha rimarcato Rousseau, esseri isolati, ma proprj ad esser felici in ogni stato ed in ogni condizione.

Ma venendo ora alla economia politica, qual delizia non troveranno mai i miei alunni nello studiarla? Tutte le idee si abbracciano in questa scienza. Non è già come la immaginaria politica fundata sulla opinione. Piena di ostacoli, scorrere non se ne può la penibile carriera senza essere arrestato ad ogni passo, senza trovar contraddizioni.

Nell’epoca antecedente abbiamo ammirata la circolazione delle ricchezze territoriali, ora è natural cosa il dimostrare le leggi con cui viene operata questa circolazione, leggi che determineremo sotto il nome di commercio.

Il commercio non ha per base che la sola libertà. La libertà è un attributo della proprietà. Chi restringe la libertà restringe la proprietà.

L’uomo deve esser libero. Per esser libero, bisogna che abbia il potere di decidersi piuttosto ad un’azione che ad un’altra. Se gli si toglie il potere di deliberare e di decidersi nelle sue azioni, gli si toglie la libertà naturale, la cui perfetta o imperfetta facoltà dipende dalla maggiore o minore estensione di forza deliberativa e decisiva. Questo potere di deliberare di decidersi cessa di essere libertà se s’impiega nel nuocere all’altrui libertà, non essendo l’uomo veramente libero se ha la facoltà di recare ad altri qualche nocumento.

Ogni uomo ha dunque il diritto naturale d’impiegare a sua soddisfazione le di lui facoltà intellettuali e corporali in modo di non far male nè a sè nè ad altri. Non vi è potenza, non vi è convenzione che mi possa costringere ad azioni che mi limitano o che mi impediscono l’uso di codesta libertà. Non posso rinunciare alla medesima: 1° perchè nuoco a me stesso e vado contro l’intenzione del mio creatore, 2° perchè posso allora nuocere ad altri, e perchè colui in favore di cui faccio una tal rinuncia se ne può servire ad usi perniciosi a sè e ad altri.

Ogni legge che restringe questa mia libertà è ingiusta. Se i trasgressori di questa legge barbara si puniscono con pene atroci e colla morte, ho diritto di dire: Ecco una legge dettata dal capriccio, dalla superchieria e dalla prepotenza. Qual confusione! In ogni caso simile il legislatore punisce chi ha operato secondo le leggi della natura, leggi date all’uomo dall’essere supremo.

Ogni limite alla libertà è una diminuzione delle facoltà annesse alla proprietà. Le lesioni fatte alla proprietà e per conseguenza alla libertà sminuiscono l’interesse che obbliga l’uomo al lavoro, oppure ad ogni genere di avanzi. Così tutti gli ostacoli che si pongono per impedire l’uso della libertà si cangiano in diminuzione di riproduzioni, cioè di sussistenza e di soddisfazioni.

La libertà è per conseguenza il solo fomite della circolazione. Se non ho la facoltà di trasportate o di vendere ove credo di trovare i miei vantaggi, sminuendosi in me l’interesse di lavorare o di far avanzi, si deve per necessità sminuire la quantità delle riproduzioni.

Ecco le riflessioni preliminarie che i nostri precettori filosofi hanno da presentare a’ nobili adolescenti per convincerli che la prosperità della circolazione ossia del commercio non dipende che dalla libertà de’ cambj di qualunque indole esser possano.

È di una necessità indispensabile che i nostri adolescenti si persuadino che tutte le proibizioni di entrata e di sortita di ogni produzione o ricchezza sono diminuzioni di avanzi, diminuzioni di riproduzioni di sussistenze e di popolazione nazionale.

Non isvilupperò tutte le fecondissime conseguenze che tirar si possono da principj sì evidenti. Molti uomini dotti hanno trattata questa si importante materia con ogni profundità, in guisa che i precettori troveranno da che ragionare in quest’epoca come nelle anticedenti con fundamenti sodi stabiliti sulla evidenza.

Nella enumerazione de’ pregiudizj che soffre il commercio col diffetto della libertà, non ismentichino gl’istruttori tutte le ordinanze che la stravaganza umana ha inventate per opprimere i popoli, tutte le leggi, proibizioni, privative, tutti gl’impedimenti infine con cui si sono limitati i progressi delle arti, de’ mestieri e de’ trasporti delle merci; invenzioni con cui sembra che diversi legislatori abbiano operato in modo di mostrare un vero dispiacere nell’accrescimento della opulenza nazionale, se non fossimo persuasi essersi messe in campo queste mostruosità dalla ignoranza de’ primi principj sociali.

Vorrei che s’insistesse sopra il tutto nel dimostrare i graziosi effetti della libertà del commercio de’ grani, sciogliendo tutt’i dubbj fundati sull’ignoranza e sui pregiudizj popolari.

Facciasi sentire quanto sia irragionevole lo spavento che molti governi si formano contro la libertà di questo commercio, che sola può mantenere l’abbondanza ed il prezzo il più regolare di una sì preziosa e sì necessaria derrata.

Imparino gli alunni che i governi i quali tassano i grani fanno una intrapresa contro la natura, non sapendo quanto possono aver costato di spese a’ coltivatori, intrapresa funesta con cui arrisicano di rovinar la coltura.

Si parli pure loro con forza contro i magazzeni suggeriti da un insensato terrore, co’ quali alcuni governi monopolando scoraggiscono la classe produttiva; magazzeni che richiedono avanzi prodigiosi in edifici, manutenzioni, guardie ed altre spese gravosissime a’ popoli, pe’ quali il più abbundante magazzeno è la libertà, che non esigge rigori nè spese.

Si faccia loro sentire quanto povere sieno le obbiezioni che si oppongono contro la libertà del commercio di questo genere, come la concorrenza sola sa distruggere le operazioni maliziose de’ monopolisti. Si alzi la voce contro tutt’i contegni, leggi di mercato ed altre simili ridicole intraprese che producono le penurie e le mortalità de’ macilenti cittadini, la cui vita e salute si conserverebbe colla intiera ed illimitata libertà. Si esponga quanto sia pernicioso il fissare un prezzo per regolare la permissione della sortita, imperciocchè se il grano ha un valore eccessivo, ben lungi di poterlo vendere con vantaggio ad altre nazioni, queste sono in istato di vendercene, fissazione che impedisce questi medesimi forastieri di portarne ne’ nostri paesi pel timore di non poterlo di bel nuovo sortire e di essere costretti a darlo con perdita. Si rapportino gli esempj dell’Inghilterra, a cui la libertà stabilita dal re Guglielmo procurò una continua abbondanza ed un grande aumento di renditi a’ proprietarj delle terre, libertà che ristretta in questi ultimi tempi gli accagionò la penuria; dell’Olanda, che con sì poche produzioni è sempre ampiamente fornita di grani. Non si smentichino gli stati del Papa resi poveri e cangiati in brughiere per i regolamenti dell’annona, la Sicilia, che era altre fiate sì popolata e che alimentava il popolo romano, le cui produzioni sono in una minore quantità, e sminuito il numero de’ suoi abitatori.

Non si finisca senza ragionare contro tutte le leggi severe e le perquisizioni contro de’ fornari, tanto più che alcune volte concorrono nella mancanza de’ pesi alcune fisiche cagioni.[21] Le visite ed i rigori sieno annalizzati con una filosofica ponderatezza, affinchè gli alunni conoscano che non solo nel commercio di grani, nella vendita del pane, vino, carni e tutt’i generi di comestibili, ma altresì in ogni sorta di altro commercio la concorrenza sola può distruggere i monopoli e procurare a’ popoli una sostenuta abbondanza ed un giusto valor venale delle derrate, che assicuri un buon guadagno a’ coltivatori ed il pagamento proporzionato ad ogni sorta d’industria e di lavoro; libertà che con tanto ardore fa multiplicare le ricchezze nazionali e gli avanzi alla classe coltivatrice, che per destare dalla terra la maggiore possibile quantità di ostinate riproduzioni nulla chiede al legislatore se non che sia illimitata, non solo a’ sudditi ma a tutte le estere nazioni, per rendere la concorrenza sempre più fervorosa e gli avanzi sempre più opulenti.

XVIII. Epoca quinta.

Siccome i miei nobili alunni seguiteranno ad applicarsi alla musica che avranno cominciata nella puerizia, nel fine della scorsa epoca dovranno aver principiata l’acustica, che dà la teoria de’ suoni ed i fundamenti di questa scienza, giacchè insegna a comporla. Nel principio dell’epoca presente finiranno di capire come le percosse che i corpi suonori comunicano all’aria che ci circonda e tocca da ogni parte scuotano le fibre ed i nervi con più o meno forza in ragione della loro qualità.

Questa materia verrà da essi loro considerata col soccorso del calcolo, della fisica e delle matematiche. Vedrebbero in qual maniera alcune arie c’ispirano amore, piacere, voluttà; altre melanconia, cordoglio, amarezza; queste ardimento, coraggio, valore; quelle timore, abbattimento e codardia; in qual maniera se l’impressione è dolce e moderata si fa sentire in noi con diletto; e se troppo forte può disordinare l’economia degli organi, quando i nostri sensi non sono accostumati dalla più tenera età gradatamente dai piccioli fino ai più forti rumori, che diminuirebbero in sì fatta guisa varie sensazioni di dispiacere e di dolore.

Non pretendo già che s’insegnino scrupolosamente tutte le leggi sulle quali è fundata una tal teoria, e di fissare con una geometrica esatezza tutte le cagioni produttrici di fenomeni sì sorprendenti. Il voler determinatamente sostenere perchè una tal sintonia risvegli una tale idea, produca una tal sensazione, ci avverta di una tal immagine, ci affetti piuttosto in un modo che in un altro, sarebbe una vana ed inutilmente tentata intrapresa. I lumi di tutte le scienze, la filosofia la più profunda non ci conducono in codesta materia se non ad alcune probabilità, ma giammai a conoscere con sicurezza quei segreti arcani che dir possono quel che noi siamo e la marcia de’ principj con cui agiscono le nostre facoltà. Sono queste nuove ragioni proprie a persuaderci della nostra debolezza: ci avvisano di raccoglierci in noi medesimi per adorare la scienza infinita, la onnipotenza di quel grand’essere che creò e che degna conservare machine sì sorprendenti.

Le matematiche, la fisica, la storia naturale si continueranno in codesta quinta epoca, come altresì il disegno; si potranno principiar gli elementi di pittura, scoltura ed architettura.

I miei alunni verranno occupati durante il corso di quest’epoca nell’acquistare due nuove cognizioni che sono essenziali per accostumarli a ragionare con maggior grazia ed energia. Sono queste la logica e la grammatica, che non s’insegnano con frutto in una troppo tenera età e nelle quali si fanno rapidi progressi allorchè l’ingegno è riccamente fornito di altre scientifiche nozioni.

La logica mostra come ordinar dobbiamo le idee nel metodo il più naturale per formarne la catena la più immediata. Con essa si discompongono quelle che ne rinchiudono un numero troppo grande di composte, affinchè, risguardandole sotto tutti gli aspetti, si possano presentare agli altri colla forma la più facile ad essere abbracciate.

Senza la logica, e senza la nozione de’ termini e significazioni che rinchiude, accertarci non potiamo se le regole di un ragionamento sono false ed inconseguente lo stesso ragionamento.

Quando parlo della logica, non intendo la logica de’ collegj. Questa fra i molti diffetti ha quello d’insegnare a convincere colla forma de’ sillogismi. La buona logica è l’arte di richiamare le sensazioni necessarie, di risvegliare e dirigere l’attenzione per fare scuoprire in queste sensazioni ciò che si vuole far concepire agli altri.

Le sole sensazioni quali le riceviamo o le abbiamo ricevute dall’uso de’ sensi c’istruiscono. Tutte le idee fatizie che non vengono dalla certezza delle sensazioni (che esse vengano prodotte volontariamente oppure involontariamente) sono sempre le vere cagioni de’ nostri errori, per la ragione che l’essere sensibile e misto non può da sè cangiare, diminuire, aumentare e sfigurare le sensazioni che riceve dall’uso attuale de’ sensi. La funzione poi con cui l’anima impara a distinguere queste sensazioni e gli oggetti presentati dalle sensazioni si eseguisce colle medesime sensazioni.

Tutt’i pensieri, affezioni, cognizioni che si spiegano colla logica non vengono che dalle sensazioni affettive e rappresentative.

Se vogliamo considerare la logica in tutta la sua estensione, è la più vasta di tutte le scienze. La geometria, le matematiche, la storia naturale, la chimica, la mecanica, l’agricoltura, l’economia politica, la medicina, la chirurgia ec. tutte dipendono in somma dalla medesima.

La logica più strettamente parlando si divide in tre parti: 1° in arte di pensare, 2° in arte di ritenere i pensieri, 3° ed in arte infine di comunicarli.

La grammatica poi propriamente detta è un ramo essenziale della logica. Coll’ajuto di una fina metafisica sviluppa le idee e le loro modificazioni, insegna a conoscerne la struttura, scuopre spesso le ragioni di tutte le espressioni di una lingua.

Siccome tutto ciò che concerne le parole e la loro annalisi per rendere l’elocuzione facile e chiara affine di rendersi intelligibile allo spirito altrui forma una delle parti interessanti della metafisica, così è necessario d’implorarne l’aiuto con alcuni principj della medesima per mostrare a’ nostri alunni con maggiore facilità sì la grammatica che la logica. I più difficili argomenti della metafisica li riserberemo per l’ultima epoca.

Bene insegnata la logica colla grammatica, i nostri alunni eviterebbero ne’ loro ragionamenti e scritti i cerchj viziosi con cui si suppone da principio per provato ciò che si deve provare, per non pretender di provare con principj supposti. Non pretenderebbero di tirar conseguenze da principj che non sono veri se non per accidente, come tanti autori, che trovando per esempio essersi alcuni uomini abusati della proprietà, pretendono che essa proprietà sia ingiusta e perniciosa. Non caderebbero nelle enumerazioni imperfette col dire arditamente un tal effetto ha la tal causa, senza conoscere tutte le maniere con cui si può formare una tal causa. Non errerebbero co’ falsi supponenti col credere per vero, col mettere per incontestabile quello che non è nè sarà giammai provato, metodo che favorisce l’inerzia intellettuale e che guida al fanatismo. Le induzioni diffettose che vengono da una enumerazione viziosa di cose non si vedrebbero ne’ nostri nobili adolescenti, accostumati a non conchiudere prima di essersi ben accertati se i ragionamenti intermedj sieno veri. Non penserebbero esser falso tutto quel che vien detto da un dato autore perchè tal volta annuncia o annunciò alcune idee false. Ad essi loro non arriverebbe di prendere per cause di certi effetti oggetti che non sono cause. Perchè è successo per esempio un tale avvenimento dopo un tale fenomeno, non s’immaginerebbero per questo che il fenomeno è la causa dell’avvenimento. Studiato che avrebbero infine i miei alunni le regole della buona logica e della grammatica, sarebbero sempre più difficili ad essere sedotti ed a prestar fede a favolone ridicole. Svanirebbero avanti di loro le qualità occulte, le forme sostanziali; sbandirebbero da’ loro discorsi e scritti tutt’i sofismi. Non essendo più dominati dalla superstizione nè dall’amore delle cose maravigliose, nulla più operar potrebbe ne’ loro cuori il sempre mostruoso fanatismo.

Port Royal di Lancelot, S’gravesande, du Marsais, de Felice sono gli autori di cui dobbiamo servirci in questo studio, sopra il tutto della logica e della grammatica di quest’ultimo, opera di una grandissima utilità.

Finita di stabilire la più illimitata libertà a’ cittadini nell’uso della loro proprietà personale, originaria e mobiliare per procurare alla classe produttiva avanzi ripetuti e multiplicati, l’economia politica entra nella descrizione dei mezzi proprj ad ottenere un sì grato intento.

L’uomo non può lavorare giorno e notte. Ha bisogno di sollievo e di adempiere le altre cure inseparabili di ogni essere misto. Se i frutti de’ suoi lavori sono esposti alle rapine, se la di lui persona è minacciata di violenze quando cessa di lavorare, ralentisce il proprio lavoro, e molestato da una inquietudine che non lo abbandona perfino nelle ore del sonno, cessa d’industriarsi per multiplicare le sussistenze e le soddisfazioni a misura che vede sminuita la sicurezza di goderle con ogni tranquillità e di perpetuarle a’ discendenti.

Se l’uomo non può vegliare dopo che ha lavorato per difendere tutte le produzioni che ha acquistate col lavoro o cogli avanzi, ha dunque bisogno di un’autorità che lo difenda, che respinga da lui tutte le usurpazioni, tutti gli attentati che commettere si possono contro la di lui proprietà personale, originaria, mobiliare, e contro la di lui libertà e sicurezza.

Quest’autorità, che gli economisti chiamano tutelare, deve essere di tal natura ad agire in modo di non poter trovar resistenza nelle volontà particolari. Unica e senza ripartimento, conviene che ecciti il rispetto e l’ubbidienza in tutte le classi della governata società, senza che niun’altra società abbia il potere di limitarla o di contradirla.

Nel discorrere di quest’autorità tutelare ossia sovrana si servino precettori di tutte quelle espressioni e definizioni che imprimino una giusta e ben meritata venerazione negli animi sensibili di alunni illuminati e riconoscenti.

Rimarchino che l’autorità tutelare non è suscettibile non solo di ripartimento, ma che deve essere altresì successiva per diritto di natura, per un effetto di quelle leggi irrefragabili che mantengono perpetua la riproduzione delle sussistenze e soddisfazioni. Con ragioni inespugnabili si guarentiscano gli alunni dalla prevenzione per tutte le costituzioni di governo che osano billanciare con autorità particolari, inventate dalla diffidenza e dalle più funeste passioni, l’autorità fisica, sola, legittima e naturale de’ monarchi, affinchè venga loro dimostrato con evidenza come il contrasto di tanti interessi sia proprio ad alimentare l’animosità fra i diversi corpi di cittadini e ad impedire la tranquillità, la sicurezza e la prosperità nazionale. Combattino pure i precettori e gli alunni con coraggio i sentimenti di tutti gli uomini illustri che ne fecero pomposi eloggi, combattimenti che non saranno più sì difficili se prenderanno il fundo de’ ragionamenti nell’ordine fisico della natura, tanto più che la maggior parte degli argomenti sono veramente ad hominem.

Indicate e scolpite queste belle verità, se la discorrino sulla vera origine delle magistrature istituite non già per minacciare, insultare nè limitare l’esercizio della suprema ed unica autorità tutelare, ma per difenderla e rendere la sanzione delle sue leggi, che esser non possono se non atti dichiarativi delle leggi essenziali dell’ordine sociale, sempre più venerabili a’ popoli governati.

Si convincano gli alunni che se la potenza legislativa e la potenza esecutiva sono inseparabili, la funzione di giudicare i cittadini è ugualmente incompatibile colla sovranità, mentre questa fonzione non può consistere che nella applicazione della legge a casi che insorgono, casi che richiedono ricerche ed azioni complicatissime alle quali il sovrano non si potrebbe prestare senza negligentare doveri più essenziali.

Per dimostrare l’incompatibilità della fonzione di giudicare colla sovranità, potrebbero gl’istruttori indicare l’impossibilità in cui si trova un sovrano di esaminare con attenzione una sì grande moltiplicità di fatti, e più ancora l’altra impossibilità di appellarsi ad una decisione superiore in caso che s’ingannasse e la privazione in cui si ritroverebbe in fine questo stesso sovrano del potere di far rendere giustizia.[22]

Determinati gli obblighi della magistratura, l’illegitimità delle scuse sull’ignoranza che è delitto in questo stato, il dovere indispensabile di avvisare il sovrano ogni qual volta ne’ suoi comandi vi si trovano errori contro l’ordine della natura, s’inculchi indi negli adolescenti il rispetto che essa deve riscuotere da’ sudditi, la cui felicità è un sicuro risultamento della perfetta esecuzione di sacri doveri, che la mantiene affezionata all’autorità tutelare.

Giacchè la forza militare è un altro mezzo efficace con cui l’autorità tutelare protegge le proprietà de’ cittadini, non si smenticherà di ragionare come si possa un sovrano procurare un corpo di milizia, in maniera che la proprietà e la libertà naturale sieno rispettate, non essendo nel diritto di natura il sagrificare sì inumanamente la libertà di molti sudditi per assicurare la proprietà degli altri sudditi, che tutti esiggono una uguale sicurezza nel godimento delle prerogative che emanano dal diritto essenziale ed indelebile dell’uomo.

Non si risparmino le riflessioni contro i sistemi distruttivi di quei politici che hanno preteso di ritrovare la forza di un impero in eserciti numerosi, ove con tanta barbarie viene oltraggiata l’umanità; eserciti che spopolando le campagne di travagliatori sminuiscono la quantità delle produzioni, unica base di opulenza sì pel corpo governato come per la medesima sovranità, che invano cerca altronde sorgenti chimeriche di ricchezze. Oltre l’obbligo che ha l’autorità tutelare di aver agenti per istruire, difendere le società, non si smentichi quello delle proprietà comuni.

XIX. Epoca sesta.

Cominciamola colla metafisica. Sebbene nello studio dell’acustica e di altre scienze speculative si saranno date definizioni che ne dipendono, non se ne farà una esatta esposizione de’ principj che in questa ultima epoca della adolescenza.

Idea, concetto, giudizio, dubbio, immaginazione sono termini astratti e metafisici. Tutti gli esseri spirituali non solo, ma gli esseri materiali sopra i quali si esercitano le facoltà del nostro intelletto, la loro esistenza, possibilità, durata, gli esami delle diverse loro proprietà formano la ontologia o scienza dell’essere, assai più conosciuta col nome di metafisica generale.

I corpi tutti avendo come proprietà indispensabili l’impenetrabilità, la mobilità e l’estensione, che dipendono da definizioni intellettuali, si può dire che parte della fisica, della storia naturale ec. hanno una necessaria relazione colla metafisica col mezzo della fisica generale, la quale altro non è se non la metafisica de’ corpi.

La metafisica presiede a tutte le umane cognizioni, mentre annalizza tutte le idee. Questa scienza comincia da Dio e dalla natura dell’anima.

Che potremo forse dire a’ nostri alunni di queste due prime parti della metafisica? Insegneremo loro con Thales esser l’acqua il principio di ogni cosa e quella materia di cui Dio si servì nella creazione? Con Anazimandro essere i Dei mondi innumerevoli che nascono e muojono, e l’infinità della natura qual principio di tutti gli esistenti? Con Anazimene suo discepolo faremo loro credere che l’aria è un Dio, ma un Dio prodotto immenso, infinito e sempre in movimento? Sosterremo il sistema di Annassagora sulla eternità della materia, con un essere infinito che produsse l’ordine dell’universo, oppure quello di Pitagora che Dio è un’anima sparsa in tutti gli esseri della natura e d’onde sono formate le nostre anime, che passano dall’uno all’altro corpo colla trasformazione? Faremo loro pensare con Zenofane che Dio, dotato di somma intelligenza, è una sostanza unica, immutabile, improdotta, eterna e di figura rotonda; che nulla si genera, che nulla perisce, che nulla è in movimento? Parleremo loro a favore della corona, del cerchio luminoso che circonda il cielo di Parmenida, che ne fa un Dio, divinizzando altresì le stelle e le passioni; o di Democrito, che insegnava di dare le qualità di Dei alle immagini degli oggetti che ci colpiscono ed alla natura che le fornisce, alle idee delle quali ci empiono lo spirito, e dire con esso lui essere impossibile agli uomini il sapere se esisti qualche cosa o se nulla esisti? Ci perderemo nella confusione di tante idee indicate da Platone e da’ suoi discepoli? Sosterremo loro i sentimenti di Stratone il fisico sulla natura, di cui ne fa un Dio, o di Zenone, il riformatore della setta cinica e fundatore di quella del portico, che diceva consistere Dio in quel fuoco segreto che tutto produce, cioè l’etere, a cui sostituisce per ubbidirgli altri Dei come la natura, il sole, la luna, l’universo, la terra, l’aria, il mare e gli uomini di un intelletto sublime?

Potiamo forse pronunciar con Cartesio che il mondo sia infinito, che il movimento sia sempre in una uguale quantità, con Newton che le cause finali sieno eccellenti per dimostrare l’esistenza di Dio e che la successione degli esseri non ne sia una prova? Chi può mai sapere se il mondo è finito o infinito, chi può prescriver leggi alla natura ad ammettere le cause finali? Siamo forse certi de’ sistemi di Tolomeo, di Ticho di Brahe e di Copernico, per prenderli in soccorso affin di dimostrare con evidenza l’esistenza di Dio?

Chi sa se la materia ha moto da sè o da Dio? Chi può assicurare con Wolffio che l’anima ed il mondo non potrebbero esser Dio, e che esista un essere distinto dal mondo e dall’anima ed in cui si trova la ragion sufficiente di tutto quel che sussiste e che può sussistere? Se prendiamo in ajuto l’ordine delle cose per assicurarsi dell’esistenza di Dio, risponderò, chi si può lusingare di conoscere quest’ordine?

Potremo con qualche certezza risguardare con Newtone e con Clarke lo spazio e la durata come due esseri che vengono da Dio, nè intendere con Leibnizio per lo spazio l’ordine delle cose coesistenti, che ci porterebbe a credere che vi è spazio in ogni luogo ove vi è possibilità di coesistenza?

Ammetteremo il pieno con Cartesio, lo negheremo con Epicuro? Faremo agir Dio, come lo vuole Leibnizio, per necessità come un essere passivo che non si determina se non in ragione della forza della ragion sufficiente? Faremo dipendere la volontà di Dio della ragione insufficiente? L’impossibilità della rassomiglianza nelle cose di questo mondo sostenuta da Leibnitzio è forse certa? Diremo con Newtone e con Locke esser possibile alla onnipotenza divina di aggiungere il dono di pensare ad un essere esteso e misurabile? Confunderemo col medesimo Newtone, con Spinosa e con Clarke Dio collo spazio? Crederemo negli atomi di Epicuro e di Gassendi, e che i monadi, gli elementi, gli esseri semplici di Leibnitzio hanno percezioni? Questo gran filosofo nel ricercare le cagioni delle cose ha esposte molte novità; ma sono forse incontestabili? Il di lui sentimento sull’armonia prestabilita soffre molti contrasti.

Wolffio assicura l’esistenza attuale delle leggi che una volontà libera, che un’anima libera osserva generalmente in tutte le sue percezioni, affinchè abbiano fra di loro un legame. Questa opinione, sebbene plausibile, non è forse combattuta? Tutto è contradizione in questa parte della metafisica, e le prove non sono che congietture.

Anche l’unione dell’anima col corpo è un segreto riserbato al creatore; così le leggi della unione dell’anima col corpo, in qual parte di questi quella risieda, sono leggi impenetrabili alla nostra insufficienza.

Sentiamo, abbiamo una idea riflessa delle nostre sensazioni, ma per questo non sappiamo cosa sia l’anima. Il voler poi stabilire un paragone fra l’anima nostra e quella delle belve, il crederla in queste puramente materiale, il decidere con Cartesio che i bruti sieno machine, sarà un ardito paradosso. Contentiamoci di ammirare la nostra superiorità su i medesimi, ma guardiamoci di contrastar loro l’uso de’ sensi e di privarli di tanti sentimenti.

Socrate, Platone e molti altri filosofi hanno sostenuta la dottrina della reminiscenza. Locke ci ha provato che non abbiamo idee innate. I più illuminati sapienti ne convengono, oppure si risveglia l’opinione della reminiscenza, opinione propria a sostenere la teoria delle idee innate, cioè delle idee che abbiamo portate con noi nel nascere, quali rimembranze delle idee concepite in una vita anteriore a quella in cui ci ritroviamo. La ragione per cui si rimodernò questa dottrina poteva e può esser pia, ma non ha verun fundamento, e bramerei che le ragioni pie ne avessero di solidi.

Spiegheremo la natura di quegli esseri spirituali ed intermediarj conosciuti nella rivelazione? No; saputi esser non possono che dalla divinità che li ha creati. Nulla può esser dimostrato con evidenza in questo vastissimo pelago di opinioni.

Conchiudiamo che le parti della metafisica che risguardano le definizioni di Dio, dello spazio, della durata della libertà ed altri suoi infiniti attributi e proprietà dell’anima, ed il modo con cui è unita al corpo, sono destituite di quei fundamenti su de’ quali si possono esercitare le nostre facoltà intellettuali. Chi può definire con una geometrica certezza e con utilità cosa sia Dio e l’anima? O miseri mortali, o filosofi orgogliosi, pretendete forse di sapere quel che non può esser saputo che da Dio! Per ottenere questa scienza interrogar si dovrebbe lo stesso Creatore che si compiace di lasciarci nella ignoranza. Non inoltriamo dunque i nostri alunni nel labirinto tortuoso delle opinioni circa Dio e l’anima, opinioni sulle quali i filosofi non saranno mai d’accordo finchè esisterà il mondo, mentre non si può esser d’accordo in ciò che provar non si può con qualche certezza. Sottomettino in queste materie il loro sapere alle supreme volontà del creatore, lo adorino, credino in lui, ma non si abbandonino alla ricerca di opinioni inutili alla loro felicità.

Si scorrano dunque le opinioni di queste parti della metafisica come racconti delle vaghe immaginazioni de’ filosofi, per venire a quelle definizioni che più si avvicinano alla evidenza ed alla utilità.

Tutte le scienze, arti, mestieri, lingue hanno la loro metafisica, mentre tutte presentano idee aventizie, fatizie, accessorie ed esemplari. Non sarà mal fatto di ricorrere alle opere di tutt’i sapienti che illustrarono il regno della filosofia. Scorse le loro opinioni, i nostri precettori dovranno servirsi con riconoscenza delle produzioni di Locke. Rigettò questo grand’uomo le astrazioni e questioni assurde che si agitavano. Entrò nel proprio cuore per iscrivere cose ragionevoli sulle facoltà ed operazioni dell’anima, sulle idee, riducendo la metafisica ad una, per così dire, fisica esperimentale dell’anima. Si consulti Malebranche, ma più ancora Condillac.

Coll’ajuto delle definizioni metafisiche si potranno dare agli alunni le idee le meno confuse sulle origini delle passioni. Lo studio astratto di queste prodigiose rivoluzioni della umana natura è una parte attenente alla migliore metafisica, degna in ogni guisa di esser analizzata. Se un tale studio detta loro brama e piacere, lo potranno coltivare e porsi nel numero di quei pensatori che scorrendone le regioni non per anco a sufficienza conosciute, hanno cercato di attentamente osservare i movimenti dell’anima, per iscuoprire quella luce che più d’ogni altra guidar ci potrebbe alla felicità.

Circa tutte le altre scienze che si sono mostrate nelle epoche antecedenti, alcune si finiranno nella presente, e delle altre si faranno ricapitolazioni e risultamenti proprj ad affermirle nella memoria. Si finirà la carriera di tutti gli studj dell’adolescenza con un corso dilettevole di belle lettere.

Sembrerà ridicolo che finisca con uno studio col quale si suole ordinariamente cominciare l’educazione nella puerizia. Mi sono deciso a questo partito mosso da ragioni che mi parvero capaci a persuadere. Eccole.

Le belle lettere sono di una natura differente delle scienze. Queste hanno principj su dei quali sono d’accordo i principali filosofi, e che altro non esiggono per essere intesi se non le disposizioni favorevoli degli organi dei sensi, dell’attenzione e della memoria. L’ingegno che vi si applica non ha bisogno di esser troppo spiritoso ed ameno per far rapidi progressi. I genj pesanti ed i celleri tosto o tardi vi possono arrivare, purchè si abbia la cura di render semplici i metodi e gli elementi.

Le belle lettere sono ben diverse. Non solo esiggono una armonica disposizione negli organi dei sensi e del cervello, ma una immaginazione vivace e feconda, un ingegno ameno e perspicace, uno spirito pronto ed ornato. Ecco le qualità che ne formano i veri principj. L’estro assai più delle regole servili ne sono la guida. Sebbene chiamar non si vogliono da alcuni col nome di scienze, pure di tutte le scienze si servono per sciegliere i loro ornamenti.

Sono i coltivatori delle belle lettere come le api che dai fiori sparsi sui colli e prati succhiano i nettari, che internamente cotti e digeriti ne’ diversi vasi, loro forniscono materie da che comporre le maravigliose lor opere. Così ricorrendo essi alle scienze, alle arti, all’agricoltura, ai mestieri, a tutte le cognizioni, prendono le idee alle quali le amene loro immagini danno una nuova forma ed un nuovo aspetto. Se torbida è la fonte ove ne presero le idee, distillandole e diriggendole nella medesima non solo le separano dalle cattive materie straniere, ma altre sostituendone le rendono sempre più grate e piacevoli.

Tutte queste riflessioni mi sembrano bastantemente forti a persuadere che ben limitati esser debbono i progressi nelle belle lettere se non si ha pria ornata la memoria di altre scienze e di fatti che fornire debbono i materiali.

In fatti quanto è mai ridicolo il sentire spiegarsi nelle scuole gli antichi poeti, oratori e storici senza che tal volta neppure i precettori conoscano lo spirito de’ secoli in cui furono scritte tali opere! A che giovano quei libri se non si conoscono le viste ambiziose di Cesare e di Pompeo, i caratteri e le mire del furibondo Catilina, dei Cinna, dei Marj, dei Silla e degli Antonj, le cagioni che produssero i più sanguinosi e memorabili conflitti, lo spirito del governo di Augusto, gl’intrighi dei regni di Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, Galba, Ottone, Vittelio, Vespasiano? Come comprendere infine senza sapere l’antica geografica descrizione delle Spagne, delle Gallie, della Germania, della Brettagna e dell’Asia le gesta maravigliose di Sertorio, di Cesare, di Brittanico, di Agricola, di Corbulone e di Tito?

Che progressi non farete mai, miei nobili alunni, se colla storia, geografia ed economia politica avrete le più sublimi e le più rare cognizioni delle scienze e delle arti? Accostumati a riflettere, famigliarizzati colle più esatte nozioni, precisi nell’arte di esporre i vostri pensieri, abbraccierete con una rapida occhiata quel buon gusto che invano si cerca a forza di stenti e di castighi d’insinuarsi da ignari precettori a discepoli entusiasti impalliditi nelle meditazioni che non possono comprendere negli atti tirannici con cui s’insegnano?

Scelti dal Tribunal della educazione per professori di belle lettere quelli che più conosciuti saranno pel loro solido sapere, buon gusto e la più variata erudizione, ricorrere si dovrà alla lettura dogli scrittori i più puri. Fra quelli della nostra nazione prenderei con preferenza il Bocaccio, monsignor della Casa, Guicciardini, Bembo, Tasso, Ariosto, Petrarca, Metastasio, Goldoni, Algarotti, Filicaja ed altri autori di simil tempra. Tra i francesi Voltaire, d’Alembert, La Fontaine, du Marsais, Batteux, d’Olivet, Moliere, Racine, Corneille e Dubos, ed altri simili, a’ quali tutti unirei Demostene, Cicerone, Cesare, Seneca, Tacito, Salustio, Polibio, Tito-Livio, Plinio, Valerio Massimo, Tertuliano, Soffocle, Eschile, Aristofane, Terenzio, Ennius, Orazio, Virgilio, Ovidio, Marziale, Persio, Giovenale, Lucano. Se abbiamo già Milton in buoni versi sciolti, vorrei che si traducessero altresì Shakespear, Pope, Addisson, Rabler, Varburton dall’inglese; il Camoens, Faria, Giovanni di Barros, sopra nominato il Tito-Livio del Portogallo, dal portughese; Caldarone, Lopes de Vega ed altri simili dallo spagnuolo; Haller, Clobstock, Gellert, Cleist, Gessner ed alcuni estratti delle memorie letterarie di Lipsia de’ più illustri autori tedeschi e di altre nazioni, di cui non ne fo menzione per non rendermi troppo diffuso. Le opere di questi uomini celebri potrebbero coronare con mille variate bellezze la mia nobile adolescenza, pella cui migliore istruzione fra’ precettori esser ve ne dovrebbero alcuni inglesi e tedeschi, ed altri che capaci fossero di spiegare gl’interessanti autori di varie nazioni.

Sebbene sieno sì varj i disegni delle belle lettere, pure si riducono a due principali, cioè allo stile di prosa ed alla poesia.

Per stile intendo la maniera di scrivere con purezza, ortografia, scelta di parole e di espressioni, secondo i soggetti che s’imprendono di trattare. Fra i diversi modi di annunciarli che produce lo stile, il più utile e nello stesso tempo altre volte il più pernicioso si è l’eloquenza.

Pur troppo sovente alberò lo stendardo di fellonia, sotto l’aspetto di dovero insegnò nocive ed empie azioni, destò la collera, l’odio ed il furore ad irrigare selve, colli e prati di sangue umano.

Se produsse atti di barbarie, l’eloquenza negli ecclesiastici saggi, esemplari ed eruditi può allontanare i cittadini dai delitti e formare le sublimi virtù della religione. Negli avvocati disinteressati e zelanti, ne’ virtuosi e fervidi magistrati, difende il debole contro le rapine del forte.

La poesia, se forma molti spiriti entusiastici e li trasporta in ispazj troppo immaginarj che fanno errare nelle tenebre della ignoranza, renderà capaci i miei alunni muniti già di studj utili ed elevati de’ più nobili pensieri. La poesia serve a far parlare gli eroi con dignità e a dare ai vizj ed a certe calliginose passioni quei caratteri di turpitudine che loro convengono. Desta in sì fatta guisa il vero eroismo e rende la virtù sempre più amabile.

Bramerei che in codesta ultima epoca dell’adolescenza i miei nobili alunni si perfezionassero nelle belle arti, che spandono un fluido benefico in tutte le società, ma principalmente nell’architettura, pittura e scoltura.

La prima ci procura mille comodi, imprime idee di grandezza, edifica tempj alla divinità, palaggi alla opulenza, rocche e fortezze alla sicurezza della patria.

La pittura desta i più bei sentimenti nel cuore dell’uomo sensibile alle vere bellezze, può contribuire ad animarci alle più nobili azioni e ad abborrire quelle che perniciose sono alla società. So un valente capitano che vedendo nella sua fanciullezza rappresentati il valore, l’intrepidezza e tutte le qualità de’ guerrieri eroi in un quadro di un celebre autore, talmente le s’impressero nel cuore, che preso l’elmo, indossata la corrazza, divenne un sì valente duce che contribuì non poco a sostenere al suo sovrano la vacillante corona; duce troppo presto perduto in una ancor verde età, ucciso per imprudenza sua dalle armi nemiche.

La scoltura erge grandiosi monumenti proprj a fare amar la virtù e l’eroismo. Quale utile ne riceverebbe un impero se venisse impiegata a trasmettere alla posterità le magnanime gesta di quei cittadini e cittadine che s’illustrarono co’ serviggi resi alla patria! Felice il legislatore che sente il bisogno e l’utile delle belle arti, ma sopra il tutto quelle della pittura e scoltura, sì atte ad ispirar grandiosi sentimenti e a imitare i maravigliosi prodigi della natura.

Maggiore è il numero de’ monumenti delle belle arti in una nazione, più moltiplicati i suffraggi che riscuote dalle altre. Se l’Italia non ne abbondasse, viaggerebbero forse a schiere i forastieri, che tanta utilità ci reccano per l’avanzamento dei lumi e la circolazione delle specie? In altra guisa che cosa potrebbe mai muovere la loro curiosità? Le mascherate e le processioni? Mi disdico; è più forte che non si pensa lo stimolo di veder la bella figura che fanno i magnanimi trionfatori di tutte le genti cangiati in bonzi, abbati, musici, cicisbei e Pantaloni.

Per accrescere vieppiù il buon gusto ne’ miei nobili adolescenti per le lettere e le belle arti mi servirei delle opere di Voltaire; l’energia con cui le esprime, l’amenità e la forza del suo stile, la sua vera e nobile facondia sono gli stromenti i più proprj a farle amare, a dare idee precise e chiare, opere che più si leggono, più costretti siamo ad ammirarle.

Si accostumino i nobili adolescenti a legger con piacer le opere di un sì grand’uomo. Quale più grande non sarebbe, se invece di avvilirsi col rispondere a tutti quei nemici che lo attaccano, li compatisse, impiegando i momenti che perde in inutili apologie in altre opere che onorerebbero l’umanità?

Fra i letterati che osano voler contaminar la memoria di questo gran sapiente, quanti non se ne trovano, piccioli ingegni, veri insetti della letteratura, che dopo di avere da lui imparato quel che sanno, ingrati ardiscono oltraggiare in lui un benefattore!

Generalmente parlando, i letterati che prostituiscono le lor penne con vane ed insultanti declamazioni contro codesto sublime ingegno, contro gli altri autori illustri del secolo, fanno appunto come quei viandanti che viaggiar dovendo nelle tenebre della notte in vie pericolose e difficili, estinguono le fiacole che a caso vi trovano, credendo così di poter camminare con maggior sicurezza e vedere più chiaramente gli oggetti da cui si trovano circondati.

Ricevi questi deboli omaggi di un cuor puro e sensibile. Qual testimonianza posso mai darti di quella riconoscenza che a sì giusto titolo dovresti riscuotere da tutte le nazioni che di esclamare con Persio?

Hic ego centenas ausim deposcere fauces,
Ut quantum mihi te sinuoso in pectore fixi,
Voce traham pura, totumque hoc verba resignent
Quod latet arcana non enarrabile fibra.
Sat. V.

In questa medesima epoca insegnar si potrebbe la mitologia.

In questa ultima epoca la scienza essenziale della economia politica espone agli alunni quale sia il vero fundo di ricchezza capace a formare una pubblica forza nazionale perpetua ed insuscettibile di diminuzione, per procurare all’autorità tutelare i salarj di tutt’i suoi agenti e mandatarj ed il mantenimento delle proprietà comuni, consistenti ne’ fiumi, laghi, canali, vie, cammini ed altri pubblici edifici.

Avanti di trattare de’ mezzi di formar questo fundo, fa d’uopo provare a’ nostri adolescenti tutt’i bisogni dell’autorità tutelare. Le spese della difesa, della giustizia distributiva e della istruzione pubblica, de’ salarj degli agenti per ottenere questi oggetti, la riparazione e mantenimento delle nominate proprietà per facilitare la circolazione delle produzioni e ricchezze nazionali, le sussistenze e soddisfazioni per lo stesso sovrano e corte, cose tutte che concorrono al sostegno della confederazione sociale ed a guarentire colla proprietà di tutti e di ciascheduno la libertà e la sicurezza. Non vi è dubbio che gli alunni illuminati nella marcia della natura concepirebbero l’idea la più elevata della necessità dell’imposta come l’unico mezzo efficace a conservar l’ostinazione delle riproduzioni, che si sminuiscono e si annichilano colla depredazione delle medesime imposte, per la diminuzione della sicurezza da cui dipende la quantità delle stesse riproduzioni ed ogni sorta di opulenza nazionale.

Esponiamo loro le funestissime consequenze delle imposte indirette, affinchè ne vengano penetrati del più riflesso orrore. Tutte le ragioni compajono in campo per combattere l’opinione che conserva ancora un sì terribile impero, non solo sullo spirito della ignorante moltitudine, ma perfino su quello di molti uomini illustri, che hanno acquistata una meritata celebrità pelle produzioni de’ loro esimj talenti. Si facciano ragionare contro tutte le tasse sulle persone, sulle merci, sulle spese, e sul lusso ed i piaceri, come sulle gabelle di sale, tabacco ed altre consumazioni, infine sopra tutte le imposte indirette costosissime ad incamerare, all’errario del principe che sminuiscono, come pe’ tanti delitti e per pene crudeli che creano, fatali pel commercio che restringono, pella industria che arrestano ad ogni passo, pella natura infine che oltraggiano col limitare l’uso della libertà e della proprietà; attentati che distruggono con una prodigiosa quantità di riproduzioni la popolazione nazionale; funesti effetti su i quali non mancherei di estendere le mie riflessioni coll’ajuto di molti illustri scrittori, se già non lo avessi intrapreso in un’altra opera in cui non ho mancato di far sentire a’ miei concittadini quanto sieno onerose le imposte indirette ad ogni nazione e come finiscano col cadere nella maniera la più viziosa sulle terre, sulla diminuzione degli avanzi e sulla diminuzione del rendite de’ proprietarj.

Dopo di aver fatta l’enumerazione delle terribili conseguenze di ogni imposta indiretta, dopo di averli convinti colla forza e l’esatezza del calcolo, vorrei che i miei precettori finissero i loro ragionamenti coll’indicare agli alunni che le imposte non possono esser prese che sul prodotto del territorio nazionale, levate le riprese della classe produttiva, ossia le spese necessarie a perpetuare ed a rendere sempre più ostinate colle consumazioni le distribuzioni delle riproduzioni.

Dimostriamo che le imposte non vanno misurate dai pretesi bisogni dello stato ma bensì dal fundo di opulenza netta e disponibile a pagarsi dalla classe proprietaria, in maniera che aspetti alla sola natura l’assegnarne la porzione, e non già all’arbitrio dell’autorità sovrana nè molto meno poi alla nazione il potere chimerico di rifiutarla e limitarla a capriccio; mentre non vi è più alcuno arbitrio ove la legge fisica ed irresistibile parla con impero con un diritto inviolabile di farsi ubbidire sotto pena di diminuzione di piaceri.

È dunque indubitabile che una porzione di prodotto netto aspetta di sua natura al principe pel mantenimento dell’autorità tutelare. Chi si crede in diritto di dispensarsi in una tal imposta fa un atto con cui palesemente dispensa il medesimo sovrano di estendere sopra di lui le cure dell’autorità tutelare; rinuncia, per meglio dire, alla libertà ed alla sicurezza della sua proprietà.

Ho detto che non si dovrà finire questa ultima epoca senza ricapitolare tutte le scienze che si sono insegnate durante la carriera dell’adolescenza. Questa ricapitolazione sarà molto più necessaria nella scienza della economia politica come la scienza la più necessaria alla sociale felicità.

Non si dovrebbe por termine a veruna epoca senza una sì utile precauzione, principalmente in codesta scienza sì essenziale, dalla cui istruzione tanto dipende la prosperità di una nazione, affinchè l’ignoranza più non servi di scusa. La ricapitolazione di questa epoca non solo dovrà consistere in quanto si è insegnato intorno l’imposta, ma bensì in un risultamento generale, esatto e preciso di tutta questa scienza colla distribuzione delle meritate ricompense nella maniera che andrò spiegando in appresso alla fine di questo secondo volume.

XX. Passioni.

Gli uomini, se fossero isolati nel seno delle famiglie separate l’una dall’altra, aver non potrebbero se non poche passioni rinchiuse nel picciolo centro della necessità di soddisfare i fisici bisogni. Divenuti colla coltura membri di qualche società, raunati dalle convenzioni, assoggettiti alle leggi, aggiunti gli stimoli sociali a quelli della natura, sentirono nascere, crescere e continuamente serpeggiare nuove sensazioni, sì fisiche che morali.

Queste sensazioni altrimenti conosciute sotto il nome di passioni, quantunque sembrano fra di loro sì discordanti, producono nulla di meno quella armonia che conserva le società.

Le passioni altro non sono se non le qualità dell’amor proprio, le sue modificazioni, che cominciano le loro funzioni col farci amare tutto ciò che concorre ad un certo punto di vista in cui ritroviamo il nostro ben essere vero o apparente, o ad alienarci da tutti quegli oggetti ove arriviamo a scorgere l’infelicità, anch’essa tal volta vera e tal volta apparente.

Chi si volesse vieppiù convincere di una tal verità, altro non avrebbe ad intraprendere se non l’esame delle medesime passioni. Nell’invidia vedrebbe il dispiacere di un bene che creduto in un altro troppo forte, ci allarma pel timore di esser privati di quella porzione di suffraggi che abbiamo fin ora riscossa dall’errario della pubblica stima. Non è da sorprendersi che un tal sentimento possa animar molti uomini e costringerli a commettere azioni che sembrano opposte a quello scopo che si propongono.

Nell’avarizia altro non osserverebbe se non la brama di multiplicare cose o segni rappresentativi delle stesse cose e beni che ci procurano la compra di molti suffragi, la soddisfazione di varj desiderj che immaginiamo essere i più convenienti sì alla conservazione del ben essere che godiamo come alla ricerca di altri nuovi piaceri che aumentano la felicità.

Nel coraggio, il zelo ardente della nostra conservazione e di quella della patria, le cui perdite risvegliano alla immaginazione molte altre, che compongono i diversi rapporti di natura e più quelli dello stato sociale. Quel genere di coraggio che porta alcuni a difender con valore estere nazioni, ha sempre per origine l’acquisto dei suffragi, sì delle società delle quali s’intraprende la difesa come dei proprj concittadini, i cui applausi volontieri si uniscono per la lode della intrepidezza e di tutte le guerriere virtù, principalmente fra quei popoli ove le qualità marziali formano uno spirito distintivo.

Nella passione di naturale necessità conosciuta col nome assoluto di amore scorgerebbe un fisico impulso verso quelle azioni che co’ più vivi trasporti ci ebriano di voluttà, resa in più maniere dilettevole ai sensi dalla increata sapienza, affinchè servisse di principio sempre produttore della specie animale.

Nell’amicizia una espansione e ritorno di sentimenti, che ci muovono a ricercare il contento di chi ne è l’oggetto, il cui piacere divien sensibile in chi lo procura, non solo pella speranza che lo farà anch’egli provare in ogni occasione, ma altresì pel piacere reale che si gusta nell’altrui piacere.

Nell’amore dell’ordine sociale e della beneficenza, altra passione che prende radice nelle anime pure e magnanime, troverebbe lo scrupoloso investigatore del cuore umano non già un sentimento speculativo, astratto e chimerico, come lo pensano gli spiriti intorpiditi o agghiacciati dalla indifferenza, ma bensì una morale e fisica sensazione del più voluttuoso diletto, che sorpassa gl’impetuosi trasporti verso i quali veniamo spinti dal bisogno di corrispondere agl’inviti de’ sensi quando si trovano nelle maggiori necessità.

Non guiderò il mio esaminatore nella vasta regione di tutte le passioni. Stammi a cuore il non multiplicare le digressioni che mi separano troppo dal mio principale soggetto, cioè l’educazione. Chi intraprendere le vorrà, chi bramerà di mostrare essere le passioni qualità intrinseche dell’amor proprio, troverà una carriera riccamente preparata, non avrà bisogno di andar vagando fra gli errori o fra le oscure probabilità; ma solcherà un mare impetuoso perchè agitato da’ venti e navigabile perchè sovente gli si presenteranno porti ove riposare dalle sofferte fatiche.

La direzione di queste passioni è uno studio che non si è fatto e che far si dovrebbe da chi assume l’incarco della educazione. Non si vedrebbe allora l’uomo contrastato ed irritato fino dall’infanzia e passar la puerizia nelle agitazioni. In fatti non prova se non tirannia durante il corso della educazione, mentre chi lo dirigge punisce in lui le debolezze naturali e le passioni di una ancor tenera età. Un poeta ha ben ragione di far dire ad un giovine: quanto i genitori sono ingiusti verso i loro figliuoli! Credono che dobbiamo nascer vecchioni e non sentire tutte le passioni dell’adolescenza.[23] Questa stessa ingiustizia con minor fundamento e maggior crudeltà viene poi commessa da coloro che senza aver figliuolanze tener vogliono il luogo di padri. Avrò poi torto nel dire che l’adolescenza è una età circondata da pericoli, che infiniti pregiudizj l’assediano in ogni parte, che sommessa quasi sempre ad istruttori viziosi, che si credono interessati ad ingannarla, beve senza diffidenza un rio e velenoso liquore offertogli ogni dì in un calice imbellito da ingegnose figure, che l’impediscono di sospettarne l’amarezza?

L’istruzione economica, cioè la dottrina de’ veri diritti e doveri dell’uomo unito pel suo ben essere in società, impedirebbe l’accesso di molte passioni che rendono sì sventurata l’umanità, imperciocchè la maggior somma di mali che si commettono non hanno altra cagione se non l’ignoranza dell’ordine naturale.

Felice quegli nelle cui mani essendo il destino di qualche popolo, saprà, meditando una sì luminosa verità, farla servire di termometro nell’esame di tutte quelle operazioni che costituiscono la machina politica del suo governo. I più enormi pregiudizj che ne formano la base svanirebbero dal suo cuore per dar luogo alla evidenza. Le mezze verità, le probabilità immaginarie, le entusiastiche e vane presonzioni cesserebbero d’ingannarlo; non vedrebbe più certi oggetti in una confusa ed oscura lontananza involti dalle chimeriche visioni. Gli si squarcierebbe il funesto velo che ingombra il comune degli uomini; più non lo sedurrebbe l’apparenza. La luce non gli sarebbe estinta dalla interposizione dei corpi opachi che accagionano le ombre. Le sue riflessioni non verrebbero più messe in moto da tante potenze, che agendo nello stesso tempo, o le fanno restare in un servile riposo morale che non è se non una languidezza di raziocinio, o prendere un moto che seguita il fallace rapporto delle potenze fra di loro ineguali quanto alla celerità; ma non trovando ostacoli nelle materie mezzane, riceverebbe una direzione sempre felice perchè la continuerebbe verso l’evidenza da cui ne riceve il benefico impulso.

È indubitabile che lo studio della economia politica reso pubblico allontanerebbe gli uomini da’ delitti, nel cui abisso non vengono spinti da una naturale inclinazione verso il male ma bensì dal non sapere quali sieno i mezzi proprj a renderli felici: mezzi che inutilmente si cercano in una infinità di altri oggetti nullamente proprj a concorrervi; luoghi comuni smentiti dalla esperienza e contradetti con chiarezza dall’attenzione di que’ filosofi che si vollero internare nel cuore umano, ne’ cui segreti sdegnano di entrare i genitori e coloro che sì leggermente brigano di occuparne il luogo col presiedere alla educazione.

Se l’istruzione de’ veri diritti e doveri sociali può operare una sì gloriosa rivoluzione nell’umano genere, la cognizione delle passioni non è però un mezzo da negligentarsi da’ nostri precettori. Con questo esame si osserverebbero molti importantissimi fenomeni fisici e morali, e si scioglierebbero problemi interessanti pell’avanzamento della morale.

L’esame e la buona direzione delle passioni saranno necessari a tutte le condizioni della società, assai più utili se si comincieranno nella infanzia. Più essenziale sarà negli alunni nobili e nelle figliuolanze dei ricchi, che giuocando i più interessanti intrecci nelle scene del mondo, ne impongono col loro esempio alla moltitudine, sempre pronta a seguirne in ogni modo le orme venerate.

L’esame delle passioni degli alunni di ogni età e di ogni condizione sarà una delle più essenziali occupazioni de’ nostri precettori, ed assai più del supremo Tribunale della educazione. Vediamo ora in qual guisa lo devono intraprendere, affinchè divenga un oggetto importante di legislazione. Avverto che questo si dovrà estendere sopra tutte le azioni e ne’ progressi nello studio.

Vorrei che ciaschedun precettore nella sua classe esaminasse con attenzione tutti gli atti de’ suoi discepoli, che passate quelle date ore di lezione o di divertimento si ritirasse per riflettere sopra quel che ha osservato, notando in tabelle, che esser devono esatissime, sotto il nome di ogni discepolo quelle azioni che lo distinsero, colle riflessioni sulla passione che può averle prodotte.

Queste tabelle, queste accuratissime note di azioni e di passioni comunicar le dovrebbero ogni settimana o altro dato tempo a’ direttori filosofi, mandandone copie al sommo Consiglio della educazione, affinchè le esaminasse con maggior ponderatezza di quel che non si fanno i soggetti scientifici e letterarj nelle academie, delegando taluno de’ più dotti a farne estratti, rimarche e vere storie morali, fisiche e metafisiche, che suggerirebbero mille nuove idee atte a perfezionare lo intelletto umano ed a render più facile l’educazione.

Questa tabella nelle mani del sovrano gli aprirebbe l’accesso de’ cuori e la cognizione dei diversi caratteri e capacità. Sapendo quali sono le passioni favorite di ogni alunno dall’infanzia fino alla gioventù, troverebbe una sensibile facilità per ben distribuire le magistrature e gli altri impieghi che dipendono dall’autorità sovrana.

Servirebbero infine non solo fra’ nobili ma fra gli altri stati della società a conoscere le inclinazioni di ciascheduno, le proprietà dei diversi talenti, i gradi d’industria, di attività, di genio, di spirito, di propensione piuttosto all’una che all’altra scienza, arte o mestiero; insegnerebbe al nominato Consiglio quali sieno i soggetti che meritano di essere distinti e trasportati a quella classe a cui vengono chiamati dalla sapiente natura. Posto così ogni uomo nel suo centro, le passioni più non si accozzerebbero, ma diverrebbero stromenti proprj ad operare o almeno a render sempre più facile lo stabilimento dell’ordine il più naturale alla società.

Per iscoprire con maggior facilità le passioni togliere bisogna ogni interessamento nel mentire, ed anzi inventare nuovi vantaggi a dir la verità. Colla inclinazione a mentire nutrire non si possono se non passioni abbiette e perniciose, che distruggono tutt’i buoni principj di educazione.

Il portare gli adolescenti e più ancora i fanciulli nella più tenera età a mentire è un vizio assai comune nella giornaliera educazione, ma principalmente in quella che ci viene data da’ Regolari, i quali puniscono senza scelta e sagacità quegl’impeti di passioni prodotti dalla sincerità con maggior rigore che le stesse menzogne, sempre le più meritevoli di pena. Ogni qual volta poi un fanciullo si è accostumato a mentire, e che in codesto vizio trovò qualche avvantaggio, quasi più non guarisce di questa funestissima malatia. Montaigne dice: Je trouve qu’on s’amuse ordinairement à châtier aux enfans des erreurs innocentes, très mal à propos, et qu’on les tourmente pour des actions téméraires, qui n’ont ni impression ni suite. La menterie seule, et un peu au dessous, l’opiniâtreté, me semblent être celles desquelles on devrait à toute instance combattre la naissance et les progrès, elles croissent quand et eux, et depuis qu’on a donné ce faux train à la langue, c’est merveille combien il est impossible de l’en retirer.[24]

XXI. Lusso.

In qualunque modo che si risguardi, il lusso è una passione che al par delle altre prende origine dalla fonte comune, cioè dall’amor proprio. Che il desiderio il qual lo produce, l’inclinazione che lo nutrisce vengano chiamati vanità o ambizione, non avrebbero alcuna esistenza se l’amor proprio data loro non l’avesse.

La vanità, l’ambizione sono dunque parti annesse all’amor proprio. Se si vogliono più esattamente definire, dir potiamo con certezza che altro non sono se non una brama di fissare gli sguardi e l’attenzione degli uomini per indi riscuotere l’ammirazione, lo stupore, il rispetto, l’approvazione e quella sorte di suffragi che detta la maraviglia nel volgo, pronto a concorrere allora alla soddisfazione di tutt’i nostri piaceri, la stima negli altri grandi, che li rimira come segni del potere di procurarci maggiore o minor numero di piaceri o reali o di convenzione e di acquistare maggiore o minor somma nell’errario predetto della pubblica stima.

Se la moltitudine non vedesse il lusso sempre unito col potere, non v’ha dubbio che diminuirebbe la sua stima per un essere che crede inseparabile dal potere ed in conseguenza dal merito, non essendogli fatto di supporre che senza di questo si possa pervenire a quelle dignità dalle quali vengono emanati i primi esempj del medesimo lusso.

Il lusso è una parola sopra di cui si sono date le definizioni le meno esatte. Quindi ne venne che fu calunniato da’ tanti scrittori con tutta la veemenza che suol destare il fanatismo quando si è impadronito del cuor dell’uomo. I compilatori delle massime di una falsa morale e di una politica volgare ne hanno fatto un mostro fatale, in cui riconoscono la sola origine della decadenza di tutte le nazioni. Darei a queste riflessioni una maggiore estensione, se non lo avessi fatto in un’altra opera.

Se per lusso s’intende superfluità, come mi pare indicarlo l’analisi della parola latina, per iscacciarlo lungi da noi dovremmo allora rinunciare a tutte le ben preparate sussistenze ed alle più usuali comodità della vita. In questo caso tutte le espressioni adoperate da’ moralisti nel parlare del lusso sono soggette all’errore. Sostituiamo dunque a questa parola quelle di mal calcolata sontuosità, di magnificenza soverchia, di splendidezza inoltrata, ed altre parole simili che significano eccessi di spese.

Il desiderio verso quella stima di convenzione che una soverchia magnificenza ci procura pur troppo prende radice fin dall’infanzia nel cuore degli uomini per la malizia o l’ignoranza di chi veglia alla loro educazione. Si parla alla presenza de’ fanciulli con ammirazione di quegl’indolenti che insipidamente godono nella inerzia dei frutti degli altrui sudori, facendo continua mostra dei segni della opulenza, mostra che tal volta si decora col nome di generosità.

Paghi non essendo degli elogi che prodigano a’ seguaci di una inoltrata splendidezza, i parenti e quelli che hanno la cura di elevare la gioventù con più modi ne ispirano l’inclinazione collo scolpirla ne’ più profundi recinti del cuor de’ fanciulli. Li vestono ne’ giorni festivi cogli abiti i più magnifici, li conducono allo specchio con vezzi, baci ed applausi e danno loro una tal aria d’importanza che si persuadono poco a poco non esservi merito che nei ricchi adobbi, di sorte che fino dalla più tenera età si accostuma l’uomo a stimare o sprezzare in proporzione dei segni di opulenza che vede su di quelli co’ quali ha qualche relazione.

Gli oggetti con cui si premiano le buone azioni vicendevolmente si scielgono nei vizj contrarj alla temperanza e sobrietà, oppure nella soverchia magnificenza. Alcuni doni loro indeboliscono la salute, gli altri il cuore. Cogli uni si accostumano a divenire ghiottoni e parasiti, cogli altri ad amare le idee della più sublime felicità.

Invano nel crescere di età alcuni precettori si pongono in dovero di declamare contro il fasto e l’ingiusta stima che si dà alle ostentazioni di magnificenza. La corruzione ha già presa radice, le funeste impressioni sono scolpite negli animi, le idee ne hanno seguita la direzione, l’opinione ne ha riflesse e consacrate le massime per fino nello intelletto, e le abitudini l’hanno rese care ed indispensabili.

Non sarà dunque la severità dei precetti, non le massime della morale sovente ripetute nell’adolescenza e nella gioventù, che possa alienare l’uomo dalla inclinazione al fasto. I discorsi declamatori su di cotesta materia si fanno troppo freddamente sentire, non si presentano sotto l’aspetto capace a persuadere, non offrono argomenti per abbattere la forza dell’abitudine, non sono impulsi capaci a disviarci dalla ricevuta direzione, non possono infine sradicare i pregiudizj trasmessi dalla consuetudine.

Se di prevenire si bramano gli effetti perniciosi della importanza che si dà alla mal calcolata sontuosità, non v’è altro mezzo che di impedirne l’accesso nella educazione o di presentarlo sotto quell’apparenza, che lungi di persuaderne il piacere, imprimer ne possa il disprezzo oppure l’indifferenza.

Nella educazione che avrà essenzialmente per iscopo anche i progressi nelle scienze economiche, dobbiamo guardarci di prendere illusioni su di una sì importante materia. Abbandonando ogni genere di entusiasmo, che si perde in vane declamazioni, ne parleremo secondo i principj evidenti della scienza e li prenderemo per guida nelle operazioni che far si devono sopra di quest’oggetto.

È giusto che i nostri alunni non si prevengano in favore delle ostentazioni di fasto e che si accostumino a misurare la loro stima secondo il merito. Questo precetto è vero in tutt’i sensi ed esigge una grande attenzione dalla parte degl’istruttori.

Se gli alunni hanno da accostumarsi ad accordare i loro suffraggi a quelli che meritano lode, non vorrei però che confundessero le idee col credere degne di biasimo tutte le azioni che annunciano qualche spirito di magnificenza.

Allontanando ogni pedanteria parlin loro pure gl’istruttori con sagacità di tutte le idee di lusso. Mostrino la necessità della ostinazione nelle spese, senza di cui formar non potendosi avanzi di veruna sorte e non essendo possibile il dare un valor venale alle produzioni, se ne deve sminuire la quantità.

Se i nostri nobili adolescenti hanno da concepire una riflessa alienazione per ogni ostentazione di fasto mal calcolato, è essenziale che loro si mostri la circolazione viziosa che fanno le spese in questi oggetti, e quanto sia ritardato il loro naturale ritorno verso gli avanzi territoriali.

È indubitabile che con questi ragionamenti concepirebbero un vero disprezzo per tutte quelle spese inoltrate di una eccessiva sontuosità che ritardano la formazione degli avanzi, e che studierebbero i mezzi i più efficaci d’impiegarle in quel genere di consumazioni le più utili alla multiplicazione dei medesimi avanzi, per avvalorare con una ostinata e celere circolazione la multiplicazione delle riproduzioni, affin di accrescere la vera opulenza nazionale.

XXII. Adolescenza commerciante.

Sebbene le cognizioni colle quali vanno arrichiti gl’intelletti delle figliuolanze commercianti e mercadanti sieno meno vaste e meno sublimi di quelle de’ nobili alunni, nulla dimeno sempre sarà necessario il farne varie graduali distribuzioni, che esiggono forse una uguale attenzione per ben dirigerle.

Al par de’ nobili questi alunni vanno raunati nelle vicinanze delle grandi città, a cagione de’ soccorsi in ogni genere, in case situate in aria salubre, case però distribuite secondo le classi con cui sono separate l’una dall’altra le epoche dell’adolescenza, per non confonder le istruzioni regolate dalla età e dal precozio o ritardato avanzamento dei differenti intelletti.

Ad ogni classe ed epoca presiederà qual direttore un membro del Consiglio della educazione, che ha d’avere sotto di lui i necessarj professori per l’insegnamento di tutte le scienze analoghe al commercio, fra i quali talvolta devono reccarsi a lode ed onore di concorrere gli stessi negozianti, il cui zelo meriterà di essere premiato dal sovrano colle distinzioni le più lusinghiere, dovendo sempre risguardare per i migliori cittadini quelli che acconsentano di contribuire alla perfezione della educazione. I precettori avanti di essere ammessi subiranno un rigoroso esame nel nominato gran Tribunale o Consiglio, in cui ritrovar si dovrebbero uomini dottissimi nelle diverse teorie del commercio; nozioni che certamente non disdicono agl’ingegni i più profundamente iniziati nelle scienze astratte.

Gl’istruttori dovranno esser conosciuti come persone di costumi ben morigenati, affinchè alla presenza dei loro alunni non facciano se non azioni degne di essere imitate, troppo importando alla conservazione dell’opulenza di un impero che quelli che si dedicano al commercio ne riconoscano per base la buona fede, senza di cui difficilmente sa prosperare.

Siccome per la maggiore intelligenza dei principj del commercio si stabilirebbero fra questi adolescenti cambj ed altri traffici, per renderne le istruzioni più sensibili ai sensi facciasi loro intendere il principio indelebile che la frode, oltre la taccia che merita di vituperio, non è un’azione suggerita dal sapere ma piuttosto dall’ignoranza degli elementarj principj, un’azione che fa supporre mancanza di lumi e che fa sminuire verso di chi la commette l’altrui credito. Si persuadino infine che tutte le operazioni false e tortuose sogliono quasi sempre produrre perdite e fallimenti. Sieno così i discorsi de precettori sempre concordi co’ precetti della scienza economica, che colla sua fiacola illumina l’uomo in tutte le sociali e morali intraprese.

Queste verità sieno pur sovente ripetute senza mostrar loro aver disegno d’insegnarle. I migliori mezzi ne saranno i frequenti colloquj fra gl’istruttori, nei quali le esporranno co’ termini i più energici ed i più proprj a persuadere. Se si accompagnassero simili istruzioni da racconti ed esempj recitati senza affettazione, crescendo l’interesse nell’ascoltare si aumenterebbe ugualmente l’attenzione di alunni già accostumati a codesto modo di pensare fin dalla puerizia.

Quanti vantaggi non avrebbe mai una nazione sopra le altre, se elevata la gioventù commerciante in codesti principj, giammai non li perdesse di mira nelle progressive età? La fiducia delle estere nazioni lungi di potere essere alterata acquisterebbe una forza sempre maggiore colla libertà, che incoraggendo la concorrenza animerebbe tutt’i popoli della terra a concorrere per renderne colla indicata nozione ognor più forte e più opulente il sovrano che la governa. I di lui bisogni diverrebbero i bisogni di tutte le nazioni; minacciato questi, tutti credendosi ugualmente minacciati correrebbero a prestargli ogni soccorso. Tale è il potere della evidenza. La storia di diversi popoli e tempi me ne confermano il sentimento.

Gli studj delle figliuolanze commercianti dovrebbero essere distribuiti parimenti in sei epoche. Come i nobili alunni, questi adolescenti hanno da fuggire una vita troppo sedentaria, che indebolisce il temperamento e che nuoce allo sviluppamento delle facoltà dello intelletto. Le precauzioni affin che i progressi nelle cognizioni sieno pronti e sicuri hanno da essere quelle stesse che abbiamo già indicate parlando degli studj della nobile adolescenza.

Giacchè i direttori ed i precettori hanno da tenere il luogo di genitori, e di genitori illuminati, sbandito dal cuore l’insano rigore che avvilisce, per formare nei loro alunni animi generosi ed uomini capaci di secondare le idee economiche del legislatore è necessario che sieno di un carattere affettuoso ed ameno. Dovrebbero accostumare i loro alunni a far confidenza di tutte quelle picciole cose che l’adolescenza ispira e che i figliuoli hanno cura di celare a’ genitori (intoleranti), mentre chi è inclinato a mentire e ad ingannare un padre sarà più facile nell’ingannare gli altri. Sono persuaso che meglio è il contenere gli adolescenti coll’onore ed il pudore che col timore. Erra chi crede che un’autorità stabilita colla forza sia più solida e più durevole di quella che ha per base l’amicizia. Questo è il mio sentimento. In fatti chi è costretto al suo dovero dallo spavento del castigo, lo adempie allorchè teme di essere scoperto, e tolto questo timore si abbandona alla propria volontà senza contegno. Ma chi è diretto dalla dolcezza, da’ beneficj, fa il suo dovero senza contrasto e cerca a contracambiare l’affetto che lo dirigge. Presente ed assente sarà sempre uguale. Il dovere dunque di un istruttore consiste nell’accostumar le figliuolanze a fare il bene come un effetto di proprio stimolo e non già per timore. Quelli che sieguono massime contrarie è d’uopo che confessino non esser proprj a presiedere all’altrui educazione.[25]

Siccome la direzione della pubblica educazione dipenderà da’ magistrati che le maggiori prove avranno date di sagacità e di sapienza, i nostri commercianti adolescenti non correranno alcun pericolo di rendere delusa la speranza del legislatore nè quella de’ genitori.

Ma veniamo ora alla descrizione di tutte quelle scienze ed altre cognizioni in cui conviene che sia istrutta quella condizione e classe di uomini destinati ad accellerarne con una fervida concorrenza la circolazion delle produzioni, per multiplicare col maggior fervore gli avanzi alla classe produttiva, da cangiarli in ostinate riproduzioni ed in aumentazione di sussistenze, comodità e vere ricchezze nazionali.

XXIII. Prima epoca.

Nella stessa guisa che i nobili entrarono nell’adolescenza dopo di avere imparate le quattro regole dall’aritmetica, le frazioni ed alcuni conti di proporzione, così i negozianti alunni allo introdursi che si faranno in codesta prima epoca non mancheranno di possedere i medesimi principj e di conoscere altresì molte altre idee che aspettano al commercio.

Finiranno dunque l’aritmetica, comincieranno l’algebra, e prendendo il compasso, la squadra, la riga principieranno anche la geometria, scienze tutte che se guideranno i figliuoli dei ricchi e gl’ingegni felici scelti nella plebe nelle nozioni le più astratte e profunde, non meno al certo serviranno d’introduzione alle istruzioni tutte del commercio.

Rassomiglino le case ove si eleva la commerciante adolescenza alle fattorie. Abbiano tutte qualche negozio. Imparerebbero così a conoscere il valore e le qualità delle merci. Siccome diversi sono gl’impieghi, sieno distribuiti agli alunni sotto la condotta de’ precettori in modo che tutti gli adolescenti vi entrino l’un dopo l’altro a vicenda. Con qual facilità non imparerebbero ad abbracciare lo spirito mercantile ed a gerire le differenti occupazioni che lo compongono!

Si seguiti a mostrar loro la maniera di formare uno stile breve, succinto, preciso, proprio al negozio, che non richiede fiori di eloquenza, ornamenti retorici, tratti spiritosi, ma la semplice esposizione delle commissioni, ricerche, pretese o le risposte alle medesime scritte colle espressioni le più naturali senza ambiguità, in modo che non sieno soggette a diverse interpretazioni, che producono dispute, liti, processi, atti soltanto a rendere il commercio languido e vacillante.

La storia, di cui ne avranno già imparati alcuni elementi nella puerizia, la dovranno proseguire nell’adolescenza, unendo a codesto studio un altro ugualmente importante, cioè la geografia, mostrata come dissi presso natura, cioè colla esposizione delle carte le più esatte ed accompagnata per maggiore intelligenza dalle più necessarie dimostrazioni di cosmografia. Venga insegnata coll’indicato metodo, con semplicità, mediante gli stromenti e machine adatte a fissare l’attenzione su i climi e tutte le rivoluzioni, affinchè prendano lumi chiari sulla diversità delle produzioni, secondo la situazione, il terreno e la temperatura de’ paesi.

Lo studio della economia politica comincierà ad essere intrapreso nell’entrare che faranno gli alunni in codesta prima epoca.

La divisione delle materie di una scienza sì sublime sarà la medesima che abbiamo qui avanti osservata nelle epoche della nobile adolescenza. Non farei che aggiungere di quando in quando riflessioni importanti sulla necessità di accordare una decisa preferenza alla classe coltivatrice come la sola classe veramente produttiva, acciochè ogni discepolo si renda inaccessibile a’ pregiudizj volgari, che danno del commercio e de’ suoi agenti idee chimeriche e disavvantaggiose.

Le leggi della proprietà saranno pertanto il soggetto delle lezioni economiche per questa epoca. Sieno pur definite, sminuzzate e trattate con chiarezza e dettaglio, posciachè formano la base della scienza economica, della legislazione e della morale, secondo il lodevole costume de’ Cinesi, che ne sieguono moltissimi suoi precetti da poi una sì lunga rivoluzione di secoli; precetti che ne rendono il loro vasto impero il più popolato, il più ricco, il più felice ed il più rispettabile di tutti gl’imperi possibili che sono conosciuti dalle tradizioni della storia, ed a cui la pubblica istruzione assicura una durevole ed inalterabile prosperità.

XXIV. Epoca seconda.

Possedendo questi miei adolescenti tutta l’aritmetica ed i principj dell’algebra, vorrei che entrando nella seconda epoca loro si mostrasse l’origine delle monete, le loro proprietà ed effetti. Non avrebbero più in questa guisa tante idee false sulle medesime, ma ne conoscerebbero la natura. Non si lasci loro nulla ignorare in un tale oggetto, giacchè fortunatamente abbiamo libri che parlano delle monete di tutte le regioni conosciute della terra.

Si mostrino loro pure nello stesso tempo le misure ed i pesi presso tutte le nazioni. Le speculazioni diverrebbero in questo modo sempre più facili e sicure. Queste operazioni e proporzioni vanno dimostrate coll’aritmetica e varie volte ripetute co’ metodi più brevi dell’algebra.

Si dovrà seguitare la storia, la geografia co’ principj cosmografici ed indi la geometria. Ben distribuiti tali studj ed insegnati con metodi chiari e sensibili, sarebbero imparati con ardore dagli adolescenti. Non si rimarcherebbe al certo in essi alcuna ripugnanza come suole arrivare nelle volgari scuole, ove si concepisce una vera alienazione per tutte le cognizioni. Per istruirsi i nostri alunni non avrebbero bisogno di fare il più picciolo sforzo intellettuale, ma di secondare soltanto la naturale curiosità eccitandola sempre colla via del piacere.

Continuiamo in questa epoca a farli scrivere lettere di commissione ed altri oggetti di commercio, come altresì ad istruirli nelle qualità e prezzo delle merci dei diversi paesi, scienza giammai abbastanza saputa sì da’ negozianti che dagli stessi mercadanti, che più non sarebbero esposti ad errare in tante speculazioni e progetti chimerici, che accompagnati dalla ignoranza dei modi di riuscirvi, devono per conseguenza accagionar gravi perdite e fallimenti.

Comincieremo in questa seconda epoca un altro genere di studio ameno e piacevole, proprio ad offrire allo sguardo dei negozianti adolescenti tutt’i generi, produzioni e materie prime di negozio. Il leggitore bene intender può che qui parlar voglio della storia naturale.

Non vorrei che codesti alunni imparassero tutt’i rami sì estesi di una tal scienza, ma quelli soltanto che possono essere utili alla loro arte. Non verranno condotti dal profundo anatomico a considerare la maravigliosa struttura del corpo umano e degli altri animali. I filosofi non li guideranno nelle vaghe immaginazioni che in ogni tempo inventarono circa la teoria della terra. Il chimico non li inizierà nei segreti dei suoi fornelli, crucioli, cocurbite, matarazzi ed altri, nè a servirsi del fuoco per far prendere alla natura forme sì variate. Sono queste nozioni amene degne di occupar la mente di que’ gran pensatori che la sublimità dello intelletto rende proprj a passar la lor vita in continue scientifiche scoperte. Si sono insegnate a’ nobili adolescenti, pe’ quali possono essere di una maggiore utilità. Gli alunni però che mostrano inclinazione per divenir medici o per essere impiegati in negozj particolari che esiggono simili studj troveranno altrove le comodità per riuscirvi, e potranno altresì assistere alle dimostrazioni de’ professori della nobile adolescenza.

Nell’esame dei tre regni di natura vorrei che si mostrassero loro i minerali i più utili al negozio, fra i quadrupedi feroci, i docili e comuni, fra i rettili, i pesci, gli animali cinti di conchiglie, gli uccelli, gl’insetti, quelli che oltre le ricche loro spoglie e fatture possono destare mille nuove idee, sì per le particolarità del lavoro come pella varietà dei colori e forme atte a perfezionare le manifatture, le arti ed i mestieri. Il disegno delle conchiglie e delle farfalle sopra il tutto, di quale utilità non sarebbe?

Le tre divisioni dei vegetabili, cioè gli albori, le erbe, gli arboscelli, occupino pure la loro attenzione; ma assai più di quelli che appartengono alla speculativa e medicinale botanica, osservino i prodotti dell’agricoltura come i più ricchi ed i più abbondanti di materie proprie al commercio. Questa scienza dovrà esser divisa in tre parti secondo i regni, e queste parti distribuite in tre epoche differenti.

Imparate le leggi della proprietà personale, originaria e mobiliare nella prima epoca, le lezioni economiche della seconda consisterebbero nelle leggi e precetti politici dell’agricoltura.

Alunni istrutti in tali principj invariabili saprebbero che cento pertiche bene ingrassate e lavorate producono più di cento cinquanta meno ingrassate e mal coltivate, e che i differenti gradi di perfezione nella coltura dipendono dalla maggiore o minore quantità di avanzi procurati da una celere e libera circolazione, che viene interrotta ogni qual volta la proprietà non è sicura.

Imparino anch’essi a rispettare questi inviolabili avanzi ed a concorrere con ogni lor forza a multiplicarli, come altresì ad accrescere nel loro cuore la giusta e ben ragionata gratitudine per i proprietarj che fanno le spese originarie e più ancora pella classe coltivatrice che impiega le sue ricchezze nel costringere la terra a multiplicare sempre più i suoi doni. Si persuadino col calcolo il più esatto che la sola terra produce e che la quantità delle sue produzioni è proporzionata in ogni tempo e sotto ogni clima alla quantità ed alla ostinazione delle spese. Non perdendo così questo principale oggetto della memoria, l’avrebbero di mira in tutte le giornaliere operazioni e speculazioni di un commercio solido e fervoroso, perchè il più utile ed il più vicino all’agricoltura.

XXV. Terza epoca.

Imparate nella seconda epoca le regole del cambio, le misure ed i pesi, finita l’aritmetica, avanzati nell’algebra e nella geometria, sarà tempo d’insegnare a questi adolescenti il disegno troppo necessario in più guise al loro stato.

Se il disegno accresce nel pacifico possessor delle terre l’affezione pell’agricoltura; se preparò in molti talenti felici il genio che li trasportò a divenire col pennello perfetti imitatori della natura, di tutte le scienze ed arti; se animò molti altri a far progressi maravigliosi nell’architettura e nella scoltura, con cui eressero superbi monumenti, rispettati perfino dal tempo distruttore; diresse altresì varj uomini, che risguardar si devono come pubblici benefattori, ad inventare manifatture, arti, mestieri, machine colle quali arrichirono in più modi le patrie loro e gli altri popoli che ne approfittarono.

Quanto sia principalmente favorevole alle manifatture, ramo sì essenziale del commercio,

ben se lo può immaginare ogni esperto in questa arte, ed esserne persuaso nel veder languire fra molte nazioni varie manifatture solo pella mancanza di abili disegnatori generosamente rimunerati in quei paesi ove s’intendono i veri interessi del commercio. Quanto non guadagnerebbe, se questa arte nobile e liberale venisse animata dalla emulazione ed insegnata nella educazione, che sola sarebbe capace di portarla ai gradi i più eminenti di perfezione!

Ajuterebbe i negozianti adolescenti nello studio della storia naturale, che prosiegueranno in questa terza epoca, ajutati da tutte le figure ben dipinte, affinchè meglio imparino a conoscere le rappresentazioni degli animali, minerali e vegetabili che essa rinchiude. Tal volta una bella conchiglia, una vaga farfalla, il lavoro di un insetto suggerì arti, mestieri, manifatture.

Si dovrà continuare in codesta epoca la cosmografia e la geografia, scienze sì necessarie ad un negoziante che porta con queste le di lui mire ardite in tutt’i climi, in tutte le nazioni per obbligarle a cedere parte delle loro spoglie, che abilmente cangia col superfluo di altre, in tal modo calcolate che gli divengono ognor favorevoli, perchè sa sciegliere i tempi, i bisogni, le stagioni e le altre variazioni sì dell’arte che della natura.

Per saper dunque i bisogni e le superfluità è d’uopo render loro principalmente la geografia del tutto famigliare, accompagnando però la descrizione dei diversi paesi con quella di tutte le loro produzioni, prezzi, misure, distanze con ogni esatezza possibile, in quegli oggetti almeno ne’ quali sono di accordo i principali viaggiatori dei secoli rischiariti.

A misura che si andrà avanzando nella storia naturale, nella geografia e cosmografia, la corrispondenza diverrà sempre più interessante ed amena. Fingendo scriver le lettere da tutte le piazze della terra, si accostumino a talmente abbracciare lo spirito delle diverse nazioni che nel leggerle si possa quasi dubitare essere veramente venute da quelle regioni donde sono datate.

Sieno pur continue le operazioni dell’aritmetica e dell’algebra, affinchè imparino a divenire di buon’ora calcolatori. Quantunque in quest’epoca sarebbero questi adolescenti in una ancor verde età, possederebbero il calcolo quasi al par di quei negozianti che passan per profundi. Ne sieno frequenti le ripetizioni, mentre quando anche sono bene imparate, se si lasciano per poco in abbandono facilmente vengono smenticate. In qualunque epoca, in qualunque età lasciar non si debbono scorrere molti giorni senza formare in codesta scienza le ordinarie non solo, ma le più difficili e le più astratte operazioni.

Le lezioni economiche consisteranno nelle distribuzioni e circolazioni delle produzioni e ricchezze. Si spieghino con dettaglio e chiarezza le bellissime verità e si sciolgano i problemi interessanti che contengono.

XXVI. Epoca quarta.

Il commercio onorò a vicenda l’un dopo l’altro molti popoli. Si è sempre compiaciuto di errare di clima in clima. Le sue rivoluzioni spesso furono veloci ed impetuose, alcune fiate preparate con lentezza da lungi, ed alle volte dopo di aver privata una nazione della sua primazia, gliene lasciò almeno qualche vestiggio.

In ogni tempo favorì chi lo seppe favorire, lusingò le nazioni che lo pagarono con lusinghe. Fece prosperar quelle che lo secondarono con uguali prosperità. Abbandonò le altre che approfittar non vollero delle sue generose offerte. Il commercio infine è come quell’amante gelosa che non accorda il possesso del suo cuore se non a colui che con una ostinata costanza sempre accarezzandolo di continuo gli si mostra fedele ed appassionato.

Gli straordinarj avvenimenti che presentano le rivoluzioni del commercio si possono vedere nel corso della storia, che al par de’ nobili alunni intraprenderanno questi adolescenti durante il tempo delle sei epoche. Una esatta ed imparziale descrizione della maniera con cui s’introdusse fra i varj popoli, come li arricchì, in qual modo si annunciò nell’abbandonarli, sarebbe una utilissima fatica, una opera degna delle più esimie lodi, perchè necessaria alla educazione di quegli alunni che sono destinati ad esercitarlo.

Mettiamo nel nostro corso di storia sotto un punto di vista chiaro ed interessante qual diffetto avessero le legislazioni di quelle nazioni ove si scemò o si distrusse; quale forma il governo; quali leggi fondamentali le nazioni fra le quali si mantenne longo tempo fervente.

La storia che si è mostrata a’ nobili adolescenti può servire anche a questi alunni. Le rimarche su i diffetti e le depredazioni contro l’ordine della natura saranno ugualmente utili pegli uni e pegli altri. La differenza non sarà troppo rimarchevole e non dovrà consistere nella descrizione de’ fatti, ma solo in alcune riflessioni. I nobili approfundiranno le ricerche le più confuse, difficili ed astratte sopra tutte le leggi, ordini e disordini di ogni forma di governo. Gli alunni però destinati al negozio sostituiranno alle medesime le investigazioni legislative che hanno rapporti con tutte le operazioni del commercio. I professori che li dirigeranno in questo studio non avranno già bisogno di ricorrere ad invenzioni prese nel proprio ingegno, ma attenendosi alla realità de’ fatti, virtù distintiva dello storico, troveranno nella loro catena luminosissime verità, alcune consolanti ed altre funeste, di cui le une provano le cagioni dell’origine e della prosperità e le altre la decadenza e la distruzione del medesimo commercio. Non si disviino però nelle rimarche da’ principj della economia politica, mentre coll’allontanarsi dai medesimi si rinuncia ai lumi i più puri, proprj a rischiarirci in un sì penibile cammino.

La geografia che avranno cominciato nella puerizia servirà efficacemente allo studio della storia, la imparerebbero così con fundamento ed in modo di non poterla smenticare.

La cosmografia, che sapranno a perfezione in codesta quarta epoca dell’adolescenza, li dovrà guidar alla marina e ad imparar gli elementi dell’arte della costruzione dei vascelli, paragonando quella delle odierne nazioni co’ metodi diffettosi che si praticavano nella antichità.

È incontrastabile esser lo studio della navigazione di un gran soccorso a’ negozianti e mercadanti. Conoscendone tutt’i pericoli e le utilità, concorrerebbero in più modi alla perfezione di queste due arti ed alle altre provvidenze necessarie a rendere il trasporto delle merci più celere e per conseguenza meno costoso. Oltre queste ragioni, facile sarà il persuaderli della utilità di queste scienze a’ negozianti, che si deciderebbero allora ad intraprender diversi viaggi e speculazioni, che assistite dalla loro presenza e cognizioni diverrebbero sempre più fruttuose.

Lo studio della nautica unito al disegno applicato alle cose della marina diverrebbe ognor più facile ed ameno. Il calcolo e la geometria li condurrebbero in tutte le nozioni che ne dipendono. Non avrò d’uopo il ripetere che gli stromenti, figure e machine esposte ai sensi servirebbero assai più dei metodi astratti, che non sono applicati agli oggetti visibili.

Si dovrà seguitare in codesta quarta epoca la storia naturale, studio dilettevole che sarebbe pegli adolescenti un vero divertimento.

Con tante occupazioni non si tralasci per questo la corrispondenza delle lettere, assai più estesa in questa epoca che nelle altre. Se si brama di ridurla ad un metodo esatto e preciso, vorrei che si mostrassero a codesti alcuni elementi di logica e di grammatica, ben guar­dando però d’inoltrarli nelle regole troppo astratte, inutili alla condizione de’ commercianti, la cui somma principale di occupazioni ed insegnamenti conviene che sia intieramente analoga allo stato che tengono nella società.

Alla circolazione e distribuzione delle produzioni e ricchezze succederanno nella quarta epoca le lezioni sul commercio politico, cioè sulle leggi essenziali e naturali nelle quali esser deve fundato.

Sia dimostrata la libertà come un effetto necessario di qualunque contratto sociale, effetto senza di cui sono lese le sacre leggi della proprietà. Si esaminino le funeste conseguenze di tutte le proibizioni, ostacoli, preferenze, privative in ogni genere di negozio, ma principalmente in quello de’ grani, vini, carni ed altri comestibili e consumazioni di primo bisogno; ostacoli tutti che se aboliti fossero dall’autorità tutelare, si vedrebbe sbandita per sempre la penuria ed arricchite in pochi anni le più misere nazioni.

Impieghino i precettori gli argomenti i più forti in favore della libera ed universale concorrenza in ogni genere di negozio, in tutte le manifatture, arti, mestieri, professioni, lavori ed industria della classe industriosa, affinchè questi adolescenti imparino ad odiare i monopoli come gli strumenti i più proprj a rovinare le nazioni le più opulenti. Si convinchino che la concorrenza è l’unico mezzo che può far fiorire il commercio, commercio che allora soltanto merita la energica descrizione di un moderno poeta:

Il rapproche tous les climats,
Des besoins mutuels agissant interprête,
Du sol le plus aride il bannit la disette,
Et fertilise les Etats.[26]

XXVII. Epoca quinta.

Ho smenticato fin qui di parlare di un altro genere di studio necessario alle figliuolanze mercantili, a cui si dovrebbe occuparli fino dalla puerizia. Si è quello delle lingue. Qui non è questione della greca e della latina. Poco importar deve che gli alunni destinati al commercio sappiano apprezzare le eloquenti orazioni di Demostene, le tragedie di Sofocle, le commedie di Aristofane e di Menandro, le opere di Platone, Aristotele e degli altri filosofi greci. A che servirebbero le attrattive della eloquenza di Cicerone, le bellezze di Orazio, Plauto, Terenzio, Virgilio, Cornelio-Tacito, Seneca? Piangeranno forse di non esser nel caso di digerire i voluminosissimi scritti de’ santi padri, oppure le opere immense de’ chiosatori ed interpreti delle leggi compilate dalla ignoranza ed inventate dalla crudeltà de’ tiranni o dalla malenconica e turpe freddezza de’ loro ministri e di altri spiriti intorpiditi nella barbarie?

Le lingue a cui si devono applicar le figliuolanze de’ negozianti e dei mercadanti sono la tedesca, la francese e l’inglese. La prima conduce ad intender con facilità le favelle delle nazioni settentrionali, colle quali possono aver molte relazioni; la francese come quella che essendo generalmente sparsa in tutte le parti del mondo, non deve essere ignorata da coloro che si propongono di avere una vasta corrispondenza e ad intraprender lunghissimi viaggi; l’inglese per esser la lingua di quella nazione che fa la prima figura nel commercio.

Loro s’insegneranno codeste lingue come s’insegnò a’ nobili alunni il greco ed il latino, cioè non già annojandoli colle regole grammaticali ed astratte, ma parlando i detti linguaggi comunemente come la favella nazionale, e ciò fino dalla puerizia, età la più propria a prenderne nello stesso tempo i difficili accenti.

Vorrei che nell’adolescenza queste due favelle si adoperassero anche nelle corrispondenze letterarie, alternandole colla nazionale. Quanti vantaggi non avrebbero mai in sì fatta guisa i miei alunni commercianti sopra i negozianti delle altre nazioni?

Nell’entrare in questa epoca avrebbero già finiti gli studj della geografia, cosmografia, storia naturale e di tutto ciò che importa che sappiano nella geometria. Potrebbero qui entrar nella mecanica.

Il miglior metodo affinchè possino far celeri progressi sono le machine stesse, ma soltanto quelle che sono in uso nelle manifatture, arti, mestieri, agricoltura, quelle infine che esser possono di qualche utilità sensibile al commercio, e non già le altre che furono inventate per la perfezione delle scienze.

Il calcolo servirà non poco all’intelligenza della mecanica, ed in tal guisa che si porterebbero forse un giorno ad accrescere il numero di quelle proprie a facilitare tutt’i rami che dipendono dal commercio.

Il disegno, di cui già ne mostrai l’utilità, quanto non gioverebbe in questa impresa?

Le epoche dell’adolescenza mercantile devono esser più lunghe di quelle della nobiltà. Se questa le finisce in circa all’età di dieciotto, l’altra durar le farà fino alli venti, eccetuando però quei talenti estraordinariamente precozj, quali dotati di una più perfetta e particolare organisazione s’innalzano con rapidi voli nelle regioni delle più sublimi cognizioni in tanto che altri con molte pene e stenti non vi arrivano se non lentemente; di bel nuovo dunque ripeterò che le epoche vanno misurate assai più dalla capacità dei diversi ingegni che dalla età, la quale non sempre diriger può a misurare le facoltà dello intelletto umano. Se ho detto che le epoche degli studj delle figliuolanze commercianti avranno una più longa durata, la ragion si è che al sortir delle medesime sono destinati ad entrare senza ritardo nel centro del loro stato, ben differenti dei nobili alunni, che scorse le epoche dell’adolescenza sono destinati a nuove occupazioni secondo gli stati che loro piacerà di abbracciare.

Se taluno mi dirà esser troppo sublimi gli studj degli alunni destinati al commercio, lo pregherò prima di formar un tal rimprovero di esaminare se qualcuna delle esposte nozioni analoga non sia alla loro condizione.

Sembrerà da un altro canto forse ad alcuni ch’io abbia singolarmente limitate le cognizioni in cui iniziar si devono i figliuoli de’ negozianti e mercadanti.

Al par dell’altro, questo rimprovero sarebbe ugualmente ingiusto. Qual vantaggio avrebbe mai uno stato, se i figliuoli dei commercianti fossero educati ne’ principj di tutte le scienze come i nobili alunni? Ne arriverebbe che annojandosi molti fra’ medesimi del loro stato, gustando la insinuante carriera delle scienze o belle lettere, abbandonerebbero quella del commercio in cui colla perspicacità dei talenti avrebbero potuto contribuire alla pubblica e privata opulenza.

Se gli studj della educazione hanno da essere utili alle nazioni, facilitare le operazioni dei governi, devono dirigersi a quello scopo a cui tendono i diversi stati delle società, affinchè ogni talento venga costituito in maniera a non produrre se non quei frutti proprj a quel dato stato ove si ritrova collocato. Questa idea non impedisce però il legislatore di destinare quegli alunni di un talento particolare verso quella data scienza per cui mostrano una particolare inclinazione. Gl’ingegni singolari si dovranno separare da qualunque stato ed entrare in quella condizione a cui li chiama ad alta voce la sincera natura.

Se poi fra le occupazioni del commercio taluno dei negozianti bramerà di possedere anche le altre cognizioni, non credo già che le imparate nozioni e rami di commercio gli possan servire di ostacolo ad internarsi perfino nelle scienze più attratte e più difficili. Le scienze tutte si abbracciano con una mirabile catena. Le une possono servir di guida per ben trovare il cammino delle altre; questa verità è troppo chiara per aver bisogno di prova.

Lo studio delle scienze può assai bene accoppiarsi col negozio. Conosco io stesso vari sapienti che sanno ripartir le cure mercantili di un negozio perfin di dettaglio colle profunde meditazioni della fisica, metafisica, matematiche, morale ed altre scienze; nelle quali fatte avendo molte scoperte, il pubblico ne onorano senza cessar di esser negozianti e mercadanti.

La scienza economica offrirà in questa quinta epoca i ragionamenti solidi e persuasivi sull’autorità tutelare, senza la quale non vi è sicurezza, nè libertà, nè proprietà, nè agricoltura, nè felicità.

XXVIII. Epoca sesta.

Arrivati i commercianti adolescenti in questa ultima epoca della carriera degli studj, finirebbero ciò che resta da imparare nella nautica e nell’arte di costruire vascelli e navi, scienze ed arti che dovrebbero essere ajutate dal disegno, dalla geometria e dal calcolo.

Si applicherebbero a’ principj ed ai dettagli i più essenziali dell’architettura civile, acciochè sieno un giorno capaci di presiedere alla fabbricazione di magazzeni ed altri edificj. Si potrebbe qui dar loro tutte le cognizioni essenziali per la buona distribuzione de’ medesimi e sopra la maniera con cui vanno conservate le derrate e mercatanzie che ivi saranno rinchiuse.

Avanti di conchiuder quest’ultima epoca vuo’ parlar di un altro studio non men necessario a codesti alunni. Si è quello delle sacre note. Le tradizioni sulla rivelazione, i santi dettami del Cristianesimo che vi si ritrovano saranno letti da qualche professore ne’ giorni festivi; si sbandisca un mal ragionato entusiasmo, sieno le lezioni esposte con semplicità, con candore, metodo il più sicuro per fare amar la verità, per iscolpirla nella memoria e più ancora in tutti i vincoli e recinti del cuore.

Stabiliscano le lezioni economiche la necessità delle imposte dirette prese nell’ordine della natura e precedute da ragionamenti sopra le pessime conseguenze di tutte le gabelle e tasse indirette, che sminuendo gli avanzi, sminuiscono la quantità delle produzioni, unico fundo di opulenza nazionale.

Non mi estenderò nel parlare di quest’ultima epoca. Veduti ne abbiamo i nuovi studj che vi si faranno. Le principali sue operazioni consisteranno in esami e ricapitolazioni sulla economia politica e sulle altre scienze ed arti che si sono insegnate durante tutto il corso dell’adolescenza.

Questi esami e ricapitolazioni si faranno avanti il pubblico, e sopra il tutto alla presenza del supremo Consiglio della educazione, onorati gli alunni da quella dello stesso sovrano.

Alla fine di ogni epoca si osserverà il costume di cui ho fatta menzione nella nobile adolescenza, cioè di esaminare e ricapitolare gli studj della data epoca, affinchè gli alunni non passino ad un’altra superiore avanti di aver scolpite nella memoria e nello intelletto le già insegnate cognizioni.

XXIX. Passioni, lusso, rispetto pegli altri stati, fatiche, esercizj, arti cavalleresche e musica.

Se i direttori filosofi, se i precettori studiarono con attenzione tutte le inclinazioni dei nobili alunni; se collo analizzar la fonte delle loro azioni avranno fatta ogni sorta di scoperte per conoscer l’origine e le marcie progressive delle diverse passioni, la medesima occupazione avranno d’uopo d’intraprendere gl’istruttori delle figliuolanze de’ commercianti, affin di animar quelle che sono utili al loro stato ed impedir l’accesso delle altre che sono perniciose. Per non ripetermi altre volte, dirò che le passioni devono formare uno studio indefesso presso del Consiglio della educazione e nei precettori. Abbia dunque ognun de’ medesimi esatte tabelle, ove si scrivano le diverse azioni degli alunni e le cause produttive, come ho già spiegato qui sopra nel capitolo delle passioni della nobile adolescenza.

Se abbiamo respinto il fasto e l’ostentazione delle spese di una soverchia magnificenza lungi delle abitazioni de’ nobili alunni, molto più dobbiamo procurare di allontanarli dalle figliuolanze negozianti e mercadanti, alle quali esser potrebbero di un maggior nocumento. Vengano pure anche questi adolescenti inclinati a quelle spese proprie ad accrescere la somma degli avanzi per ottenere un ostinato accrescimento di riproduzioni e di vera opulenza nazionale.

Imparate pur di buon’onora, miei commercianti alunni, che vane sarebbero le vostre speculazioni, se chinato l’agricoltore frugale sotto il carco delle sue fatiche, esposto agli ardenti raggi del sole, alle dirottissime pioggie, non solcasse la terra per farla produrre mille variati generi e frutti; se il pallido miniere internato nelle sue viscere, sepolto in oscure e profundissime spelonche, con ogni possa i metalli non distaccasse dalla massa minerale dei monti, esponendosi ad una sicura morte precozia per separarli l’un dall’altro col mercurio, i cui vortici velenosi rendono la breve sua vita sempre più infelice; se l’intrepido nocchiero non si esponesse alla furia di tanti aquiloni impetuosi, traversando un liquido immenso sempre incostante e traditore, per trasportar nei climi stranieri ogni sorta di merci, e da quelli apportarci altri prodotti della natura e dell’arte, quasi sempre menando una vita sventurata; se l’instancabile artigiano col suo indefesso lavoro non fosse assiduo ed industrioso a segno per far prendere a’ prodotti della terra cento e cento forme diverse ed utili nelle tante arti, mestieri e manifatture, che bagna co’ suoi direi freddissimi sudori; se l’intrepido guerriero disprezzando i disaggi, i pericoli, la morte, ciecamente ubbidiente non corresse a rispinger lungi dalle frontiere un impetuoso e rapace nemico; se il magistrato incorruttibile e dotto, invece di darsi in preda al piacere ed a’ dilettevoli solazzi, notti e giorni non passasse in continue vigilie, letture di libri e di minutissime scritture che gl’indeboliscono gli organi della vista, affin di vegliare contro le intraprese degli uomini ingiusti, di mantenere sicuri i virtuosi asilj della innocenza dalle rapine de’ tumultuosi e malintenzionati cittadini, che altrimenti intorbidirebbero la pace sì necessaria al negozio, e rovescierebbero tutti gli ordini e le convenzioni che mantengono i diversi stati della società.

È bene che le figliuolanze commercianti imparino a conoscere la somma differenza che por devono fra i fallitori maliziosi e gl’innocenti ma sventurati. Vorrei che si accostumassero a paragonar questi agli arditi naviganti, che i primi cercando, allontanandosi dalle spiaggie conosciute, di scuoprir nuove terre, nuovi continenti, perirono in quelle onde spumose fra le quali aprir si vollero il cammino, sì per loro che per gli altri, a nuove ricchezze.

Giacchè quelli che fallirono senza aver commessa alcuna frode hanno una sì legittima pretesa alla pubblica stima, è necessario che le figliuolanze commercianti imparino in una ancor tenera età a gettar sopra di loro sguardi sensibili e compassionevoli, affinchè si portino a sollevali nelle fatalità e rimetterli per quanto da loro dipende di bel nuovo nella smarita via della fortuna.

Più di quelli dei nobili alunni, faticosi esser devono gli esercizj delle commercianti figliuolanze, acciochè indurendo i lor corpi, proprj li rendano ai viaggi ed alle fatiche. Il ballo, la cavalerizza, la scherma, oltre le corse, i bagni, il nuoto, saranno occupazioni consuete di tutt’i giorni, utili in più guise al loro stato sempre attivo e vigilante. Potrebbero così sopportare un giorno ogni travaglio, scorrere tutt’i climi in tutte le stagioni, senza sentire i tristi effetti dei cangiamenti a cui sono sottoposti coloro che elevati nella mollezza si resero languidi e deboli. Le vicende, i pericoli, le rivoluzioni della dura sorte non li renderebbero più sì infelici. Accostumati anch’essi alle sensazioni dolorose, quanti piaceri non goderebbero, che non possono esser sentiti da coloro a’ quali fu data una effeminata educazione?

Vorrei che oltre di ciò imparassero la musica; libera sia la scelta degli stromenti. Preferendo quelli pei quali si sentono maggior propensione, più celleri ne sarebbero i loro progressi.

La musica è un’arte divina, alletta gli animi nostri nelle triste vicende; diminuisce ne’ pericoli le idee di orrore; ed in qualunque posizione si ritrovi l’uomo che la coltiva, gusta colla medesima molte variate piacevoli sensazioni. Siccome è propria sopra il tutto ad ispirare l’umanità e la compassione, sarà una scienza necessaria alla educazione, scienza raccomandata dagli antichi filosofi, ma più utile ai nostri dì; perchè acquistata avendo colle molte scoperte nuove dilettevoli variazioni, si è resa infinitamente più ornata ed interessante.

XXX. Idee preliminari sull’adolescenza degli artigiani.

Ho guidato il nobile sovra un sentiero facile ed ameno nella sublime carriera delle scienze e belle lettere. Ho preparato in sì fatta guisa i semi proprj a formare col tempo dotti ed incorruttibili magistrati, valorosi ed istrutti ufficiali; questi per difender la patria, e quelli per mantenerla tranquilla e felice. Ho esposto il metodo con cui elevare si possono profundi calcolatori di tutt’i prodotti della natura e dell’arte, affine di procurare ad una nazione un florido commercio; vediamo ad ora quali sieno i mezzi di formare uomini industriosi ed infaticabili, atti a perfezionare le arti mecaniche ed i mestieri, la cui eccellenza è sì necessaria alla prosperità di qualunque impero.

Quanto sia importante il ben elevare le figliuolanze degli artigiani, l’ho dimostrato nel primo volume di codest’opera, ove assai più dei fiori di uno stile ricercato e gonfio, procurai di unire molte verità chiare ed utili pella ricerca di un oggetto di tanta importanza. Il bisogno che si ha in varj paesi d’Italia di provvedere all’educazione degli artigiani ci viene indicato dallo stato languido in cui si trovano oggidì i mestieri e le arti mecaniche, venendo superati nelle medesime dagli abitanti di altre contrade, nati con una minor somma di vantaggi d’intelletto e d’ingegno.

Fra i vari popoli che si distinguono ne’ mestieri e nelle arti mecaniche, sono quelli di diverse parti della Germania, che forniscono abili artisti non solo alla lor patria ma ad estere nazioni, preferenze sensibili accordate da una migliore educazione. In fatti quanti stabilimenti non ho veduti, nei ducati di Veimar, di Gota, in tutta la Sassonia, negli ellettorati di Brandeburgo, di Hanover ed in altri paesi di quella regione; stabilimenti che pubblicano l’elogio della sagacità dei regnanti che li fundarono, di quelli che li mantengono, come dell’attività ed industria con cui rispondono a sì graziosi inviti coloro pei quali vennero destinati. Quanto maggiori progredì non farebbero, se troppo crudeli e rozzi i loro precettori, invece della sferza e del bastone, si servissero di altri stimoli presi nell’onore, nell’amor proprio e nella cognizione delle passioni? Guidati allora con una sicurezza assai più grande, perderebbero quella timidità che li distingue, e coll’aumentarsi la loro naturale libertà, aumenterebbero altresì i gradi di attività e d’industria. Sebbene abbia io fatti i meritati elogi dei prefatti stabilimenti, non posso per questo mancar di osservare che si potrebbe dare ai medesimi un metodo più perfetto, non solo riformando il rigore della disciplina, ma dando agli studj che ivi si fanno una maggior estensione, mettendo a profitto il tempo che si perde infruttuosamente in tante pedanterie, divozioncelle, pratiche puerili, che nudriscono di buon’ora la funesta inclinazione per le opinioni superstiziose.

Ma come temere ne’ miei stabilimenti tal sorta di disordini morali e politici, se diretta l’educazione di tutti gli stati della società da un supremo Consiglio di uomini dotti, istruiti gli alunni da precettori severamente esaminati, il vile interesse, le opinioni di fanatismo non ne formeranno il codice? Ogni genere di pedantismo che governò tanti secoli e che governa tutta via lo spirito delle pubbliche scuole non insinuerà ne’ teneri cuori de’ miei alunni la profunda venerazione pelle opinioni le più assurde, che fortificate coll’età rendono le nazioni vittime del fanatismo.

Sembrerà che io sorta qui dal mio soggetto per inveire di bel nuovo contro i pubblici studj, dei quali già ho indicate le perniciose conseguenze. S’ingannerebbe chi lo pensasse, mentre non ho in questo altra mira che di sostenere i disastrosi effetti del rigore eccessivo con cui sono governati simili stabilimenti, che esiggono metodi dettati dalla umanità e per direttori uomini spregiudicati ed iniziati nella marcia della natura.

Non temete dunque, adolescenti miei artigiani, che assoggettire vi voglia ad una troppo stentata e penosa disciplina. Se scherzato avete nella puerizia, se in preda al diletto passata avete quella età, il piacere abbandonar non vi deve nell’adolescenza. Saranno più serie in vero le vostre applicazioni, più complicate le vostre cure; ma non già private di diletto e di gioja, sentimenti deliziosi nei quali i vostri direttori succhieranno i veri principj di tutte le vostre istruzioni. Ingiusti non siate ad accusarmi di rigore e di crudeltà. Sensi sì duri giammai non si annidarono nel mio cuore. Se vo’ che i nobili ed i commercianti alunni divengano generosi e magnanimi, allontanando dalla loro educazione la fisica e morale severità, pretendo di formare anche in voi animi sensibili e fervidi. Camminate pure nella via della felicità senza diffidenza; scorgete ne’ direttori fratelli ed amici che entrano con bontà e compiacenza nelle vostre passioni acciochè possiate di loro pronunciar con fundamento quel che diceva Eschino nella commedia degli Adelfi di Terenzio.[27]

I pubblici stabilimenti di educazione pegli artigiani sarebbero di una grande utilità alle arti mecaniche ed ai mestieri, non solo nel formare utili artefici, ma anche pella ragione che pensar non dovendo i genitori parimenti artigiani alle cure difficili di elevare le numerose figliuolanze, esser potrebbero più attivi nel lavoro. Avrebbero il bel contento di esser padri di figliuoli sì ben inclinati al dovero ed al travaglio, senza le pene di mille cure che interrompono le diverse professioni. Crescerebbe così ne’ cuori la riconoscenza pei sovrani.

Affinchè questa educazione non sia tanto gravosa allo stato, i genitori più ricchi potrebbero contribuire in qualche parte secondo i mezzi. Credo però che non si avrebbe bisogno di ricorrere a tali spedienti, mentre le riforme indicate nel primo volume di codesti saggi e più ancora e con maggior sicurezza le imposte dirette darebbero da che adempiere in ogni parte l’oggetto legislativo della pubblica educazione.

Questo pensiero mi conduce a riflettere non aver d’uopo il sovrano di estender sì lungi la sua generosità nella educazione de’ nobili e dei commercianti. Fra questi non si dovranno mantenere a spese pubbliche se non i figliuoli di quelle nobili e commercianti famiglie che non sono a sufficienza ripartite di beni di fortuna, e quegli ingegni felici ed elevati, che sebbene nati in uno stato abbietto, meritano pe’ loro talenti di essere annoverati ed elevati fra’ nobili o fra’ commercianti.

Per non confundere troppo l’ordine della materia, avviserò di bel nuovo che i primi sentimenti da ispirarsi agli artigiani sono quelli di riconoscenza verso un sovrano sì benefico, che tutto si occupa dell’altrui felicità loro procurando una elevata educazione, che altrimenti sperare non potrebbono nel seno delle famiglie.

Vengano questi sensi ogni giorno ripetuti, uniti colle massime di religione. Imparino che l’amare il suo sovrano, che l’esser penetrati di desiderio di correre alla sua difesa, al suo sostegno è una porzione del culto il più puro che dar si possa alla divinità.

Nell’insinuare i giusti sentimenti di riconoscenza verso l’autorità tutelare si servino gl’istruttori del metodo suggerito dalla economia politica, acciochè tutt’i precetti concorrino alla maggiore e più dilatata cognizione dell’ordine naturale.

XXXI. Modi proprj a facilitare l’educazione degli adolescenti artigiani.

Se qui esaminar volessi parte a parte tutte quelle istruzioni che convengono a quella porzione di classe industriosa che è destinata a multiplicare gli avanzi alla classe produttiva colla compra di tante materie, che destina alla sussistenza ed a più sorta di fatture per divenir proprie a soddisfare tanti bisogni e comodità, tenterei allora una impresa sì ardua e sì disastrosa che quasi mi diverrebbe impossibile. Il volere scrivere l’educazione per ogni arte, mestiero o manifattura in particolare sarebbe d’uopo il formare una voluminosissima opera, che esigerebbe da chi trattar la volesse con esatezza una chiara e profunda cognizione di quasi tutt’i prodotti dello intelletto umano e la teoria di ognuno; tanto più che col perfezionare che si fece il commercio e le scienze stesse, considerabilmente si accrebbe il numero delle arti, dei mestieri e delle manifatture, molte delle quali furono inventate in questi ultimi secoli perchè vi comparvero spiriti creatori in tutte le sorte di cognizioni.

Sarebbe ugualmente impossibile di riunire in un sol domicilio tutte le arti, mestieri e manifatture, principalmente quelle che esiggono luoghi spaziosi, sì per la quantità delle mani per lavorarle come per le machine e strumenti di una troppo vasta mole.

Gli stabilimenti pella educazione degli artigiani non dovrebbero esser tutti radunati nella città capitale, ove l’aria diverrebbe sempre meno salubre col concorso di sì gran numero di genti. Basta che vi sieno due o tre stabilimenti. Gli altri saranno sparsi in tutte le provincie. Faciliterebbero in questa guisa la circolazione delle produzioni.

Per la comodità della istruzione di codesti alunni, le manifatture dovrebbero essere situate nelle vicinanze dei loro stabilimenti, sciegliendo sempre quei luoghi i più proprj sì per la facilità del trasporto come per quella di trovar le prime materie che aver devono alla mano, se si vuole che il prezzo ne sii modico; prezzo che sempre decide del loro avanzamento.

Ho detto già nel primo volume che i fanciulli artigiani schiavi non saranno delle occupazioni dei loro genitori. Scorrendo le sale e manifatture, osservando il lavoro di varie arti e mestieri, scieglierà allora ognun dei medesimi quella che più interessa la sua curiosità ed il suo genio, quella a cui si sente chiamato dalla stessa natura che non permette d’ingannarsi. Quanti talenti che ora si perdono o che restano nella mediocrità per voler seguire le pedate o le volontà de’ loro padri, prendendo quella carriera a cui l’invita l’inclinazione diverrebbero spiriti creatori o almeno perfettissimi immitatori!

Le arti, i mestieri e le manifatture delle quali sta particolarmente a cuore del legislatore la perfezione, quelle che sono le più difficili, devono aver luogo nei recinti di codesti stabilimenti, mostrate dai più abili maestri alla presenza però di qualche precettore o sia direttore di costumi, affinchè tali maestri non si abbassino ad insegnare nello stesso tempo alcune azioni di collera, d’impazienza o di altre passioni, la cui nozione allontanar conviene da queste abitazioni della innocenza. Per meglio mantenere la purità di costumi fra tali alunni non si dovranno ammetter per maestri se non quelli che unita alla abilità mostrano di essere morigenati.

Le arti, i mestieri o manifatture che si troveranno nei recinti dei stabilimenti di educazione non saranno se non alcune poche, che non occupino un troppo grande spazio e che sieno di una gran difficoltà a perfezionare, mentre le altre arti e mestieri saranno insegnati alle figliuolanze degli artisti nelle case stesse dei differenti mastri e nelle fabbriche, assistiti come ho osservato dai loro precettori morali. Passeranno in codeste case alcune ore tutt’i giorni, e da quelle ritorneranno ai domicilj per ricevere le altre necessarie istruzioni.

Il lavoro degli alunni dovrà per natura appartenere a’ mastri, che così avrebbero una quantità di mani senza la cura di pagarle. Per eccitare ognor più il zelo de’ maestri nella istruzione degli adolescenti artigiani, non sarebbe mal fatto il rimunerarli con alcune pensioni ed onorifiche distinzioni, che hanno troppa forza nei cuori degli uomini i più rozzi per non produrre effetti prodigiosi. L’interesse e le lodi sono due mobili possenti proprj a risvegliare le passioni, a scuotere l’inerzia; mobili che governano con impero il genere umano. Quanti artigiani non cercherebbero di fare portenti d’industria per meritare di esser conosciuti capaci d’insegnare le arti loro alle figliuolanze della nazione?

Nelle distinzioni che accordar si devono ai maestri bisogna ben guardarsi di concedere prerogative che possano limitare la libertà delle arti e dei mestieri. Il più picciolo ostacolo è sempre fatale alla libertà ed alla proprietà altrui.

Sarebbe un gran diffetto di legislazione se per rimunerare l’industria di alcuni lasciare si volessero intorpidire gli altri nella inerzia. Sarebbe dunque utile che più di uno fossero i mastri in ogni arte o mestiero, distribuendo il tempo a vicenda, oggi all’uno, domani all’altro, oppure il mattino presso di questi ed il dopo pranzo da quelli. Lo stesso farei colle fabbriche e manifatture, le quali se hanno da aspirare alla perfezione, non devono essere esclusivamente accordate piuttosto all’uno che all’altro, ma lasciarne libera la concorrenza. Travagliando sotto diversi maestri guadagnerebbero anche i discepoli maggiore intelligenza nel variare i metodi.

Questo piano sembrerà volere una quantità sovra grande di precettori, se gli adolescenti dei diversi mestieri ed arti devono aver presenti al loro lavoro un de’ medesimi. Per rimediare a questo inconveniente si dovrà fissare il numero delle arti, mestieri e manifatture che insegnar si dovranno in ogni domicilio. Si potrebbero distribuire tutte le case in maniera che non arrivasse alcuna confusione.

Lascierei nelle capitali gli stabilimenti degli adolescenti che sono destinati per le arti, mestieri e manifatture le più difficili e complicate, che esiggono maggiore intelligenza, spesa ed ingegno.

Nelle città mediocri si travaglierebbe alla educazione di quelli che si applicano alle arti meno difficili, ma che non mancano per tanto di richiedere il soccorso di persone abili ed industriose, non essendo di tanta semplicità.

Distribuerei le case di educazione dei mestieri facili, semplici, di prima necessità nelle picciole città e nei borghi.

Ogni casa di educazione, sì quelle delle città che dei borghi, aver deve un direttore membro del gran Consiglio della educazione, indefesso nell’esaminare i progressi degli adolescenti e nell’osservare il zelo dei precettori, professori e maestri mecanici.

Nelle manifatture, arti e mestieri da insegnarsi si dovranno abolire quelle che ritardano le operazioni della circolazione, e che colla loro eccessiva magnificenza si discostano in qualche modo dalla consumazione delle produzioni territoriali.

XXXII. I lumi scientifici, quanto sieno proprj a facilitare l’educazione della plebe ed a perfezionare i mestieri, le mecaniche e le manifatture.

Quando un sovrano si prefigge l’idea di perfezionare le arti, i mestieri, le manifatture, bisogna necessariamente spandere maggiori lumi fra quelli che le coltivano. L’ignoranza produce la superstizione, che abbrutisce sì gli spiriti che i corpi.

Per superstizione non intendo soltanto le opinioni ridicole ed oltraggianti che gli uomini prendono della divinità e degli altri oggetti che risguardano la religione, ma la estendo altresì sopra tutte le altre chimere che vengono prese dal volgo per indisputabili verità. Presa in codesti sensi, la superstizione dilata il suo funesto impero sulla morale, sulla politica, sulla medesima giurisprudenza, e perfino sulle arti mecaniche, su i mestieri e sull’agricoltura.

Chi desidera di convincersi della evidenza di un tal pensiero, non ha che a gettare uno sguardo sopra tutti gli stati della società, ma principalmente sopra gli artigiani ed agricoltori, la cui profunda ignoranza li porta ad opporsi con ostinazione contro tutte le novità che introdurre si vogliono nei loro usi e maniere di agire. Credendo esser sacre ed immutabili quelle opinioni che loro furono trasmesse dall’abitudine, ad alta voce condannano quelli che cercando d’illuminarli nei loro veri interessi fanno diverse tentative per combatterle. Quindi non dobbiamo formare alcuno stupore se si trova tanta pena nell’introdurre quei costumi e metodi che sono i più capaci a rendere meno disastrosi i principj delle arti più necessarie alla nostra conservazione e comodità.

Cessate dunque, o politici, di parlare dei modi di perfezionare le arti mecaniche, i mestieri, le manifatture. Avvi un sol mezzo. Questo non consiste se non nei lumi che dipendono dalla educazione di quelli che vi sono destinati ad esercitarle. Sparisca dunque la tenebrosa ignoranza; dirette le figliuolanze degli artigiani da abili precettori, imparino i fundamenti di quelle cognizioni che con somma onta si celarono ne’ secoli passati nella educazione perfino degli stati più elevati della società. Più non sieno gli artigiani quali furono fino ad ora, machine incapaci di riflettere, ma uomini che possino ragionare con solidi fundamenti su i principj delle loro occupazioni.

A voi, reggitori dei popoli, indirizzo il mio discorso. Non ascoltate le insane rappresentanze de’ superstiziosi. Non vi ributtino le obbiezioni degl’ingegni limitati; non ascoltate i fautori della stupidità, che creder vi fanno non essere sicuri i governi che nella distruzione dei savj precetti della ragione. Spargete pur senza timore i lumi nel popolo; fundate la sicurezza de’ vostri troni sopra l’inviolabile fedeltà di nazioni fra le quali comuni sieno certe elementari nozioni. Sarebbero allora sempre pronti a rispingere gli attacchi del furibondo fanatismo, il quale non forma la conquista se non dei cuori intorpiditi negli errori.

Veduta la necessità di dirozzare la plebe, passiamo a vedere in che consister debbano le cognizioni nelle quali istruir si possono figliuolanze degli artigiani. Scorriamo colla maggiore brevità il campo di quelle notizie nelle quali si deggiono informare, notizie però relative allo stato a cui sono destinati.

Prima di finire questo capitolo, per maggiormente persuadere il leggitore della necessità d’illuminare gli artigiani affin di perfezionar le arti, i mestieri, le manifatture, pregherò a formare un’altra riflessione, riflessione fundata sopra fatti assai più capaci a persuadere che tutt’i discorsi della più sana morale. Si è che le nazioni le quali possiedono i più esperti artigiani sono quelle ove si ammirano certi lumi sparsi comunemente nella plebe. Gl’Inglesi, i Ginevrini, gli Olandesi ci offrono gli esempj i più degni di una filosofica attenzione. Abbiamo varj autori illustri, che pria di prender la penna sapevan maneggiar con abi­lità gli strumenti di diversi mestieri o professioni. Se tutti raccoglier qui li volessi co’ nomi delle loro opere mi renderei troppo difuso. Se si veggono arrivare da quei climi produzioni sorprendenti in tutte le arti mecaniche e nei mestieri, altra ragione addur non si può se non i lumi, se non le cognizioni che vi si trovano generalmente sparse nella moltitudine.

Fra queste illustri nazioni non recca stupore trovare marangoni, tornitori, portantini, che finiti i loro lavori prendono nelle mani i migliori autori, il compasso, la squadra ed altri stromenti scientifici, maneggiandoli colla medesima destrezza di quello che far possono cogli altri stromenti che loro procurano la sussistenza.

La nostra plebe, istrutta ne’ principj economici, diverrebbe più esemplare ne’ suoi costumi, perchè più aliena da tutti quei disordini che offendono l’altrui proprietà, libertà e sicurezza.

XXXIII. Studj degli artigiani adolescenti.

Il teatro delle umane istruzioni su di cui bramo d’introdurre l’adolescenza degli artigiani non è già di natura a procurare semplici ornamenti allo intelletto, ma bensì a far conoscere i veri fundamenti delle arti mecaniche, dei mestieri e delle manifatture.

Nell’entrare dunque di codesta età i figliuoli degli artigiani trovar debbono nelle case ove sono domiciliati per ricevere l’educazione un gabinetto di storia naturale, che bisogno non ha di esser sì ben fornito che quello destinato pei nobili alunni. È necessario che contenga ciò che si ritrova in quello dell’adolescenza commerciante.

Colla storia naturale studieranno queste figliuolanze le prime materie delle loro arti. Quelli che lavorano sulle pelli impareranno a conoscere la natura degli animali, le diverse qualità e finezza di peli, la ragione perchè producano piuttosto un pelo che un altro, la maniera di renderlo tal volta migliore coll’ammiglioramento dei cibi con cui si pascolano. Tutti quelli alunni infine i cui mestieri ed arti si fundano sugli animali che non soltanto accordano in ispoglie le pelli ma altri tributi, consultar ne debbono le diverse nature.

Il bisogno di far questo studio sì necessario non esiggerà però che queste figliuolanze esaminino l’interno dei corpi, le fibre, i nervi, le tendini, i vasi. L’anatomia degli animali li trasporterebbe troppo lungi ed in cognizioni che non sarebbero di una utilità essenziale. Lasciamo dunque un tale studio a quelli che diretti dallo spirito filosofico desiderano di approfundire i portenti della natura, sì per raccoglie maggiori prove per animarci ad ammirare l’increata sapienza dell’esser supremo come per far tentative ed esperimenti che di somma utilità esser possono all’avanzamento della medicina e di varie altre scienze. Si limitino per tanto le nozioni di questa scienza per le figliuolanze degli artigiani a semplicemente scorgere le proprietà dei differenti animali e ciò che interessar può il perfezionamento delle loro arti e mestieri.

Se gli uni esamineranno gli animali quadrupedi, gli altri indirizzeranno la loro curiosità sui rettili, sugli insetti, sugli animali a conchiglie, sulle farfalle, ove ammirando mille cose portentose, prenderanno nel lavoro di questi animali molte idee relative a quello che intraprendono. Guadagnerebbero oltre di ciò altre nozioni per quanto risguarda i colori e la distribuzione variata dei medesimi.

Alcuni di codesti adolescenti scorrerebbero il regno vegetabile, e nelle tre sue divisioni imparerebbero a conoscere i prodotti della terra, provvida non solo pei bisogni che interessano il nostro nutrimento, ma i comodi e le superfluità. Servirebbe di storia per esaminar l’origine di molti mestieri, arti e manifatture, ed indicherebbe nello stesso tempo le maniere con cui si possono perfezionare.

Al pari degli altri due il regno minerale li guiderebbe a considerare i principj di molte arti e mestieri. Per evitare le confusioni si dovrebbero ben distribuire le ore e formar tre divisioni, prese nella medesima natura di codesta storia secondo i tre regni, in tre bande separati gli alunni. Nella prima si troverebbero quelli le cui arti sono relative al regno animale, nella seconda coloro i cui mestieri sortono dal regno vegetabile e nella terza tutti quelli le cui occupazioni sono fundate sopra il regno minerale.

Formerei la medesima divisione e distribuzione nello studio della chimica. Questa scienza è di una indispensabile necessità per le arti, mestieri e manifatture. Insegna a separare i metalli dalla feccia minerale, a prepararli, a renderli pieghevoli ai nostri bisogni, a dar loro forme diverse, come altresì a fare uso di tutt’i minerali, sali, bitumi ed olj. Mostra la maniera di procurarci una infinità di stromenti, vasi, recipienti. Senza essa non avremmo molti colori, ed una infinità di manifatture utili in più guise al genere umano restate sarebbero nell’obblio. Quelle poche medicine delle quali se ne conosce il sicuro bisogno non esisterebbero senza la medesima.

Taluno mi dirà forse esser pregiudicevole l’insegnare questa scienza al volgo, il quale abusandosi si lascierebbe trasportare nelle funeste e tenebrose chimere degli adetti. Quanto vane non sono tali obbiezioni, quanto insufficienti!

Se alcuni spiriti entusiastici sortendo dal cammino delle verità si lasciarono sedurre dall’apparenza a far vane ed inutili tentative pella scoperta della pretesa pietra filosofale, ciò non arrivò che per l’ignoranza dei veri principj della chimica e della fisica, che gli uomini volgari confundono coll’alchimica, scienza immaginaria, puerile e pregiudicevole.

Conosciuti i veri principj della chimica, messi i di lei elementi a portata di ognuno con metodi chiari e facili, non si vedrebbero più stuoli d’imbecilli ingannati dalle avare cupidigie di alcuni ingegni limitati, che altro non hanno di singolare se non uno sciopito e misterioso dialetto.

Quanto sieno necessarie queste scienze alla educazione delle figliuolanze destinate al commercio, alle arti mecaniche, ai mestieri, alle manifatture, ce ne dà un nuovo celebre parlante esempio l’illustre nazione svezzese, di cui sarebbe a desiderare che se ne imitasse l’esempio nella patria mia. Ha fondati la Svezia stabilimenti per l’educazione del commercio, delle arti mecaniche e dei mestieri; ma li ha decorati di gabinetti di storia naturale e di laboratorj di chimica. Se ho applaudite queste belle fundazioni, mi sono intenerito nel leggere il vivo interesse che ne presero il re e la regina col portarsi ad onorarli della loro reale presenza, affin di vedere non solo i progressi di quella gioventù ed il loro esame, ma di osservare lo stato in cui si trovano il gabinetto di storia naturale ed il laboratorio chimico. Questo è uno di quegli avvenimenti, di quelle epoche di regia benificenza, che meritano di perpetuarne la memoria alla riconoscente posterità.

Posciachè gli alunni artigiani cominciarono nella puerizia l’aritmetica, la dovranno finire nel primo anno dell’adolescenza; allorchè la sapranno a perfezione, affinchè non la smentichino, ripetino pure tutt’i giorni continue sperienze.

Quanto alla geometria, quelli le cui arti si fundano sopra la medesima ne dovrebbero imparare con ogni fundamento tutte le regole; gli altri però basta che vengano iniziati nei principj elementari esposti colla maggiore chiarezza.

Gli elementi della fisica non devono passarsi sotto silenzio. La natura degli elementi, la qualità del fuoco e dell’acqua, i cangiamenti e le diverse impressioni dell’aria, la porosità dei corpi ed altre simili nozioni sono atte a facilitare l’intelligenza delle arti e dei mestieri. Tutte le machine analogiche alle loro occupazioni si mostrino pure con ogni accuratezza.

Il disegno è parimenti utile agli artigiani. Delinear potendo i loro stromenti e lavori, se li renderebbero più facili e più famigliari.

Se è utile il disegno, è poi necessario il saper ben leggere e scrivere. Un tal bisogno e sì evidente che non ho d’uopo di ricorrere a prove per dimostrarlo. Aggiungo soltanto i libri da presentarsi agli artigiani esser debbono le opere le più scelte che trattano delle loro occupazioni.

Giacchè vanno accostumati a scrivere ogni dì, vorrei che facessero lettere di corrispondenza relative alle arti e mestieri che imparano ed alle altre cognizioni di chimica, storia naturale, disegno, geometria ed aritmetica.

Gli adolescenti artigiani non vanno distinti in classi ossia epoche come feci coi nobili e commercianti alunni. Quelli approfundendo diverse scienze hanno bisogno di gradazioni negli studj; ma questi imparar non dovendo che gli elementi delle medesime, mi sembra essere inutile il dividerli e separarli in classi, tanto più che gli studj che intraprendono non esiggono penetrazione e discussione di materie, ma solo l’ajuto della memoria e della curiosità naturale all’uomo, principalmente quando si tratta di nozioni che alla utilità uniscono il piacere.

Le istruzioni economiche degli adolescenti artigiani saranno assai meno estese di quelle de’ nobili e de’ commercianti alunni. È essenziale che sappiano le leggi principali dell’ordine sociale e naturale, ma non già che si internino nell’analisi delle verità le più astratte della scienza.

Nelle prime lezioni si parlerebbe della proprietà originaria, personale e mobiliare. Le più interessanti verità contenute in codesto primo oggetto sociale, esposte con chiarezza e con precisione, sarebbero già sufficienti per loro ispirare un ragionato orrore per ogni sorta di delitti.

Si mostri loro in appresso l’impossibilità di sussistere colle sole spontanee produzioni della natura, o almeno di vivere con una numerosa società di uomini felici, acciocchè veggano la necessità dell’agricoltura, i cui lavori a sì giusto titolo meritano di esser chiamati produttivi. Qui è il tempo d’ispirare la dovuta venerazione per quella classe che nutrisce le altre classi della nazione.

Dopo l’agricoltura si venga alla distribuzione delle produzioni. Non avremo bisogno di far contemplare tutte le induzioni e belle verità che si trovano nel meditare questa materia; soltanto le prime vie per intendere come si opera la circolazione delle ricchezze, il cui mistero non consiste che nella libertà.

Si ragioni in seguito del commercio e di tutt’i lavori della classe industriosa. In questo luogo è opportuno lo spiegare gli effetti preziosi della libertà e della concorrenza la più illimitata, affinchè sieno i primi a chiedere l’abolizione delle matricolazioni, privileggi, esclusive ed altri abusi di simil natura. La libertà, in ispecie del commercio de’ grani, vini, olj, carni ed altre derrate, sia pure insinuata colle più solide ragioni, mentre è importantissimo il far loro conoscere verità sì necessarie alla loro sussistenza e felicità. Nelle lezioni sull’autorità tutelare non entreremo già in tutt’i doveri della sovranità e delle magistrature. Accennati i più evidenti, si passi ad inculcare la venerazione che merita la sacra persona del regnante, senza le cui funzioni cessando l’uso della libertà, non sarebbe sicura la proprietà, e sminuita cogli avanzi la quantità delle sussistenze. Importa che anche a questi alunni sia dimostrato che l’autorità tutelare ha da esser unica ed inviolabile, senza che veruna altra autorità la possa bilanciare e contrastare. Si discorra della necessità dell’istruzione come uno de’ doveri dell’autorità sovrana, doveri che adempiti meritano ogni gratitudine.

Non lasciamo digiuni gli adolescenti artigiani delle detestabili conseguenze delle tasse indirette. Si mostri loro che l’imposta diretta presa sul prodotto netto territoriale è la sola porzione disponibile; e che aspetta unicamente a questa imposta di salariare tutti gli agenti e mandatarj della sovranità, come altresì il mantenimento degli avanzi per conservare i canali, i fiumi, le altre acque, le vie o cammini, gli arsenali, le fortezze, gli edificj pubblici nelle città, ed infine tutte le proprietà comuni, che facilitano col trasporto la circolazione e che procurano eziandio la difesa contro le passioni delle estere società.

Non posso perdere di vista l’interessantissima materia delle imposte senza esporre alcune riflessioni.

Le imposte dirette su de’ possessori terrieri, quantunque abbiano leggi invariabili nemiche del capriccio e che sieno di una facile e poco costosa percezione, pure non mancano di offrire varie difficoltà esposte con ponderatezza da alcuni prudenti investigatori delle cose politiche. Mi renderei troppo difuso e digresso se tutte le volessi rapportare ed approfundire per tirarne chiare induzioni e risultamenti proprj ad illuminare ogni leggitore. Non essendo questo un trattato di economia politica, mi bastaranno pochi e brevi ragionamenti.

Il sistema delle imposte dirette territoriali non è soggetto a verun inconveniente in un impero vasto e fertile. Ivi questo genere di tassa non caderebbe mai di slancio su i poveri, nè mai interporrebbe la circolazione, nè molto meno ralentirebbe l’accrescimento della industria. Un regno composto di molte feconde provincie ove non fosse introdotta altra imposta se non quella delle terre, dovrebbe di sua natura aspirare al maggiore colmo possibile di vera opulenza ed al perfezionamento della coltura delle sue terre, come a quello delle sue manifatture, arti, mestieri ed altre produzioni della industria.

Una regione il cui territorio sia sterile ed ove nella maggior parte delle terre che lo compone non corrispondono le masse delle produzioni alle fatiche nè agli avanzi di chi le coltiva, offrirebbe qualche eccezione degna della nostra attenzione, per render censibili i possessori delle merci, affine di empiere il vuoto che lascierebbero nel tributo le poche ricchezze de’ possessori terrieri.

Merita una eccezione altresì un picciolo stato circondato da vicini occupatori di terreni di una maggiore fertilità. Se questo stato avesse la sola imposta diretta senza esserne imitato il ragionevole sistema dagli stati confinanti, potrebbe essere assoggettito a varj sconvolgimenti e difalcazioni di ricchezze con danni notabili nella sua agricoltura, la quale potrebbe essere scoraggita.

Conchiuderò dunque che il sistema delle imposte dirette è il sistema il più proprio ad arricchire un gran paese, principalmente se è agricolo, e che deve convenire altresì ad una picciola provincia che possiede terre a sufficienza feconde, quando gli stati dei quali è circon­dato lo abbracciano. In questa guisa non si hanno da eccetuare che le nazioni che non vivono dei frutti della loro agricoltura, ma dei salarj che ricevono da’ forastieri; ed i piccioli stati confinanti con altri che seguire non vogliono il medesimo esempio. Queste eccezioni sono degne di essere sempre più approfundite per la felicità di ogni popolo.

XXXIV. Esami, pene e ricompense.

Se per conoscere la marcia delle passioni abbiamo veduto in qual maniera debbano i precettori notare in tabelle esatte tutte le azioni dei loro alunni colle riflessioni sulla origine delle medesime, lo stesso far dovrebbero in ciò che risguarda la capacità, l’attività ed i gradi d’industria di ognuno.

Per meglio riuscirvi dovrebbero i direttori delle case di tali stabilimenti far esami comparando i rapporti delle diverse tabelle e spedirne il risultato al gran Consiglio della educazione.

Questo Consiglio dovrebbe inviare regolarmente ogni anno alcuni suoi membri affine di assistere agli esami generali. Si deciderà in tali occasioni del destino degli alunni, cioè se alcuno di loro per la sublimità dei talenti merita di esser sortito dalle case artigiane ed impiegato allo studio delle scienze o del commercio.

Siccome le pene e le ricompense sono necessarie per ben guidare gli adolescenti nell’ammirabile via della verità, diamo una rapida occhiata a quel genere di pene e di ricompense il più utile ad animare i sentimenti del cuore.

Giacchè la libertà è quella nobile passione che risveglia l’amor proprio dell’uomo e lo stimola a produrre le azioni le più utili a se stesso ed alla generalità, sia pure la base delle pene e delle ricompense. Produrrebbe effetti contrarj a quelli della fisica severità, che abbatte il coraggio e che forma anime codarde.

Guardisi dunque chi presiede alle adunanze degli adolescenti artigiani di far sentire il peso della sua autorità ed abbiano i suoi comandi nulla di severo, ma sieno dolci, pronunciati con espressioni precise ed insinuanti.

Libere sieno le volontà degli alunni, dipenda pur da loro il vivere nella inerzia o il dar prove del più indefesso lavoro.

Non temete, o leggitori, che da un tal sistema sortano effetti perniciosi alla buona educazione. Affine di dissipare i vostri dubbj, vo’ qui brevemente accennare come stimolar si debbano le figliuolanze artigiane ai loro doveri.

Non si dii ad alcuno di codesti alunni colazione, pranzo, cena avanti di aver finito il dato lavoro. Quelli che lo fanno con negligenza senza la necessaria attenzione, oppure con atti che non sieno edificanti, vengano puniti da’ precettori colla taciturnità, con isguardi che muovano il pentimento pei commessi mancamenti. Avvertito il direttore filosofo di un tal disordine, faccia allora un discorso che desti il disprezzo degli attenti al lavoro verso di quelli che se ne mostrano alieni. Come i giorni festivi vanno impiegati ai divertimenti, se ne privino quelli che commisero mancanze; si osservi in codeste pene una giusta gradazione, come nelle maniere con cui hanno da essere accompagnate. Non sarebbe possibile che qualcuno si decidesse a non fare il consueto lavoro, pochi quelli che facessero falli sensibili. Correrebbero tutti a gara ai loro doveri per non vedersi privati degli altrui suffragi.

I premj vanno presi nella miniera inesausta dell’amor proprio e delle passioni. Studiate quelle di ognuno, facile sarebbe il dargli in ragione del merito quella ricompensa che sia la più capace a muovere il di lui cuore. Parlo però di quelle passioni che sortono dai sentimenti delicati dell’onore.

Gli eloggi, gli applausi, un contento rimarchevole nel direttore e nei precettori sarebbero le distinzioni le più lusinghiere per rimunerare i meritevoli e la più energica favella per ispirare l’inclinazione pe’ doveri e l’amor della fatica.

Si accostumino questi alunni a scrivere nel cuore la gran massima cinese che un giorno perduto da talun di loro nell’inerzia può esser la cagione de’ patimenti e della fame di un altro; e che piuttosto che un altro soffri è più naturale che colui che non lavorò farlo potendo, venga, durante il tempo che passa nell’inerzia, intieramente privato di vitto.

XXXV. Esercizj, musica, nutrimenti e vestiti.

Se penosi furono gli esercizj dei nobili e dei commercianti, assai più esser lo dovranno quelli degli artigiani, destinati ad un genere di vita più affaticata. Nuotino pure tutt’i giorni in acque freddissime, facciano lunghi passeggi, si pongano a prove forti e disastrose che renderebbero i lor corpi incalliti ne’ lavori.

Gli antichi filosofi nei loro trattati di educazione raccomandavano l’esercizio come l’oggetto il più necessario. I legislatori non lo dimenticarono nei loro stabilimenti; per qual funesta mania arrivò mai che i moderni lo negligentarono? Cercano i Regolari con avidità di formar colleggi pella educazione della gioventù di ogni stato; non risparmiano brighe, spese e pene. Loro confidano gli indolenti ed ignari genitori le loro figliuolanze; ma invece di elevarle nei principj delle cognizioni utili, invece di formare i corpi sani e robusti, li rendono languidi con una vita regolare e sedentaria, e ne otturano gli spiriti ed i cuori a forza di tridui, novenne, divozioncelle ed altre pratiche puerili superstiziose.

Siccome gli artigiani formano un gran numero fra gli abitatori delle città, se capaci esser devono di difenderle vanno istruiti negli elementi dell’arte della guerra. Divisi in battaglioni e compagnie, imparino alcune voluzioni militari, il maneggio delle armi, i primi principj in fine della tattica. Se ne’ bellici esercizj qualcun di loro mostra una decisa inclinazione per esser guerriero, si invii allora agli stabilimenti della educazion militare, affin che ogni uomo così si conservi in quel centro in cui viene collocato dalla natura.

Comandati con dolcezza da qualche esperto nell’arte, abbiano per ufficiali nelle diverse compagnie gli alunni che si distinguono colla loro capacità. Sii pur fervida l’emulazione anche in codesti trattenimenti sì necessarj alla difesa dell’autorità tutelare.

Ballino e saltino anch’essi. Si sollevino in ogni modo delle fatiche che soffrono; rendano con molti esercizj attiva l’azione dei nervi, principalmente quelli che esercitano le arti e mestieri più sedentarj.

La musica sarebbe anche per essi un necessario divertimento. Imparando ciascuno a piacere e libera scelta qualche stromento, formerebbero concerti e sinfonie. La musica è di una grande utilità in tutti gli stati della società. Non v’ha di questa arte più propria a dirozzare costumi, a dettar la pietà e l’amicizia, a rendere i cuori sensibili ai sentimenti nobili e generosi.

La musica è utile in più guise ai costumi. Scaccia dal cuore umano la noja nemica del proprio dovero. Stanco l’artigiano dal suo lavoro o dai lunghi esercizj, se la musica non lo diletta e non lo mantiene tranquillo a gustare i veri piaceri che graziosamente inaffiano l’animo suo si porterebbe allo stravizzo, ad ogni sorta di disordini che intorbidano la pace degli altri cittadini.

La plebe che più si compiace a coltivar quest’arte è sempre la più aliena dai disordini sociali, più ubbidiente a’ superiori e forse più dolce ne’ suoi costumi. In preda l’artigiano in molte contrade di Europa ad ogni sorta di vizj, trasportar si lascia a commettere continui delitti, laddove gli artigiani ed i contadini nella Sassonia ed in altre parti della Germania, unendosi dopo varj esercizj per formar sinfonie, non conturbano la pubblica tranquillità; vivono con una sociale armonia senza aver bisogno di essere intimiditi dall’atroce rigor delle leggi.[28]

Se semplici esser devono nel vitto i nobili ed i commercianti alunni, sebbene abbundanti più semplici esser dovranno i cibi delle figliuolanze artigiane. Non venghino fissate ore regolari pella lor mensa. Si avezzino a variar le ore sino dalla puerizia, in maniera però che alterar non se ne possa la salute.

Assai più che i nobili ed i commercianti sieno accostumati al dolore. Di essi dovendo menare una vita più stentata, se si deggiono sminuire le impressioni dolorose avanti la loro immaginazione, rese esser devono comuni e famigliari, sempre guardandosi i precettori di non farlo giammai per castigo, ma bensì nelle occasioni in cui si veggono più del solito inclinati all’allegrezza ed al piacere.

Larghi e comodi i vestiti all’uso polonese, di stoffe leggieri che tanto non li guarentiscono dal freddo, le cui impressioni non farebbero sopra di loro sensazioni dolorose. Scalzi i piè, nude le teste, corrano pei campi, imparino a sprezzare i rigori dei climi e le intemperie delle stagioni.

XXXVI. Riflessioni preliminari sulla rustica adolescenza.

Scorsa con rapidità l’adolescenza del nobile, del commerciante e dell’artigiano; vedute quali sieno le occupazioni che possono convenire alla educazione de’ loro stati, passiamo ad osservare qual sia il metodo il più proprio a formare robusti ed abili coloni, sì per multiplicare i prodotti delle terre come per avere stuoli di uomini forti capaci a sprezzare i pericoli ed a difendere la patria.

Sortite, o coltivatori, dall’oscuro letargo, più non siate machine incapaci di riflettere; scosso il giogo della superstizione e dell’abitudine, vuo’ che siate ragionatori in tutto ciò che concerna l’arte nobile che seguite ed i doveri sociali. Non più abbandonati al caso da una legge ingiusta e crudele, la vostra educazione diverrà uno de’ più interessanti oggetti del mio legislatore. Più non saprete in avvenire in che consista lo stravizzo ed un certo genere d’inerzia proprio ordinariamente al vostro stato; inerzia che vi porta a rendere il vostro intelletto inaccessibile a tutte le utili scoperte; ma attenti ad ogni dovere, non avrete altro piacere che muova la vostra curiosità se non le reiterate tentative per accrescere i frutti delle ben coltivate campane , affin di multiplicare i beneficj con cui già colmate gli altri stati, che altrimenti educati, saranno dal canto loro penetrati da una sempre maggiore gratitudine.

Imparati dai figliuoli dei possessori delle terre non già i modi di scoraggire gli agricoltori, come ordinariamente si accostuma da quelli che regolar vogliono la rustica economia, ma i veri principj della agricoltura, la educazione dei primi servirebbe a facilitare quella degli altri. Dissipati nei ricchi i funesti pregiudizj, necessarj prodotti della ignoranza, più non crederebbero essere la tirannia la via la più facile di aumentare i prodotti delle terre; massime abominevoli, alle quali debbono certi paesi il numero sovragrande de’ masnadieri ed assassinj che infestano sì le campagne come le città. Desolati dagl’indolenti signori e da que’ ricchi impresarj di coltura che dimorando nelle città commettono mille vessazioni sopra de’ coloni e dei veri coltivatori, spogliati dei frutti dei loro sudori, qual maraviglia che se la discorrano in questi accenti: Con istenti ed indefesse fatiche lavoriamo una terra che costringiamo di dare mille frutti variati; i possessori della medesima col più valido contratto ci promisero una stipolata quantità de’ suoi prodotti che loro procuriamo col vigore del nostro braccio. Fedeli ai nostri ingaggiamenti, abbiamo sempre deposto nelle lor mani tutte le raccolte per indi esser ripartite con esatezza secondo la legge del mentuato contratto. Scrupolosi nel mantenere le nostre promesse, credendo interessata la coscienza, ci siamo ben guardati di appropriarci la menoma porzione di quel che agli altri aspettar si poteva. Ci accontentiamo di un pane indigesto alcune volte annerito ed altre affumicato, non invidiando al ricco un cibo più sano e più abbondante che gode sotto l’ombra dei nostri stenti. Vedemmo con dolore, ma senza mormorare, soffrire le care spose, i teneri figliuoli la fame, piuttosto che mancare ad alcun dei doveri che ci eravamo prescritti, mossi in parte dalle pene stabilite dalla giustizia civile, in parte dal timore di trasgredir le leggi divine, e per una natural propensione verso le idee di rettitudine, delle quali credevamo assai più penetrati quelli che felicemente ripartiti di beni di fortuna trovar dovevano maggior facilità a seguirle.

Quanto fummo mai frustrati nei nostri disegni, ingannati nelle nostre mire! Ben lungi che gli opulenti e indolenti possessori dei fundi abbiano ripartiti con una esatta probità i frutti delle terre, lungi che abbiano osservate quelle convenzioni che già erano troppo disavantaggiose per noi, sedussero con mille frodi la nostra semplicità approfittarono della nostra ignoranza, si risero della nostra buone fede, a forza di calcoli che non conosciamo seppero sminuire i generi o le rappresentazioni dei medesimi, con cui promesso avevano di pagare la nostra industria ed i nostri sudori.

Non contenti di aver diminuiti i loro debiti verso di noi, non vogliono riparare le misere capanne che non ci guarentiscono dai rigori delle stagioni. Rissarcir non ci vogliono nemmeno di quelle perdite che non sono che un puro effetto della mala sorte; rifiutano di soccorrerci allorchè afflitti siamo dal flagello della grandine, della siccità, delle inondazioni o della mortalità degli animali necessarj al lavoro.

Invano cerchiamo d’intenerire i loro cuori incalliti nella barbarie, invano inalziamo sino al cielo le strida dei nostri lamenti; al par di loro insensibili, i giudici, i tribunali e perfino lo stesso legislatore ci minacciano di nuovi guaj se abbiamo il coraggio di togliere con rotture segretamente o apertamente dalle lor mani con che ristaurarci delle perdite che ci accagionano. Le prigioni, le torture ed i supplicj sono pur troppo preparati per noi, se obbligar li vogliamo a restituirci le tante prede che fecero sopra di noi.

Giacchè le leggi tacciono, abbiam ricorso alle armi. Facciamo aperta guerra a’ nostri tiranni. Se provar ci fecero molte angoscie, le provino anch’essi. Portiamo lo spavento e la costernazione nelle ricche loro abitazioni, nei pubblici cammini per i quali passar debbono, strascinati da ben addobati e briosi destrieri; vendichiamoci infine di tanti oltraggi. Liberati dalla dipendenza, avremo il piacere di veder fremere coloro che osarono rifiutarci il pagamento dei nostri sudori.

Sospendete, o coloni, un tale discorso. Resa colla libertà sicura e fervida la circolazione delle ricchezze, multiplicati gli avanzi de’ coltivatori, più a temer non avrete trattamenti sì duri. Le leggi fisiche dell’ordine essenziale delle società rese palesi a tutte le classi della nazione rasciugheranno le vostre lagrime. Sotto la condotta di ricchi fermieri e di parrochi illuminati, non abiterete rovinate capanne ma domicilj ove la nettezza, un cibo sano, vestiti più comodi vi manterranno i corpi sani. Viverete così in avvenire nell’abbondanza, e contenti del vostro stato non invidierete la sorte altrui.

L’educazione dei nobili influirebbe sopra quella degli agricoltori. Imparate da essi loro le buone regole della coltura, e più ancora le idee che aver devono dell’uomo, concorrerebbero con ogni possa nelle loro terre a continuamente vegliare se i parrochi mancano agl’indispensabili doveri di bene istruire le rustiche figliuolanze; doveri che trasgredirebbero con troppa difficoltà, giacchè subir dovendo ogni settimana nei borghi vicini gli esami, le censure o le lodi dei direttori membri del gran Consiglio dell’educazione, sarebbero mantenuti in una perpetua soggezione.

Se i nobili, i commercianti e gli artigiani saranno educati in domicilj fundati a questo effetto dal legislatore, lo stesso far non si potrebbe colle rustiche figliuolanze, non solo pelle spese incredibili che causerebbero ad uno stato tali stabilimenti, ma per una infinità di altre cagioni che stimo inutile l’annoverare, mentre possono essere indovinate da ogni leggitore.

Le rustiche figliuolanze saranno dunque domiciliate presso i loro genitori. Siccome l’autorità dei medesimi, la severità e le maniere rozze possono in qualche modo distruggere o ritardare i progressi che fanno sotto la condotta de’ parrochi, per rimediare a codesto inconveniente sarà necessario che i medesimi parrochi parlino nei sermoni non solo della riconoscenza che i contadini devono al sovrano per la cura che si prende di far educare le loro figliuolanze sotto i suoi auspici, ma di prescrivere nello stesso tempo qual dovero inviolabile di non riprender la condotta de’ figliuoli, informandone delle mancanze chi vegliar deve alla educazione. Mi sembra non esser difficile d’impedire in sì fatta guisa le funeste impressioni che prendendo radice ne’ giovani cuori, scolpiscono tutte quelle abitudini che tanto si oppongono in tutt’i climi al perfezionamento dell’arte la più utile al genere umano. Le istruzioni economiche, cioè alcuni elementi insinuati colla predicazione de’ parrochi, dirozzerebbero perfino gli stessi genitori.

XXXVII. Studj della rustica adolescenza.

Abbiamo osservato nel primo volume in quali occupazioni le figliuolanze degli agricoltori abbiano da scorrere la puerizia. Possono aver sembrate difficili a quelli che sogliono misurare le facoltà dello intelletto umano secondo le condizioni nelle quali sono situati gli uomini colla nascita. I veri pensatori, lungi di ritrovar difficile la mia intrapresa, scorgeranno esser le rapportate istruzioni accessibili agl’intendimenti i più limitati e proprie alle figliuolanze che devono co’ loro lavori diretti da illuminati ed opulenti fermieri nudrire e render felici le nazioni.

Se avete col vostro zelo, co’ vostri talenti sparse le sementi delle utili istruzioni nella puerizia de’ coloni, seguitate, o parrochi, le vostre cure all’adolescenza, in cui le vedrete germogliare producendo frutti dolci e deliziosi. A misura che si svilupperanno i molti portenti d’industria, applaudirete alle vostre pene e conoscerete allora quanto sia grande il contento che si gode nel contribuire alla vera felicità della patria ed a sentirvi annoverati benefattori. Maggiori saranno state le vostre fatiche, più grande, più sensibile ne sarà il vostro interno diletto.

Non temete che disdichino alla dignità del sacerdozio i minuti dettagli della educazione. Qual culto più puro render potete alla divinità che nell’educare la gioventù, nel creare una nuova nazione, nel condurre gli uomini al bramato scopo dell’ordine sociale? Le ragioni che ho esposte in altri luoghi mi sembrano forti a sufficienza a rendere persuaso il clero di una sì consolante verità. L’incominciamento può sembrar difficile, ma fatto il primo saggio, sono sicuro che il proseguimento non incontrerà verun ostacolo.

Il lavoro è una essenziale occupazione della rustica adolescenza. Acciochè divenga più utile all’avanzamento dell’agricoltura, vorrei che lo variassero saggi continui sopra le molte sorte di terreni, fatti alla presenza de’ parrochi intelligenti ed anche de’ fermieri istruiti; se ne insegnerebbe loro con esatezza le diverse nature. Nelle interrogazioni non si ributino gli istruttori, lodino le risposte adattate e spiritose che mostrano attenzione al proprio dovere, e con isguardi eloquenti disapprovino la negligenza e l’ignoranza degli altri. Facciano sovente alla presenza degli alunni ragionamenti chiari e precisi, a portata del loro talento: non mancheranno questi di ascoltarli con attenzione e di ritenerne i precetti, purchè si scielgano i termini i più facili e le definizioni le più esatte.

Se dir volessi in che hanno a consistere tutte le esperienze ed i lavori ai quali è necessario applicare la rustica adolescenza, troppo difusa diverrebbe quest’opera. Variano le operazioni della campagna secondo i climi e la natura dei terreni; così d’uopo è che variino anche i loro sperimenti, affinchè non s’insegnino cose inutili ed operazioni poco adattate ai bisogni del clima e del terreno che coltivano. Abbiasi dunque gran cura di non mostrare se non cose che possano servire sì alla pubblica che alla privata utilità dei contadini, mettendo a profitto il tempo, troppo prezioso per perderlo in vane tentative. Ho indicati nel primo volume quali sono i libri i più fecondi di idee necessarie alle rustiche cure; non essendo difficile il procurarsi esatte traduzioni, mi tralascierò agl’insegnamenti che si trovano in quelle opere illustri, degne della celebrità de’ loro autori.

Avranno naturalmente finito d’imparare nella puerizia a formare le lettere dell’alfabetto. In codesta età dovrebbero sempre più fortificarsi in tali nozioni sì necessarie ad ogni stato. Prosieguano a leggere ed a scrivere. Abbia ogni villa una raccolta di tutt’i libri utili all’agricoltura, affinchè le rustiche figliuolanze si famigliarizzino in tutte le cognizioni che aspettano alla medesima. Per renderle esperte nell’arte di scrivere, vorrei che si accostumassero a far lettere in uno stile semplice, conveniente alla loro condizione, sopra tutt’i soggetti delle diverse colture, sopra le relazioni che aver possono coi contadini delle terre vicine, co’ fermieri e tal volta co’ possessori delle terre.

Vorrei oltre di ciò che si raccogliessero in un picciolo tometto tutte le massime le più belle, i precetti i più luminosi, ma nello stesso tempo i più facili, sulla fisica e la medicina sì degli uomini che degli animali. Imparerebbero colla prima molte cognizioni necessarie alla buona coltura delle terre, nella seconda s’istruirebbero quanto basta per non divenire sì spesso vittime di quegl’ignoranti che spandendosi nelle campagne mettono a contribuzione i poveri coloni col supposto pretesto di guarir le loro malatie e quelle de’ bestiami.[29] Imparate a mente le nozioni di certi rimedj veramente utili, e conosciuti i sintomi dei mali i più consueti nel loro stato, perchè dovranno mai gli abitatori delle campagne esser messi a contribuzione per mantenere quegli uomini perniciosi che con tanta impudenza vendono droghe spesso micidiali? Menando una vita frugale, resi quasi insensibili sino dall’infanzia alle impulsioni dei diversi elementi, qual bisogno avranno mai i miei contadini di pagare imposte sì gravose sopra le derrate? Sani e robusti sì di mente che di corpo, perverrebbero ad una inoltrata vecchiaja senza sentire la noja, i vapori, gl’infiniti mallori compagni fedeli dello stravizzo, della rilasciatezza dei costumi e della mollezza.

Ho veduti già gli effetti portentosi che produrrebbe un tal catechismo nella rustica gioventù. Vi è una picciola provincia nella Germania ove un illuminato sovrano lo introdusse. Fui maravigliato nell’osservare come certe cognizioni vi sono a portata di ognuno. I contadini sono i più belli, i più robusti ed i più civili di quante contrade ho scorse nella Europa. Non si sentono recitare assassinamenti, furti, violenze, nè alcuna altra sorte di delitti. Possiedono una vera pietà sì lontana dalla superstizione che dalla incredulità. Sono pieni di amore e di venerazione pel lor principe. Le loro terre sono le meglio coltivate. Non si vedono in ogni parte che segni di vera prosperità, esempj di generosità, esercitate in fine senza ostentazione tutte le virtù sociali. Perchè non potrebbero mai gli altri paesi imitare un tal esempio?

Si prosiegua l’aritmetica nella adolescenza. Imparino pure le quattro regole colle frazioni, alcune regole di proporzione ed a tener giornali delle spese ed operazioni giornaliere. Nulla servirebbe ai medesimi il sapere estrarre le radici quadrate e cubiche, meno poi gli elementi dell’algebra: sarà sufficiente che sappiano come regolare i loro conti per non divenir      vittime di una mal ragionata cupidigia.

Uno degli studj i più utili agli agricoltori è la natura degli animali domestici, necessarj non solo al lavoro ma ad altri usi. I libri dei quali ho parlato, ben tradotti, indicherebbero i metodi di conoscere tutte le malatie di codesti animali, i modi di guarirle e prevenirle coi mezzi di farli multiplicare e di conservarli. Insisto su di questo punto come uno dei più importanti rami dell’agricoltura. Le malatie contagiose de’ bestiami, chiamate da molti sapienti malatie epizootiche, sopra il tutto il modo di prevenirle e come si formano, sono cognizioni di una indispensabile necessità, non solo ne’ coltivatori ma ne’ medesimi coloni.

Lo studio della natura degli animali farà strada a quello dei differenti ingrassi. Sieno continue le esperienze e ragionamenti sopra quest’oggetto interessante, come altresì sopra la distribuzione delle acque, nozioni che si saranno principiate nella puerizia.

I primi principj della geometria non dovranno esser posti sotto silenzio. Arriverebbero col soccorso dei medesimi a saper ben misurare i terreni ed a fare altre operazioni di una quasi indispensabile necessità.

I libri di cui ho di sopra parlato insegnerebbero altresì quanto sia perniciosa la negligenza degli agricoltori nella coltura delle api. Diversi pregiudizj tengono luogo d’istruzione, i quali perpetuandosi pur troppo cogli altri, ralentiscono i progressi dell’agricoltura.

Sopra le cure che esiggono questi industriosi ed utilissimi animaletti ne scrissero ancora con maggior efficaccia Buffon e Bomare nella loro storia naturale.

Per quello che risguarda la maniera di elevare i bachi da seta, di preservarli dalle malatie, di migliorare le produzioni, di filare e perfezionare le sete, abbiamo trattati sì nella nostra che nella favella francese che esser dovrebbero comunicati ai rustici alunni, spiegati ed insegnati con tutta la precisione. Nei medesimi si trovano altresì le maniere di piantare gli alberi dei mori, di tagliarli, di preservarli da molti mali, ed obbligarli ad accrescere i tributi per nutrire una maggior quantità di bachi.

Sarebbe di una grande utilità che i rustici imparassero gli elementi di que’ mestieri analoghi all’agricoltura e dei quali si hanno nelle ville continui bisogni. Non parlo se non di quelli la cui necessità colpisce i nostri sensi. È essenziale che tutte le istruzioni de’ rustici adolescenti abbiano un rapporto diretto agl’insegnamenti di economia politica, affinchè imparino a rispettare la proprietà, la libertà e la sicurezza, e le leggi fisiche e naturali dell’ordine sociale. Amerebbero e difenderebbero un giorno con ardore quella sacra autorità tutelare che li guarentisce degl’insulti della prepotenza e che istruendoli nelle cognizioni le più necessarie all’uomo li guida alla felicità. Non dirò come debbano esser distribuite le lezioni economiche pella rustica adolescenza. Nell’ultimo volume di codesti saggi vi ho collocato dialoghi che possono servir da catechismo non solo a’ rustici alunni ma eziandio alle numerose figliuolanze della plebe nelle città. Nel leggere e spiegare che i parrochi faranno di questo catechismo economico potrebbero a loro aggio dilatar le materie per renderne i precetti sempre più chiari ed evidenti.

Se non ho divisi in epoche gli artigiani molto meno lo farò co’ rustici alunni. Le istruzioni di questi sono più sensibili ed interesserebbero ugualmente l’utilità ed il piacere.

Nei lavori che mostrar si debbono ai rustici adolescenti si dovrà aver cura che sieno in beneficio dei genitori ed in sollievo delle fatiche dei medesimi, mentre sarebbe una crudeltà il privarli sotto pretesto della educazione di tante mani che abbreviar possono e sollevarne le pene. Lavorino dunque questi alunni sotto la condotta dei precettori, ma sieno pure i frutti della loro industria assegnati alle famiglie, e porzione anche agli stessi alunni, acciochè imparino a gustare i graziosi effetti di una vita innocente e laboriosa.

XXXVIII. Passioni.

Il popolo, il cui maggior numero consiste in agricoltori, forma il genere umano. Chi non getta i suoi sguardi se non sopra certi stati commette un grand’errore e sedotto dall’apparenza prende le ombre per i corpi. Per esaminare i caratteri nazionali e conoscerne le passioni, fa d’uopo degnarsi di mirare con attenzione le azioni della moltitudine, che studiato non avendo la maniera di celare le sue inclinazioni, mostra con sincerità gl’interni suoi sentimenti; laddove l’uomo delle condizioni elevate imparato avendo a fusellare ogni atto, compone fisonomie e caratteri che non sono suoi, benchè si sforzi a farlo credere per arrivare a quello scopo ove l’ambizione o l’interesse lo guida. Ha tutte le passioni al par del popolo, ma cuoprendole destramente, non mostra se non quelle che sa dover esser lo­date, rimunerate e bramate; si offre infine alla curiosità di chi lo osserva quale desidera di esser creduto dagli altri, ma giammai quello che è in vera essenza.

Tali sono i frutti di una educazione male immaginata, che rende alcuni uomini falsi e seduttori perchè provarono esser stata la dissimulazione la via con cui evitarono quasi nella più tenera infanzia molte pene e castighi. Vedendola in altre età una qualità necessaria per aspirare a tutt’i beni di convenzione, si accostumano a risguardarla come una virtù, gli edificano altari nel cuore e diviene l’idolo loro.

Il colono che non ha alcuna educazione è forse più felice in codesto punto. Trovato non avendo alcuno interesse a mentire, essendosi accostumato ad esser veridico negli anni i più verdi, seguita la medesima direzione nel corso della vita.

Se tal volta lo vediamo allontanarsi dalla sincerità, se diviene falso, ingannatore, ad altro attribuir non si può la cagione se non alla necessità in cui si vede d’ingannare gli opulenti suoi tiranni, che sempre si abusano della sua semplicità. Si difende in codesta maniera contro le loro insidie, ma inviolabile ne’ suoi principj li osserva fedelmente con tutti coloro dei quali non ha alcun timore. Non è dunque falso per sistema e per un seguìto raziocinio, ma soltanto per la propria difesa. Se vede cessare l’interesse ed il bisogno d’ingannare, cessa allora di farlo e rientra in quello stato che non aveva abbandonato se non per necessità. O uomini sventurati! Quando cesserete di essere in un continuo stato di seduzione, stato di una nuova guerra simulata, tal volta più infelice di quello di una vera guerra?

Le violenze ed i tratti impetuosi che si vedono nel popolo non sono che un effetto di pura sincerità. Gli uomini degli altri stati sono agitati dalle medesime passioni, ma per soddisfarle cercano sentieri indiretti e tortuosi. Spesso servonsi di mezzi che richiedono gran sagacità a conoscerli, di sorte che sembra che aspirano ad uno scopo del tutto opposto alla mira che si propongono. Chi va in traccia dei loro disegni, chi indovinar vuole le loro idee, se non si serve di una somma cautela corre continuo rischio di cadere in insidie, quali gli sono preparate ovunque volga i suoi passi; fa come quell’inesperto nocchiero che abbandonandosi alla furia dei venti impetuosi, ha l’ardire di avanzarsi senza bussola in alto mare, lungi dalle spiaggie; a caso può arrivare a qualche porto sicuro, ma assai facilmente può esser portato a far naufraggio contro scogli infiniti che non prevede.

Se gli uomini dunque delle condizioni elevate fossero altrimenti educati, se la speranza ed il timore non li agitassero, si mostrerebbero ugualmente violenti, ugualmente impetuosi nelle lor brame. Quindi ne arriva che obbligati a concentrare nel loro cuore molte inclinazioni, costretti essendo a mantenere sotto un continuo freno le loro passioni, se arrivati si trovano ad un dato grado di potere, se credono di aver superati certi ostacoli, se più non incontrano difficoltà, lasciano liberamente sviluppare tutti quei sentimenti che restarono sì longa pezza nella fermentazione; procurano non solo di soddisfare le brame dalle quali si sentono animati, ma quelle altresì che furono costretti a reprimere durante il tempo che scorsero per arrivare alla carriera ed al segno che si prefissero.

Ciò che ho detto mi conduce ad osservare che cogli odierni sistemi di educazione è più facile a scorgere i caratteri del popolo che quelli dell’uomo nato e concentrato nelle condizioni le più elevate; mi prova quanto sieno fallaci i giudizj che si prononciano sopra certe azioni straordinarie che passano come portenti maravigliosi dell’intelletto e come sforzi di una immaginazione riscaldata dall’entusiasmo della virtù, sebbene qualche volta non sieno che effetti di un vizio celato che si cerca di cuoprire con una seduttiva apparenza.

Se generalmente parlando le azioni del popolo sono facili ad osservare, molto più lo saranno quelle de’ miei agricoltori alunni, che giammai non avranno trovato alcuno interesse ad ingannare colla dissimulazione quegli istruttori che li guidarono con tanta dolcezza nella via deliziosa dei sentimenti agradevoli.

Come far debbono gl’istruttori a conoscere le passioni de’ rustici alunni l’ho già in altra parte indicato. Il metodo loro sarà quel desso di cui si è parlato qui sopra. Consegnate le copie delle tabelle nelle quali scritte sono le azioni e le passioni produttrici delle rustiche fìgliuolanze ai direttori residenti nei borghi, communicate altre copie al supremo Consiglio della educazione ed al sovrano, qual facilità non troverebbe mai allora nella riforma degli abusi che si oppongono ai progressi del governo il più naturale!

Gli odierni popoli soggetti, se qualche volta hanno il preggio di esser sinceri, sono però quasi sempre una unione di uomini scoraggiti, che non vedendosi a sufficienza protetti dalle leggi contro le violenze dei pochi, non sentono in loro verun germe di quell’amore elevato che in tutti i secoli ed in varj climi portò il cittadino il più comune ad interessarsi con fervore al ben totale dell’associazione. Sono esseri in qualche modo isolati, che circondati da continui bisogni, appena trovano il tempo di poter respirare dalle angoscie che soffrono. Mal condotti, succhiato avendo quasi col latte lo spirito di avvilimento, guari non conoscono i sentimenti generosi. La magnanimità, il vero valore formano una ignota favella.

I direttori che presiedono alla educazione di tutti gli stati della società abbiano pure di mira il punto di associazione da cui debbono partire e nuovamente interseccarsi tutte le istruzioni. Disorientato l’uomo e rispinto dallo stato di confusione lo trasportino a quello della società, dandogli una esistenza non assoluta ma relativa, affinchè l’uomo più non si creda uno ed isolato, ma parte di quella unità che forma la massa totale e l’intiero corpo della nazione, acciochè così divenga una unità frazionaria che dipenda dal comune denominatore.

Conosciuta la validità di codesto principio, ne deve scaturire che la principale occupazione del Consiglio della educazione consiste nell’analizzare tutte le passioni di cui ne vede con esatezza i rapporti, affin di prescrivere a’ diversi direttori ed istruttori le maniere con cui condur si possono i diversi stati della società a formare un armonioso e ben organizzato concerto di azioni dirette alla pubblica felicità.

XXXIX. Della virtù.

Non evvi al certo essere metafisico sopra cui i moralisti abbiano con più veemenza declamato. La maggior parte de’ medesimi la inalzano sino alle stelle ma non la definiscono. D’onde può mai venire un tal errore? Dalla ignoranza de’ principj sociali. Come mai si può descrivere un essere i cui rapporti, non trovandosi nel cuore, fornire non possono allo intelletto materie da definire?

Questa stessa ignoranza de’ principj sociali fece talmente vagare gli uomini nelle idee sopra la virtù che la vollero trovare ne’ mesti cenobiti, pubblicandone con un apparato più pomposo di encomj gli atti di una distruttiva severità contro loro stessi, ed esercitati in una malenconica solitudine, di quel dolcissimo commercio di beneficj che stringono i legami della sociabilità.

Le idee sulla virtù sono soggette alle variazioni de’ governi. Molte azioni che con gran ragione stimiamo essere vituperevoli, presso altri popoli vengono comandate dalle leggi civili ed ordinate con impero dalla religione. Questa dura contradizione durerà nel genere umano finchè l’evidenza delle leggi fisiche ed essenziali non parlerà con una forza sufficiente per unire tutt’i loro interessi in un focolare commune.

Ho già parlato della virtù in molte occasioni, dirò con un antico, e sovente avrò occasion

di parlarne. Tutte le quistioni della morale ci conducono a lei per necessità. La definiscono una qualità dell’anima, ma qualità permanente, invariabile, che indipendentemente di ogni utilità è lodevole per se stessa e rende degni di eloggio quelli che la possiedono. Col mezzo di essa pensiamo, vogliamo ed operiamo conforme alla onestà ed alla sana ragione. Per ispiegar tutto in una parola, la virtù è la ragione medesima.[30]

Sotto il nome di virtù non comprenderò se non quelle azioni di generosità, di grandezza d’animo, di beneficenza prodotte da un cuore libero ed indipendente, che sente in sè tutte le facoltà di decidersi al bene come al male, condizione senza di cui non si danno atti virtuosi.

Non possono dunque portare il titolo glorioso di virtù che i generi di sentimenti che ci muovono ad amare la società e principalmente quella di cui ne siamo membri. L’amicizia, la prontezza nel sollevare le altrui angustie, i modi di farlo con delicatezza, gli atti di compassione, il valore nella difesa della patria e tutte le altre azioni che si risentono dei benefici impulsi verso altrui felicità sono le grate sensazioni che meritano il bel nome di virtù.

L’esercizio delle medesime scolpisce nel fundo dei cuori un amore illuminato della umanità, una brama ardente verso il più delizioso dei piaceri, che consiste in quello di procurarne agli altri e di poter in qualche modo concorrere alla conservazione dell’ordine naturale. Più frequenti sono in una nazione gli atti che la spiegano, più frequenti esser dovendo fra la medesima i pegni di amore della sociabilità, più sicura in conseguenza la sua prosperità.

O fiamma cocente della virtù e della beneficienza! Tu sola sai ardere il cuor dell’uomo e spingerlo alla conservazione dei legami sociali. I sagrifici che si fanno avanti di te ispirano tanta dolcezza, tanta gioja, che cessano di esser tali per cangiarsi in oggetti di diletto. Prova ogni mortale un vuoto nell’animo suo finchè di te non lo empie. Ai fortunati insegni di ben usar della lor sorte. Colla tua scorta l’infelice impara a sopportare la sua povertà. Col tuo soccorso gli uomini oppressi dalle più crudeli calamità non sentono il grave peso dei mallori; in tutti gli stati in cui si possono trovare, se ti conoscono, se ti prendono per guida, vivono nel seno delle allegrezze e dei contenti. I tuoi piaceri non son passagieri come quelli del vizio, ma ci accompagnano in tutte le età, in tutte le condizioni, e durano in tutt’i periodi della vita. Il vizio è turpe e disagradevole nei piaceri i più lusinghieri che presenta agl’ingannati mortali; ma tu sempre sei bella, sempre sei dolce ed amena. I disaggi e le sventure che tal volta accagioni a’ tuoi seguaci si cangiano in cause produttrici di mille piaceri. Amabile avanti gli occhj degli uomini i più corrotti, spesso si sentono sforzati a presentarti i loro omaggi. Non v’ha alcun fra di loro che tal volta non pianga in se stesso averne abbandonate le traccie.

Non è già chimerico il pensiero di formare un popolo inclinato alla virtù. Le sue attrattive sono sì grandi che una volta conosciute abbandonar non si possono se non con grandi stenti. Il contento che fanno provare è sì puro che non lo sanno uguagliare tutte le umane

grandezze, delle quali se ne scema il piacere col famigliarizzarvisi, invece che quello della virtù getta sempre mai nuove radici. Quanto maggiore è la frequenza con cui si offre avanti gli occhj nostri, tanto più grande altresì l’interna delizia che proviamo.

No, no, insensibili non sono i rustici petti al di lei incantamento. Se si lasciano sovente trasportare ai vizj, ai delitti, ciò arriva perchè si trovan costretti dalle angustie, perchè sono circondati dagl’inganni tesi dagli opulenti loro signori, o da quegl’ingordi intraprendenti che dimorano nelle città e che ne lasciano le cure ad agenti ignoranti e scoraggiti. Se non hanno dunque avanti gli occhj che tristi esempj di usurpazione, di collera, di crudeltà, come pretendere che dian ricetto alla virtù, che mostrino tratti di beneficenza? Se continuamente vilipesi ed ingannati non vedono che le orme dei vizj i più difformi, se penetrati al vivo dei barbari trattamenti non osano lagnarsi delle angoscie che soffrono, se non trovan giudici che proteggendo la loro innocenza abbiano il coraggio di reprimere le violenze di tanti oppressori, se costretti in fine, come già dissi, si trovano per difendersi di opporre insidie ad insidie, frodi a frodi?

Liberati i coloni da tante turpitudini colla introduzione dell’ordine della natura; istrutte con loro anche le altre condizioni della società; educati da parrochi rischiariti, diretti nel loro lavoro da fermieri opulenti ed illuminati; rispettate le leggi della proprietà sotto una suprema autorità veramente tutelare, i loro animi diverrebbero sensibili al piacere della virtù. Le campagne, ben lungi di esser desolate da masnadieri, si popolerebbero di uomini laboriosi ed innocenti, inclinati alla ospitalità, alla liberalità ed alle altre sociali affezioni.

Il miglior metodo di animare gli adolescenti contadini alla virtù si è quello di darne l’esempio. Occupati di codesto oggetto, gl’istruttori facciano frequenti tratti virtuosi senza affettazione, in modo però che non lo possano ignorare. Sieno allora attenti alle dimostrazioni che gli adolescenti faranno delle sensazioni che provano in questi felici incontri. Notate anche le medesime nelle tabelle, servirebbero a conoscere l’origine di varie passioni necessarie alla conservazione delle società. Si saprebbe quanto sia capace ciascheduno di lasciarsi affettare della virtù, di lasciarsi guidar dalla gloria per fare azioni magnanime che conducono l’uomo all’eroismo in qualunque centro, in qualunque stato si ritrovi nella società.

Parlino i precettori alla presenza de’ loro rustici alunni sovente della bellezza delle diverse azioni generose. Le dipingano coi colori più vivi e più piacevoli. Le raccontino con chiarezza e con termini energici ed insinuanti. Li accompagnino con una favella che persuada. Mostrino rispetto e venerazione verso di chi le esercitò. Ne inalzino la memoria sino al cielo in modo che gli astanti si rendano ebrj di un sì delizioso sentimento e più di un fervido zelo per imitarlo.

Ripetuti sovente dagl’istruttori le massime ed esempj di virtù, rimunerati i tratti i più luminosi negli alunni, chi potrà mai descriver le graziose impressioni che farebbero sulle altre rustiche figliuolanze? Tutti si offrirebbero nei pubblici bisogni di marciar con intrepidezza alla difesa di un sovrano che adorano ed a rispinger lungi dei patrj tetti col lor valore i più furibondi e numerosi nemici senza temere verun pericolo. Caduti i signori delle lor terre in qualche grave necessità, v’è apparenza che volontariamente cotizzandosi cercherebbero di prestargli ajuto. Se qualche rustica famiglia, avendo varj ammalati, non sarà capace di far diversi lavori, tutti correrebbero a gara a soccorrerla colle lor mani, co’ loro sudori. Se vi è qualche indigente nella loro o in altra villa si affretterebbero di toglierlo dalle angustie che soffre. Supplirebbe la robusta gioventù con gioja alle fatiche delle quali non è capace la cadente vecchiaja. Darebbero a quelli che furono loro istruttori continue testimonianze di affetto e di gratitudine. Amandosi l’un l’altro con sincerità, non sarebbero più uomini rozzi ed insensibili, ma esseri generosi che conoscerebbero i rapporti che sa suggerire l’amicizia e tutte le altre sociali virtù.

Quanto più delizioso sarebbe allora il soggiorno delle amene campagne; se non si vivrebbe nel seno di una perfetta innocenza, rari sarebbero al meno i delitti che le desolano.

Non parlerò di tutt’i mezzi proprj ad ispirar la virtù alle rustiche figliuolanze. L’istruzione degli elementi economici ed essenziali ne sarebbe il più efficace.

XL. Della salute.

Non tratterò qui della sobrietà e frugalità, virtù sì necessarie ad ogni uomo e che sarebbero seguite nelle nostre ville se colla istruzione si avesse cura di abolire lo stravizzo.

Non farò menzione de’ bagni freddi sì precisamente raccomandati dal sig. professore Tissot,[31] nè della necessità di nuotare. L’utilità di simili usanze è provata non solo dagli uomini i più dotti nella medicina, ma dalla sperienza di varj popoli. Queste usanze che fortificano il temperamento saranno ancora più essenziali nelle rustiche figliuolanze, che si renderanno sane, robuste ed insensibili alle impressioni dell’acqua e dell’aria.

Lo stato de’ coloni è esposto ad una quantità di malatie, prodotte dall’eccesso del lavoro, da cattivi alimenti, da pessimi alloggi e da diverse altre ragioni indicate dal sullodato illustre professore.[32] Fra queste le malatie putride sono le più comuni, mentre lavorando dopo i pasti, senza lasciare un intervallo necessario di tempo, la digestione o non si fa o resta al meno viziosissima. Quei cibi sopra il tutto che non contengono una sufficiente quantità di aria fissa, corrompendosi con facilità, ed i vestiti bagnati dalle pioggie ed asciugati sul dorso, accellerano le mentuate malatie. Il miglior mezzo di sminuirle è lo stabilimento di un governo economico, sotto il quale coltivate essendo le terre da ricchissimi fermieri, la sorte de’ coloni sarebbe differente, imperciocchè ogni cosa farebbero i coltivatori illuminati affine di procurare loro la migliore sussistenza possibile e le maggiori possibili comodità della vita.

XLI. Esercizj.

Lo stato degli agricoltori al par di quello degli altri ha bisogno di sollievo e di divertimenti. In un capitolo del primo volume ho parlato della maniera con cui militarmente ordinati dovranno marciare i fanciulli nella puerizia tutte le feste al borgo vicino, ove essendo esaminate le prove di attività e d’industria si premieranno i più capaci. Seguiti la stessa direzione l’adolescenza. Distribuita anch’essa in compagnie mostri il suo brio sotto le armi, eseguendo voluzioni un po’ più penose e più difficili di quelle dei fanciulli. Sia pure uguale l’esame dei loro diporti, proporzionati alle cognizioni più avanzate che debbono avere acquistate.

Non mi accontenterei dei soli esercizj militari, che non debbono durar che un’ora il mattino ed un’altra il dopo pranzo, ma bramerei che facessero lotte, corse e che tirassero a segno, stabilendo alcuni premj presi nell’onore, affinchè si accostumino a far caso delle sue delicate sensazioni. I premj però che conceder si dovranno all’attività nei dettagli rurali e le conseguenze dovrebbero essere ancor più lusinghieri di quelli della puerizia, e non distribuirli che negli spazj di quindici in quindici giorni, acciochè durino assai più le distinzioni che si accordano ai coronati di merito.

Nudo aver devono il capo gli adolescenti coloni, affinchè questo membro principale del corpo umano si accostumi alle intemperie dei tempi. Qui non posso fare a meno di dire che trovo pregiudicevole il costume comunemente introdotto nella plebe di portar carichi sopra il medesimo. Il capo è la sede di tutt’i nervi, di tutte le fibre, vi si interseccano e da quella parte sortono per prender la loro distribuzione in tutto il resto della machina. I pesi che vi si portano affaticano le vertebre del collo, che smosse troppo fortemente possono produrre varie difformità. Le braccia, le spalle, sono assai più proprie a codesto uso, per non essere esposte ad inconvenienti sì funesti.

Finiti gli esercizj nel borgo, al ritorno alle lor ville gli adolescenti si divertano con balli innocenti. Questo è un divertimento proprio a rendere ameni i costumi, ad empiere i cuori di allegrezza, di cui ha particolarmente bisogno la condizione de’ coloni.

Ne’ giorni festivi si dovrebbe celebrare nelle ville la memoria gloriosa di quelli che contribuirono alla invenzione e perfezionamento dei rustici lavori. Sieno sopra il tutto analoghe tal lodi ai giornalieri lavori; imparino così gli alunni a pronunciare con rispetto non già i nomi di uomini che furono perniciosi alla società, ma quelli dei veri benefattori del genere umano.

Nell’accordare i premj alla rustica adolescenza si avrà riguardo alle virtù sociali. Avanti di coronar qualcuno dei meritati allori, vorrei che i precettori parimenti osservassero se è versato ne’ precetti del catechismo economico. Si allontani in codesto particolare esame la pedanteria; vorrei piuttosto che li ignorassero che il saperli all’uso delle lezioni delle pubbliche scuole, che recitate a mente senza riflettere pel timor della sferza, il cuor non ne prende alcuna parte. Non si dovrà dunque attenere alle semplici parole, ma ai sentimenti. Quante nozioni avrebbero mai codesti adolescenti, quale inclinazione non mostrerebbero verso tutte le virtù che mantengono la sociabilità? Il racconto di un vizio, di un’azione vituperevole attoniti li renderebbe e sorpresi. Quanto sarebbe felice il sovrano nel posseder sudditi le cui prime sensazioni si sviluppano col fervore della sua difesa in ardore verso la conservazione del governo essenziale? Inutili diverrebbero le pene e le leggi fattizie, perchè ciascheduno avrebbe scolpite nell’animo quelle della natura.

La musica è un divertimento necessario anche ai rustici alunni. Serve talmente a radolcire i costumi, che ho veduti effetti maravigliosi nelle ville, in diverse parti della Germania. Non è raro fra’ contadini di quei paesi il trovar persone capaci di eseguir buone sinfonie. Chi poi dubitar volesse essere i loro costumi meno rozzi, i loro cuori meno inclinati al male, ne appellerei allora alla testimonianza dei viaggiatori illuminati, che non si contentano di scorrere superficialmente i paesi, ma di esaminare con attenzione non solo le diverse produzioni delle terre, ma la maniera con cui si annunciano e vivono quegli uomini che le abitano e le coltivano. Sia dunque la musica uno dei trattenimenti de’ miei rustici adolescenti, non dovendosi esigger la perfezione, ma ciò che basta a servir di sollievo all’affaticato colono.

Ecco le istruzioni dello stato degli agricoltori. Itene, giojali alunni miei, a perfezionarvi in un’arte sì illustre ed a dirozzarvi. Rispondete con ardore al zelo di chi prende cura della vostra disciplina. Pronunciate inni e concenti alla gloria di un sovrano che tanto si occupa della vostra felicità.

Finirò codesto volume con alcuni capitoli ove esporrò varie riflessioni che aspettano a tutti gli stati, a tutte le condizioni.

XLII. Ozio.

L’ozio è nella morale come la forza d’inerzia nella fisica. Nella stessa guisa che questa impedisce a’ diversi corpi di proseguire i loro movimenti, così egli parimenti non è una potenza assoluta ma negativa, che arresta le operazioni di tutte quelle vere potenze che si muovono con attività.

Colui che vive nell’ozio dir non si può che viva.[33] L’uomo è un essere misto, composto di facoltà fisiche ed altre morali. Fin tanto che accorda alle prime un impero sulle altre, limitandone le azioni nell’angusto centro dei bisogni machinali, è simile ai bruti e da quelli non si distingue che per la figura. I rapporti morali uniti ai fisici sono quelli che gli danno una mista esistenza, che lo fanno sì rimarcabilmente distinguere sopra gli altri animali, dei quali ne diviene il vero despota o il tiranno in proporzione del buon uso o dell’abuso che così fa di una duplice industria e potere.

È impossibile che l’uomo spieghi le facoltà fisiche senza spiegare in qualche modo le morali. Chi mantiene queste nella inazione positiva gli è d’uopo lasciar languire anche le altre in un quasi inerte riposo.

Per fisici movimenti non intendo soltanto il trasportarsi che facciamo da un luogo all’altro, nè quegli esercizj che devono mantenere tutt’i membri del corpo in una visibile agitazione, ma altresì tutte quelle azioni che richiedono lo scuotimento delle fibre e dei nervi di cui ci è necessario servirci ogni qualunque volta desideriamo d’impiegar le facoltà morali.

L’ozio di cui qui intraprendo di parlare è una vile indolenza che fa diventar ruginosi tutti gli ordigni sì dello intelletto come degli altri stromenti dei quali è comporta la nostra machina, che così deve tendere con maggiore celerità allo stato di distruzione. L’uomo che prende la risoluzione di vivere nell’ozio, sembrando mal contento della propria esistenza, mostra una somma ingratitudine verso il suo creatore, un odio palese per gli altri uomini, che isdegna di soccorrere con quella data porzione di azioni di cui è capace. Da ciò ne viene in conseguenza che l’ozioso è un essere isolato che ingiustamente pretende assistenza dagli altri esseri; non merita la protezione della quale viene onorato nello stato di sociabilità; separandosi dal medesimo, non rispondendo allo scopo universale, trasgredisce le leggi della stessa natura; è un mostro di una particolare specie che non dovrebbe esser decorato del bel titolo di uomo.

Di tutti gli uomini ai quali si dà il nome di misantropi, mi sembra che niuno più lo meriti dell’ozioso. Ridendosi delle altrui pene, bisogna che faccia non solo poca stima del genere umano ma che lo disprezzi, se si crede di essere in diritto di pretendere che tutti lavorino pella conservazione della sua esistenza senza che dal canto suo si degni d’impiegar le sue forze per contribuire a quella degli altri.

L’ozio è lo scoglio il più fatale contro di cui i deboli mortali corrono a far naufraggio. Se l’uomo sempre agisce per ricercare il piacere e per evitare il dolore, bisogna che abbia ben ragione un illustre antico nello assicurare che l’indolenza ha i suoi piaceri, che ci abbandoniamo poco a poco all’amore dell’ozio che abbiamo da principio odiato. “Subit quippe etiam ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur”.[34]

L’ozio è un bene in un sol caso, in cui in certo modo merita il nome di sagacità: cioè sotto i tiranni depredatori dell’ordine sociale, ove i cittadini i più attivi sono i più malevoli. L’uomo giusto allora è nel caso di Agricola, il quale è lodato dal medesimo autore perchè, oltre tanti tratti generosi, sapeva che Nerone abbisognava essere assai fino ed astuto a far nulla, tenendo così l’ozio luogo di virtù. “Quiete e otio transit, gnarus sub Nerone temporum, quibus inertia pro sapientia fuit”.[35]

In qualunque maniera mi faccio a risguardare l’ozio, vi ritrovo infiniti principj che limitano in più modi l’uso dell’altrui proprietà. Tutt’i suoi rapporti sì fisici che morali annunciano distruzioni e depredazioni. L’uomo nella inattività prova desiderj impetuosi ed estravaganti. Le chimere, le vane immagini non prendono possessione nell’anima se non quando la trovano vuota e senza occupazioni. L’antico principio peripatetico che la natura aborre il vuoto può essere applicato allo spirito, il quale abbraccierà piuttosto una idea assurda che di restar senza oggetti. Variam semper dant otia mentem.[36]

Se le anime tenebrose che si lasciano trasportare a commetter reati volessero attentamente riflettere sul loro stato infelice, se qui presenti a’ miei sguardi potessi interrogarle, esigger risposte vere ed adattate alle mie dimande, oso assicurare che mi annuncierebbero con una sola voce poter datare il dominio di quelle brame ree che li spinsero ai delitti da quell’ora sventurata in cui furono sorpresi dall’ozio che li ha esposti alle incursioni dei più lugubri pensieri.

Chi ha consultato se stesso e gli altri saprà che l’ozio non solo conduce al vizio, ma che è vizio egli medesimo. Chi è colui che potrà contrastarmi una tal verità? Non è egli forse vero che il giusto è costretto a fare sforzi infiniti per iscacciar i lugubri pensieri che sorpresero il di lui cuore, quando disoccupato si lasciò sorprender dalle larve mostruose dell’ozio?

La principal mira dunque che propor si deve in un sistema di educazione si è di evitare gl’inciampi dell’ozio e le attrattive della indolenza. Guaj al tenero fanciullo se comincia a gustar i di lui incantamenti! Sedotto da chimere, corre di pericolo in pericolo. Presa una tal direzione, inutili divengono gli sforzi della ragione. Si prepara lo sventurato la via ai delitti, oppure alla superstizione e ad ogni genere d’ignominioso fanatismo.

Vedute le triste conseguenze dell’ozio, comprenderà il leggitore quali sieno le ragioni che m’indussero ad istruire perfino gli stati i più rozzi della società in diverse variate cognizioni. L’uomo il quale non ha che un sol soggetto ove può esercitar le sue idee, le sue facoltà sì fisiche che morali, non potendo impiegare una tensione continua di attenzione sopra il medesimo, se arriva a stancarsi per qualche tempo si abbandona allora agli oggetti che l’ozio gli presenta tumultuosamente alla immaginazione, dei quali comincia a compiacersene ed indi ne diviene vittima obbrobriosa.

Bene scelti i lumi e gli esercizj nei quali si tratterranno gli alunni delle diverse condizioni, abboliscasi allora l’uso delle vacanze, che utili non sono se non alla gioventù che passa i tanti mesi allo studio di puerilità, inezie, sofismi che non intende, in cui consiste la maggior parte delle lezioni delle pubbliche scuole. Perchè avranno mai bisogno i miei alunni di vacanze, eglino che ripartiranno il lor tempo fra lo studio insegnato coi modi i più piacevoli ed ameni, gli esercizj ed i solazzi?

Vi è ogni ragionevole apparenza di credere che elevati gli adolescenti cogli esposti principj, talmente si affezionerebbero ad un simil metodo di educazione che se gli si proponessero le vacanze quali vengono accostumate ne’ colleggi e pubbliche scuole, le rifiuterebbero, poichè sarebbero una sospensione degl’innocenti diletti presso dei quali corre l’attiva e ridente loro età.

Non siate dunque, alunni miei, agitati da un tal timore. Sieno pure uguali i tempi per voi. Scorrete la verde vostra età nelle vie del piacere. Ornandovi delle più utili e più scelte cognizioni, non verrete sorpresi dalla noja con cui si sentono infastiditi gli altri alunni, che gemono sotto la tirannia della monastica indiscrezione ed ignoranza.

XLIII. Divertimenti.

L’educazion monastica distrugge le sementi delle virtù di sociabilità che naturalmente seco porta l’uomo nel nascere e che germoglierebbero in lui collo svilupparsi delle facoltà fisiche e morali. Le istruzioni che ivi riceve sono veri ostacoli che lo rispingono sempre più dall’ordine naturale ed essenziale. Le idee che propongo hanno per iscopo di rendere alla natura dell’ordine sociale. Vo’ dunque che non solo impari la scienza colle lezioni, ma che perfino i divertimenti gli servano di guida.

Non ho bisogno di servirmi dell’autorità degli antichi legislatori e filosofi per provare quanto sieno necessarj i divertimenti, non solo in un sistema di educazione ma agli uomini adulti di tutte le forme di governo. La natura medesima, l’esame del cuore umano ci conducono a questa verità.

Ho già parlato, sì in questo che nel primo volume, dei divertimenti che convengono nelle rustiche figliuolanze, cercato di mostrare come si possano rendere utili al perfezionamento sì della fisica che della morale costituzione. In questo e nei due seguenti capitoli farò vedere quali sieno i solazzi nei quali deggiono passare i giorni festivi gli alunni elevati nelle città, ove concorrerebbero altresì i rustici adolescenti delle vicine campagne.

Maestoso si presenta un edificio avanti il cospetto del viaggiatore che entra nelle nostre città. Chiede taluno se sia un vastissimo tempio oppure una spaziosa reggia; ma gli si risponde essere quello un anfiteatro destinato ai divertimenti dell’adolescenza. Comincia ad ammirare la maestosa facciata distribuita in quattro ordini secondo i diversi piani di cui è composta. Osserva con piacere la nobile semplicità delle loro proporzionate colonne dell’ordine toscano, che riposano sopra i lor piedestalli e che abutiscono ad un architrave di una ugual semplicità e proporzione. Leva i suoi occhj al secondo piano, il quale essendo di ordine dorico, per conseguenza ornato di fiori e di altri freggi, lo occupa con maggiore soddisfazione. Diverse belve che vede scolpite nell’architrave l’obbligano a dar encomj all’ingegno dell’architetto che l’inventò ed all’abile artista che l’eseguì.

Finito di vedere il dorico passa a contemplare le grazie dell’ionico. Le basi ed i capitelli di colonne, che non sono distaccate dal muro, gli accagionano un nuovo diletto. Conta ed esamina parte a parte le linee di quelle, indi, fissandosi sopra le belle volute di questi, mostra agli astanti esser grande il di lui piacere, ed ancor più grandi le idee che simili oggetti di gusto gl’ispirano nel cuore.

La medesima curiosità che lo arrestò fin ora a contemplare i tre esposti ordini lo muove ad innalzare a maggiore altezza gli occhj suoi. Nel vedere i fasti corintiani più non pensa alle bellezze che fin ora osservò. Più egli rimira i nuovi ornamenti, i ranghi di foglie dei capitelli, i freggi sì vaghi dell’architrave, assai più cresce in lui la maraviglia e lo stupore. Appena sa dar fede a quel che vede. È quasi tentato a credere non essere che un puro sogno, uguale a quelli che lesse talvolta con gioja nelle amene invenzioni dei poeti.

Tante maraviglie veramente grandiose fanno un’assai forte impressione nel suo cuore, gli rendono l’animo allegro, lo empiono di una dolce sensibilità alle attrattive dell’architettura. La sua immaginazione gli dice che l’interno ben risponder deve all’esterne bellezze. Non potrebbe pensare in altra guisa.

Dopo alcune riflessioni, dopo varj pensieri, più non sa ritenere in sè la propria brama. Mosso dunque da una lodevole curiosità, dimanda all’uno degli astanti se possibile sia l’esaminare con ugual attenzione quanto sia vago l’interno. Gli si risponde essere ad ognuno permessa l’entrata, ed assai più a’ forastieri. Il giubilo in quell’istante lo trasporta, e senza più esitare nel soddisfare i suoi desiderj, impetuoso apre questo rispettabile santuario della innocenza.

Un obblio tenebroso s’impadronisce al primo istante per tutto quello che fissò la di lui ammirazione. Alcuni portici maestosi ornati di statue, che sembrano annunciare non le memorie ma gli stessi personaggi presenti e favellanti, gli accagionano vivi trasporti che non saprebbe spiegare. Alzando più alti i di lui sguardi osserva altre statue e busti, ma ciò che più lo sorprende in codesto punto sono i bei quadri, le stupende pitture. Tutte le ammira una ad una e sopra ciascuna di esse prodiga le sue lodi. Allorquando vuole di bel nuovo esaminarle, diversi rumori e strepiti lo distraggono e lo avvertono in fine che vi sono oggetti ancor più meritevoli de’ suoi suffragi.

Volge i passi ove più vicino sente alcune voci e movimenti. Vede garzoncelli leggiermente vestiti combattere alla lotta, ma senza odio e senza rancore. Approva la vivacità e le forze di ognun dei medesimi. Tutti li mira robusti e ben fusellati, quali non possono mancar di essere gli adolescenti elevati nel seno della libertà, della virtù e della fatica.

Vede da lungi correre alcuni con impeto in una parte opposta, ne chiede la ragione e gli si dice che dessi cercano di ottenere il premio della corsa. Dimanda in che consiste e gli vien soggionto essere una lode di un filosofo direttore, una picciola medaglia di rame.

Passeggiando in una altra parte assiste ad alcuni balli eseguiti con leggiadria. Qui sente una sinfonia che lo ebria nei più deliziosi sentimenti; là altri si trovano, in ordinanza militare schierati e divisi, formar con velocità diverse voluzioni.

Alla sfuggita mira in lontananza le spiaggie di un fiume, lago o stagno d’acqua ove nuotando alcuni cercano di conseguire qualche premio.

Condotto indi da varj precettori, vede alcune sceniche rappresentazioni, alcune giostre eseguite con armi che non sono micidiali, molti tirare a segno con fucili e pistole, altri esercizj sforzosi proprj a formar corpi leggieri e robusti. Mirando come si dispensano i premj dai direttori, applaudendo alla dolcezza dei costumi sì degl’istruttori che degli alunni, informato dei più particolari disegni di una sì bella istituzione, credendosi nei giuochi olimpici, partendo esclama in tali accenti: O fortunata adolescenza! Quanto non è mai desiderevole la tua sorte! Scosso il giogo della schiavitù in cui vengono educati gli altri uomini, sei guidata alla libertà ed alla virtù sopra le vie del piacere! Ti accostumi a fare in tal guisa un cuor puro, un’anima elevata, sentimenti magnanimi, corpi sani e robusti, che costituiscono tutt’i vantaggi dei quali è capace l’umana condizione. Rispondi pur con ardore al zelo disinteressato di chi t’istruisce, al paterno amor del sovrano che ti prepara il cammino alla più lusinghiera felicità. Quanto più felice il principe stesso che sa in tal modo formare scuole di eroi!

XLIV. Sceniche rappresentazioni.

Fra i divertimenti della mia adolescenza ho nominati nel capitolo anticedente le sceniche rappresentazioni. Siccome fra queste alcune sono utili ed altre pregiudicevoli, non credo esser cosa inutile il destinare un capitolo per una sì importante materia, che in ogni governo dovrebbe esser riputata fra gli oggetti di legislazione.

Imporre al certo non mi voglio per dovere esaminare i differenti generi delle tragiche e commiche rappresentazioni, e dopo una critica esatta ed imparziale di ognuno, dimostrare tutt’i diffetti e le bellezze sì delle antiche che delle moderne. Tante erudizioni mi trasporterebbero troppo lungi dal mio soggetto di educazione in cui basta che ne parli con brevità, e sarebbero superiori alle mie forze, troppo vasta e difficile essendone la materia. Chi volesse intraprendere una sì curiosa ricerca, potrebbe leggere diverse prefazioni e dissertazioni che si trovano nelle opere di Pietro Cornelio, Crebillione, Racine, Moliere, Quinault, Shakespear, ma meglio ancora in quelle del signor di Voltaire, dell’abbate Metastasio, di Goldoni, di varj poeti tedeschi e danesi, e due ancor celebri moscoviti, che in codesto secolo cinsero con distinzione il tragico coturno o che intrapresero di rallegrare e muover le risa con alcune commedie che più non si risentono dell’antica barbarie, ma di un buon gusto che fa sperare altri progressi utili ad ogni nazione.

Le varie dissertazioni e prefazioni che nei nominati autori precedono le tragedie e le commedie, ben raccolte, formatine giudiziosi estratti, darebbero ad un bell’ingegno ampj materiali per comporre una storia di sceniche rappresentazioni. Sarebbe dispensato di far la lettura dei poeti greci e di cercare nelle loro erudite note l’origine del teatro, qual sia la nazione alla quale ascriver si possa una sì bella invenzione; troverebbe infine come, poco a poco sciolte ed abbandonate le antiche confusioni ed irregolarità, si sieno formate le leggi sopra le quali fa d’uopo modellarsi per produrre cose buone, piacevoli, esatte ed utili.

Per sceniche rappresentazioni non intendo che le tragedie e le commedie. Lungi da noi quei drammi anfibici che volgarmente vengono chiamati col nome misto di tragi-commedie.

Quasi più difformi di questi ritrovo quei drammi che si sono inventati nel presente secolo ove si descrivono avvenimenti tragici non di eroi che illustrarono le nazioni, ma di semplici cittadini. Il mesto vi si ritrova collegato coll’allegro, in maniera che forma un contrasto ancor più disagradevole di quella delle altre tragi-commedie. Non sono i personaggi scelti dalla storia o dalla mitologia, ma uomini supposti presi nelle comuni società, i cui delitti o virtù non sono capaci di fissare un vivo interesse. Molte fra le medesime producono effetti contrarj a quelli che i poeti si propongono.

Andate pure, o graziosi abitanti della Senna, a versar copiosi torrenti di lagrime alle triste rappresentazioni di Melania, di Eugenia, del Disertore ed altre simili. Saziate le vostre immaginazioni di idee lugubri, senza che la celebrità dei personaggi li rendano degni di curiosità. Invano cercate con balli di rendere l’oggetto meno malenconico. Il preteso brio con cui sono eseguiti, a dirvi il vero, mi destò più volte la noja. Ho veduti coloro che per mostrarsi partigiani del buon gusto ne fanno continui eloggi dormire anch’essi, sebbene si studiassero poi di farne sentire le bellezze. Sortiti dal teatro, indarno cercate colle cene deliziose di scancellare dal cuore l’amarezza. Essa, accompagnandovi nel riposo notturno, sovente vi sveglia con sogni spaventevoli. Se vi compiacete in tal sorta di drammi, più non istupisco che assistiate con tanto ardore alle crudeli esecuzioni e supplicj che si fanno nella piazza di Greve.

Alcuni bei spiriti delle altre nazioni, declamando contro i drammi in musica, trovano inconseguenti le nostre opere stupende. Fundano i loro raziocinj sopra principj che possono sedurre. Dicono esser contro le leggi della natura che Sofonisba, per esempio, si prepari a bere la fatal tazza di veleno con una aria. Si sdegnano nel veder cantare Teseo nel labirinto, allorchè armato di acciajo aspetta il minotauro per combatterlo. Trovano indecente che Catone e Bruto passino ore cantando i più luminosi precetti della stoica setta. Non possono accostumarsi a vedere Alessandro e Pirro spiegare i più magnanimi pensieri colle regole della cadenza; isdegnano di mirare capitani famosi comandare le mosse degli eserciti, far precedere alle battaglie le più armoniose sinfonie, perdere alcuni eroi il tempo prezioso di una cellere intrapresa con arie qualche volta frequentemente ripetute; sospendere sanguinosi combattimenti per lasciar campo a qualche focoso guerriero di cantare un difficile episodio, e per farlo durare ancora maggior tempo, accordarlo ai concenti di una orchestra che tal volta procura di prolungarlo con molti adaggi. Simili invenzioni sembrano loro dunque inoltrati paradossi che offendono con ogni possa le leggi naturali del teatro.

Una tal favella, quantunque sembra dettata dalla sana ragione, non pervaderà quelli che hanno una sufficiente tintura della vera musica. Questi vedranno al contrario quanto sia propria la medesima ad animar le passioni, a rendere il linguaggio degli eroi più maestoso, più forte e più interessante, in conseguenza quanto sia efficace a dare ai vizj i caratteri i più funesti di turpitudine che meritano, alla virtù quelli di amenità e di dolcezza, che insinuandosi nei cuori degli astanti l’infiammano di brama ardente per seguitarne le orme.

Quando parlo dei drammi in musica non ho in mira se non le opere serie, mentre le commiche producono piuttosto ostacoli all’avanzamento del buon gusto.

Che dovrò mai dire se parlar volessi del teatro nostro tragico e commico senza musica? Eccetuate le tragedie del celebre signor abbate Metastasio, che rappresentar si potrebbero anche senza musica, e d’altre poche tragedie, le commedie del signor dottor Goldoni e le poche che comparvero di quando in quando, tutte le altre disonorano l’Italia.

Siamo in questo punto sì lontani dal buon gusto che ho dovuto più volte gemere nel vedere quali sieno i generi i più favoriti dal nostro popolo. Non senza grave pena ho veduti sopra teatri che hanno molta celebrità nell’Italia rappresentare commedie sì sciapite che appena possono essere perdonnabili nelle città di certi paesi che non nomino; paesi ove la ragione non ha mai potuto esser ricevuta ed ove le scienze e belle arti sono ancora distanti di moltissimi secoli.

Più volte dunque mi rattristai nel mirare sul nostro teatro rappresentate commedie che si risentono della più caliginosa superstizione del quindicesimo secolo, ed altre proprie a mantenere costante l’inclinazione per alcuni turpi vizj che degradano l’umanità; commedie che più volte dipingono contrasti ignominiosi di passioni che dovrebbero essere condannate ad un perpetuo obblio. Fu grande il mio dolore nel vederle applaudite dal popolo, ma più grande quello che mi destò l’ignoranza e la stupidità dei direttori che le permettono.

Le commedie da presentarsi avanti i miei adolescenti debbono esser purgate dai continui intrecci di amore. Parlino anche le altre passioni in modo che si accostumino ad amare le azioni utili alla sociabilità ed odiare le perniciose alla medesima. Lo stile delle tragedie non venga già avvilito. Quando la tragedia si ritrova co’ satiri, è nel medesimo caso che una grave matrona costretta a ballare in pubblico ne’ giorni festivi.[37]

Non si seguitino ciecamente le regole di Aristotile, tirate dalle tragedie di Eschillo, Soffocle e di altri simili. Se questo gran critico avesse veduto un dramma formato su i metodi di Racine, Cornelio e del celebre Voltaire, estratto dalle croniche del suo ed altri paesi, che rappresentasse i costumi dei tempi ed i caratteri sinceri delle persone le più illustri che hanno fatta la principale figura nel teatro delle nazioni, non v’ha luogo a sospettare che lo avrebbe stimato degno della sua attenzione come capace di empiere perfettamente lo scopo che i filosofi greci si proponevano in questi popolari divertimenti, che alimentavano negli astanti il genio di quei tempi nell’eroismo, pelle azioni straordinarie di valore, d’intrepidezza e di virtù, divertimenti ove presiedevano i magistrati, assistevano i vecchj i più venerabili e gli eroi stessi i più illustri.

Se la principale mira della storia è d’insegnare la filosofia coll’esempio, questa specie deve essere risguardata come il migliore de’ precettori.

I tragici avvenimenti che rappresentar si dovranno sul teatro avanti la mia adolescenza non debbono essere tirati da vane favole, come sarebbe la collera di Giunone e la vendetta di Bacco disprezzato. L’uomo non deve essere presentato come inviluppato nelle reti del destino, dalle quali nè le sue virtù nè i suoi Numi non lo possono liberare; ma al contrario ci devono avvertire di osservare le triste consequenze dell’orgoglio e dell’ambizione e più dell’ignoranza dell’ordine sociale, i pericoli evidenti ai quali sono esposti i tiranni, il destino che aspettar deve il traditore ed il fellone.

I sentimenti, i costumi, le passioni ed i loro seguiti devono essere apertamente esposti sotto un solo punto di viltà coll’autorità e l’appoggio della storia. Non si aggiunge la forza ed il brio della poetica favella che per meglio imprimerne le lezioni, giacchè la poesia unita alla musica sa eccitare i sentimenti i più generosi ed il valore.[38]

Presieda l’evidenza ai versi di questi nuovi poeti e principalmente alle tragedie. Unite pure, o legislatori de’ costumi, predicatori delle sociali virtù e dell’eroismo, tutte le verità che sono sparse nei copiosi volumi delle storie in un solo focolare: accendete pure la nobil face dei più magnanimi sentimenti esponendo le triste sventure, le angoscie e le calamità del vizio.

Servano sopra il tutto le sceniche rappresentazioni ai progressi delle istruzioni economiche. Si lodino tutte le azioni avvantagiose alla sociabilità. Si offrano agli astanti avvenimenti che interessino il perfezionamento e l’amore dell’agricoltura, acciochè i divertimenti sieno proprj a facilitare lo stabilimento dell’ordine più naturale delle società.

XLV. Riflessioni sugli avvantaggi degli ornamenti dell’anfiteatro.

Gli antichi nei loro pubblici divertimenti, nelle pubbliche lezioni mettevano a profitto non solo le istruzioni, ma perfino le decorazioni dei portici, delle piazze e delle sale. Consistevano in ornamenti magnifici di scoltura e di pittura rappresentanti i più famosi capitani, magistrati e tutt’i cittadini che in diverse guise si erano distinti nella virtù, nel valore, nelle scienze e nelle arti. O filosofi dell’antichità, se erano tenebrose le vostre menti in quelle scienze che si sono per­fezionate co’ sì sovente ripetuti sperimenti, quanto eravate mai a noi superiori nello studio delle passioni, nei segreti del cuore umano!

Se la continua presenza delle pene serve ad imprimere ne’ cuori l’orrore pei delitti, quel­la dei premj deve in consequenza risvegliare le utili passioni e le vive brame per meritar­li. Non è possibile di mirare i monumenti eretti ad un eroe senza pensare alle azioni che gli meritarono l’eroismo. Le figure degli eroi per cui ci sentiamo una interna ammirazione non ci offrono oggetti insensibili di personaggi estinti, ma formano una possente favella in chi le rimira. La loro taciturnità è più elo­quente della stessa facondia. L’elmo, la corrazza, la corona di alloro, altri attributi sublimi di virtù tutto dicono, nel dire tacitamente: se meritar vuoi, o passagiero, onori sì lusinghieri, immitami.

Al par di quelli degli antichi, gli anfiteatri dei divertimenti della mia adolescenza saranno, come già ho dimostrato, ornati di belle statue e pitture.

Quale spettacolo maraviglioso non presenterebbe mai un simile anfiteatro? Vediamo quali ne sarebbero le morali e sociali utilità. Gli adolescenti sono naturalmente curiosi. Gli ornamenti e le figure fissano i loro sguardi, colpiscono la loro immaginazione, interessano la loro attenzione. Nel vedere oggetti sì piacevoli e sì varj si approssimerebbero allora di qualche direttore o precettore, mossi dalla più ardente brama di averne le spiegazioni. Fin­gendomi io l’istruttore così soddisferei la loro nobile curiosità.

Quel gran quadro che vedete cinto da una cornice celeste rappresenta un concorso di popolo, una turba innumerevole di genti, che sapendo l’arrivo del sovrano di ritorno dalla guerra intrapresa per difenderli, corre impetuoso a mostrare l’intima gioja che prova, la viva riconoscenza per averlo sollevato da qualche accrescimento di imposta a cui fu costretto dalla funesta necessità di una legittima difesa.

Quell’altro di uguale grandezza con una bianca cornice indica la battaglia di H. Quel gran cavaliere segnato col numero 1 è il generale N. N., che con una marcia obliqua sorprese l’ala diritta del nemico, la sconfisse, cominciando così la vittoria. Il numero 2 indica il duce S., che con poca mano di fanti sostenne lo sforzo di numerosi cavalli. Il 15 è un giovine officiale, che vedendo un suo amico in pericolo circondato da molti nemici, viene a liberarlo colla sua intrepidezza. Questi è l’ardito guerriero che il primo superò le trinchiere ostili, quegli coll’esporre la pro­pria vita ad un quasi sicuro pericolo tentò e riuscì a far prigione il comandante de’ nemi­ci. Ma a che servirmi un minuto dettagliato? Al margine del quadro vedrete i nomi di coloro che si distinsero, e perfino i più valorosi fra’ semplici soldati.

La bella pittura che vedete situata in quell’angolo è una esatta esposizione del fervore con cui i nostri popoli, sapendo il loro comun padre in pressanti bisogni di una ugualmente legittima difesa, spogliandosi dei più preziosi ornamenti li portano alla regia tesoriera. Ben vedete colà i nomi dei personaggi i più cele­bri che i primi diedero agli altri i mai abbastanza decantati esempj. I versi che sono nel margine spiegano il pubblico contento con cui fu accompagnata dalla parte di tutta la moltitudine una sì bella testimonianza di vero affetto verso il lor principe, che poscia la reintegrò.

I piccioli quadri che osservate in seguito sono i ritratti degli uomini e donne le più illustri. Non ho d’uopo di dirvi i loro nomi, indicati parimenti essendo nei margini con quelli degli abili autori che li dipinsero.

Dopo di avere parte a parte data la spiegazione delle diverse pitture, come non mancherebbero di mostrare una uguale curiosità per quelle che risguardano i monumenti della scoltura, in tal guisa mi farei a spiegarli.

La bella statua di bronzo su di quel superbo destriero che riposa sopra il piedestallo dello stesso metallo è il benefico sovrano che fondò codesto sì nobile stabilimento. Gli fu eretta in gratitudine di avere abolite tutte le tasse indirette e stabilita l’imposta naturale.

L’altra quasi uguale ma di marmo è un suo virtuoso ministro, da vero eroe con coraggio lo avvertì d’ogni suo dovero; lo vedete da un canto stendere le mani al popolo, accompagnar le di lui richieste al trono con tutta ener­gia, non sapendosi decidere se più amasse nel suo sovrano la patria o questa nel sovrano. Studiò con attenzione le leggi dell’ordine na­turale delle società.

Quel togato che ammirate con aria sì serena e sì maestosa è Ermotimo, famoso avvo­cato, che dopo di avere salvata la vita a molti innocenti colla sua eloquenza, eletto magistrato dal sovrano impiegò le veglie sue a meditare le istruzioni economiche e ad insegnarle con una speciale efficacia alla gioventù.

Quegli è Flaminio, che commosso delle angustie di una oscura famiglia resa infelice dalla avidità di un prepotente, non solo gli por­ge generosi soccorsi, ma ha il coraggio di svelarne al suo monarca l’arcano e procurargli giustizia.

Questi che vedete innalzato sopra una colonna è Flavio, ricco commerciante decorato dal principe di molti onori per avere dimostrato ad evidenza che il commercio per esser florido non ha bisogno di altre leggi che della libertà.

Quegli è un uomo illustre che restituì la pace in molte famiglie, che guarentì orfelini dalle insidie di tutori. L’altro è un celebre magistrato, che non lasciandosi intimorire dalle minaccie di un popolo ignorante, proteggendo la libertà del commercio de’ grani restituì ad una misera provincia la perduta abbondanza.

Le statue laureate, ornate d’iscrizioni in quel primo rango rappresentano gli autori che si distinsero co’ loro scritti. I più ornati ed elevati sono gl’inventori delle verità economiche.

Quelle del secondo sono gli utilissimi citta­dini e cittadine che con progetti avanzarono i progressi dell’agricoltura o inventarono diverse manifatture. I più elevati fra questi sono i coltivatori e coloni i più diligenti ed industriosi dello stato, in cui divennero grandi e nobili.

Le statue o busti del quarto rango sono gli artefici dell’uno e dell’altro sesso che colle loro virtù, industria ed indeffessi lavori si meritarono di essere annoverati fra i nobili e ricompensati in più guise dalla munificenza dei nostri regnanti.

Nel quinto rango vedete i busti e nomi di quelli che s’illustrarono col loro valore e capacità ne’ pericoli della guerra.

Taluno qui m’interrompe e dice: possono dunque gli artefici ed i contadini aspirar a sì belle distinzioni? Amico, gli rispondo, tu stupisci? Se si puniscono i delitti in tutti gli stati del­la società, perchè non avrasi da rimunerar la virtù? Se innalza il legislatore ad onori e procura mezzi da che vivere negli aggi a’ più attivi e più capaci fra i primi, a’ più industriosi e più istruiti fra questi, che colmarono la nazione di veri beneficj, se tu stesso ne pro­vi i provvidi effetti, puoi forse mormorar senza mostrarti ingrato? Ma come temere sì ingiuste obbiezioni da alunni accostumati dalla più tenera età ad apprezzare l’uomo nell’uomo?

Chi è quell’adolescente che al sentire tali descrizioni, che al vedere sì bei premj destinati al merito ed ai talenti non si senta stimolato a meritarli?

Non v’è al certo alcuna apparenza che fra di loro si trovi un solo infelice a segno di mostrarsi insensibile ad un sì grande invito.

Questi monumenti estenderebbero i loro be­nefici effetti al perfezionamento della pittura e della scoltura. Quante idee vaghe, quante belle immagini non presenterebbero all’ingegno degli astanti? Se un solo oggetto diforme destò tal volta una mira sublime, simili capi d’opera, tali portenti maravigliosi insinuerebbero nuovi sforzi di genio. O Tiziani, Rafaeli, Michel-Angeli, Pocetti, Passigna, Monaldi, Branucci, di bel nuovo parlereste al secolo. Le vostre ombre onorate ritornerebbero ad animare i fred­di bronzi e marmi, ma invece di tante favo­le avreste avanti gli occhj ad imitare le gesta e le vive figure di veri eroi.

XLVI. Riflessione.

Felice adolescenza! Guidati dal piacere, vi ho lasciato scorrere giorni felici al par di quelli che goduti avete nella puerizia. La via del timore non fu il vostro cammino alle cognizioni, ma apprese queste con metodi suggeriti da un vero diletto, acquistata ne avete con maggior facilità una maggior porzione.

Accostumati, o miei alunni, alle sensazioni di dolore, sarete innaccessibili alle pene ed alle rivoluzioni, alle quali è soggetto l’uomo per sua natura. Più forti degli altri a cui vien data una volgare educazione, meno esposti verrete ai mali coi quali sono continuamente tormen­tati quei temperamenti che si resero gracili ed estenuati colla mollezza, che sempre abbatte i corpi non solo, ma gli spiriti ed i cuori.

Imparate da codesti adolescenti tante cognizioni, veduti i rapporti fra i diversi stati della società, studiati i precetti essenziali dell’or­dine naturale, cioè i diritti ed i doveri dell’uomo, si preparerebbero un delizioso cammino alla felicità.

Arrivata alla metà della mia meta, non pa­rlerò ne’ libri seguenti che della nobile gioventù, delle occupazioni ed impieghi a’ quali li destina natura. Non sarò ingiusto a porre in obblio il sesso dalla cui istruzioni in gran parte dipende il perfezionamento delle società.

Se nel corso de’ miei ragionamenti ho esplorate verità che mi sembrano utili ed evidenti, non ho avuto altro scopo nello scriverle se non la felicità comune degli uomini di ogni stato. Tranquillo ed imperturbabile nel mio cuore, contento della oscurità, non vo’ mendicando suffragi, ma le occasioni di esser proffitevole alla causa della umanità che difendo.

Conclusione.

Se appena vedendo il giorno colla nascita siamo abbandonati ad ogni sorta di visioni e false idee; se succhiamo col latte delle nutrici l’errore, e se allorquando i genitori cominciano a prender cura della nostra educazione o che ci danno precettori, siamo bentosto imbevuti di opinioni erronee, in modo che la verità ceda alla menzogna e la natura alle prevenzioni,[39] non vi è dunque altro mezzo di richiamare al soccorso del nostro ben essere l’evidenza che di insinuarla nel cuore umano nelle future gene­razioni colla riforma della educazione.

So che la natura vuole imperiosamente questo sacro dovero da’ genitori col mezzo di quelle leggi irrefragabili colle quali si annuncia agli abitatori della terra. Sebbene tutt’i comandi emanati da codesta prima madre delle cose create mi restino profundamente scolpiti nell’animo, oso nulladimeno in questo solo oggetto disubbidirgli, mosso dall’ardore di ren­dere sempre più inviolabili le altre sue leggi essenziali alla felicità dell’umano genere.

Giacchè ad alcuni sublimi ingegni è riuscito di scuoprire un codice d’insegnamenti preziosi di una evidenza irresistibile, perchè offerti, annunciati e perpetuati dalla già lodata natura, insegnamenti il cui deposito non è per anco affidato che ad un picciol numero de’ suoi col­tivatori, stimo per conseguenza indispensabile il loro trasmettere la somma cura della educa­zione delle figliuolanze, per dissipare i tenebrosi prestiggi della opinione, a cui unicamente si devono tutti gli umani infortunj; prestiggi che signoreggiano tuttavia la maggior parte de’ genitori.

Egli è per una ragione sì incontestabile che ho creduto necessario il formare stabilimenti di pubblica istruzione, confidandone la primaria cura ad un senato di uomini dotti e zelanti pel ben essere nazionale, scelti dal supremo depositario della sacra autorità tutelare, la quale in altro non consiste se non nelle porzioni di libertà naturale rinunciate da’ contrattanti nella formazione delle società. Con simili stabilimenti ho procurato di rendere adottrinate e felici tut­te le condizioni della umanità.

Presi l’uomo dalla nascita, allorchè privo di forze conoscer non può la propria esistenza. Gli feci sviluppare poco a poco le di lui facol­tà intellettuali. Fra gli alimenti e vestiti scielsi quelli che mi parvero i più adattati a favorire i progressi sì dello spirito, del cuore che del corpo stesso; non presentai nella infanzia se non oggetti analoghi a quelle occupazioni che deggiono un giorno seguire. Mi guardai di stimo­lare i suoi pianti con trattamenti duri ed aspri, ma temendo i disordini che suol recare l’inol­trata compiacenza pei suoi capriccj, lungi di ascoltarlo, col non osservarlo a rinunciar lo costrinsi ai gemiti e li sminuii col togliergli gli accostumati legacci che reprimono i movimenti della necessaria elasticità. Libero e sciolto durante tut­ta l’infanzia, lo lasciai correre verso gli oggetti che desiderava, senza però offrirglieli per non accostumarlo ad essere imperioso. Alontanai gli indiscreti dalla sua presenza. Proibii che gli s’ispirasse il terrore, che suole far crisi tal vol­ta terribili nella circolazione del sangue o al­meno produrre animi vili e codardi. Lo avezzai al dolore in questa tenera età, affinchè, co­me è l’uomo più circondato dalle sensazioni dolorose che dalle piacevoli, si sminuiscano così le impressioni del medesimo dolore.

Sortito dallo stato infelice della infanzia, lo introdussi sano e robusto nella puerizia. L’allegrezza ed il riso che accompagnano questa seconda epoca procurai di secondarli con fervore. Non gli diedi se non precettori illuminati, e per direttori membri sagaci del supremo Consiglio della educazione. Le prime istruzioni, gli elementi sì delle scienze che delle arti e mestieri glieli feci insegnare co’ metodi i più semplici ed agradevoli. Mi prefissi e seguii la gran massima di Platone[40] di non intorbidire sforzando allo studio lo spirito de’ fanciulli nelle lezioni, ma di cercare d’istruirli giuocando, giacchè in tal modo è più facile il conoscerne i talenti di ognun de’ medesimi. Così i pedanti inumani non infastidirono il mio alunno nella puerizia, non lo minacciarono colla sferza, non depressero nell’animo suo l’inclinazione pe’ sentimenti lodevoli, non lo costrinsero a divenire mentitore o dissimulato, non gl’ispirarono il rancore, la feroce vendetta e molte altre passioni crudeli, che fermentandosi collo spavento di pene mal cal­colate e peggio distribuite sanno sì di buon’ora ispirargli la viltà ed una funesta alienazione pelle utili occupazioni.

Ne’ documenti che gli diedi nell’adolescen­za, fedele mi mostrai nell’incominciato progetto. Condussi gli uni di scienza in scienza, dalle cognizioni le più facili alle più composte. Cogli altri destinati al commercio, alle arti, a’ mestieri, alla coltura delle terre non mancai di servirmi di un principio sì inviolabile det­tato dalla natura, che abborre la tirannia. Ris­pettai sopra il tutto l’umanità, e la debolezza delle prime età seppi compatire. Parlai con liber­tà contro gli errori che ci circondano in ogni parte, e che ralentiscono i progressi che far si possono in tutte le umane cognizioni. Insegnai alle diverse classi i veri diritti e doveri dell’uo­mo sociale. Mostrai il cammino della verità seminato di piaceri, quello dei vizj circondato da precipizj e pieno di spine. Procurai d’in­culcare l’amor delle virtù sociali perfino nei pubblici divertimenti, ne’ quali stabilii monu­menti al valore ed alla verità. Non solo in questa terza epoca della vita ma nelle due pri­me, se trovai talenti straordinarj nelle condi­zioni le più inferiori della società, li destinai a quegli studj ai quali si sentivano chiamati dalla natura.

Finita l’adolescenza più non parlerò del commerciante, dell’artigiano, dell’agricoltore, del soldato, istrutti in tutte le massime e regole della loro arte, negli elementi delle necessarie cognizioni; penso che sì variati non essendo i loro impieghi nella società, ma sempre seguiti verso un unico scopo, d’uopo non hanno di nuove istruzioni.

Agirò in una guisa differente colle figliuolanze dei nobili, cioè di tutti coloro che vivendo colle loro rendite si trovano nel caso di gerire i diversi impieghi nella patria. A quelli che si risolvono di servire in qualità di primi agenti dell’autorità tutelare nelle magistrature presenterò tutti quei nuovi studj che credo i più proprj conseguire una sì sublime idea. Li sottoporrò a quelle prove con cui sarebbe da desiderare che si esercitassero tutt’i candidati che si decidono di correre una carriera sì nobile e sì disastrosa. Parlerò della gioventù che si dichiara particolarmente inclinata alle perfezioni dello stato del sacerdozio. Esporrò quale esser ne dovrebbero gli studj, le occupazioni e gli esercizj, acciochè lungi di portar qualche picciol detrimento allo stato sociale, ne diven­ga anch’essa una valida difesa; facendogli distinguere le vere virtù dalle fatizie, la animerò a combattere con fundamento e respingere la diforme coorte de’ vizj.

Aggiungerò un supplemento in cui esporrò quelle idee che formar possono intrepidi guerrieri e donne capaci ad accrescere e non già a sminuire l’umana felicità, mentre non ebbi altro disegno con questa mia fa­tica che il ben essere di tutti gli stati della società.[41]

Non pretendo di far l’apologia di codesti saggi sulla educazione. Se ho riuscito, sarà alla vera filosofia di deciderlo un dovero. As­pettandone la decisione con tranquillità, professerò una viva riconoscenza a chi facendomi conoscere l’errore saprà ripormi sulla via della verità nella supposizione che io me ne sia discostato. Siccome ho valide ragioni di diffidarmi dalle mie forze, mi contenterò per ora di codesti due volumi, e non mi deciderò a con­fidare alle stampe i miei manuscritti intorno l’educazione militare, quella del sesso, delle magistrature, dello stato ecclesiastico, nè tampoco le istruzioni da darsi al popolo ridotte in dialoghi, se non nel caso che le mie idee intorno codesti oggetti incontrino il pubblico aggradimento.

A me pare che un tal piano di pubblica educazione soffrire non possa difficoltà a stabilirsi. Vi è apparenza che se i sudditi di un im­pero venissero nella mostrata guisa diretti al comun bene, le nazioni esser dovrebbero felici. Il nobile occuperebbe le dignità le più elevate sì nelle magistrature che nel clero e nelle armi, oppure risiedendo più sovente nelle ville feconde ripartirebbe le sue cure fra lo studio delle scienze e delle arti e l’agricoltura. Colmerebbe di beneficj le indefesse fatiche dell’industrioso colono e gli farebbe amar quella virtù di cui succhiati avrebbe i veri principj, contribuendo con generosità a render sempre più fervido il zelo di chi prenderebbe la cura della rustica educazione. Diverrebbe così padre affettuoso co’ suoi beneficj.

Il cittadino che entrerebbe nelle pubbliche cariche di difendere l’innocente debole contro il forte usurpatore sedurre non si lascierebbe dalla attrattiva dell’oro per tradire l’interesse dell’abbattuto cliente. Più non si vedrebbe la società piena di uomini impiegati di quell’arte sottile d’interpretar a piacere le più assurde leggi, di rovinar le famiglie co’ litigiosi contrasti, d’ingannar con mille frodi, clausole inviluppate, ottusi raziocinj l’incauto che implora il soccorso del legislatore, spargendo nei magistrati il veleno della corruzione ed empiendo le società di guaj e di sventure.

Famigliari essendo tutte le cognizioni che concorrono alla scienza del commercio, più famigliari ancora il candore, la fede, l’urbanità che lo nutriscono, la ricchezza territoriale co’ mezzi di sussistere e di godere aumenterebbe in una simile nazione istrutta negli elementi non delle fattizie ma delle vere scienze econo­miche.

Gli artigiani ed operaj adottrinati nei principj delle loro arti e mestieri, resi ognor più ferventi dalla ricompensata emulazione, im­porrebbero tributo non solo alle vicine ma anche alle lontane contrade. Più perfette sarebbero le nostre manifatture ed assai più utili pella ostinazione con cui accrescerebbero la massa degli avanzi della classe produt­tiva. Accostumati alla pratica delle sociali virtù, sarebbero più attenti al lavoro. Gui­dati anch’essi colla via dei sentimenti, più non formerebbero una unione di genti avvi­lite, stupide e sediziose, ma di sudditi fe­deli ed onorati.

Dirozzati i contadini, ma distrutta la servitù, conoscerebbero i doveri dell’uomo, quel­li della loro arte, cognizioni che in ogni guisa li renderebbero più felici col rendere più opulenti i fermieri che ne diriggono il produttivo lavoro.

Avrebbe un despota un esercito formidabile non già per il numero inoltrato che spopola le campagne, ma pella esperienza ed il valore di quei guerrieri che lo comporrebbero.

Sciolto il sesso dai legami della schiavitù, non seguiterebbe le ombre della virtù di pu­ra convenzione, ma della vera virtù, che esclama e grida libertà.

Ricevi, o leggitore, con bontà gli esposti pensieri. Se accompiuti non sono i disegni che mi animarono a scrivere, non accusa più il mio cuore, ma lagnati piuttosto del mio ardi­re che con forze sì tenui abbia voluto scorrere una carriera che aspettar si doveva ad un ingegno sublime.

[1] Corn. Tac. Hist. lib. I.

[2] Lib. IV. cap. XII. § 5.

[3] Ibid. cap. III. § 18.

[4] Della ricerca della verità del P. Mallebranche. lib. sesto. cap. I.

[5] Il signor Tissot, De la santé des gens de lettres. § 4.

[6] Chiunque vuole avere un corpo sano e lo spirito libero, si tenga svegliato quanto gli è possibile, non accordando al sonno che il tempo necessario alla salute. Quando una buon’abitudine ci soccorre, non abbiamo bisogno di sagrificarci troppo spazio di tempo. Vedi Plat. Delle leggi.

[7] De la santé des gens de lettres. § 56.

[8] Libro secondo.

[9] Delle leggi: lib. VII.

[10] Non si lasci però in balìa de’ maestri di musica il presentarla a loro piacimento agli adolescenti. A questi maestri non aspetta lo sciegliere i generi di musica, ma bensì a’ direttori de’ nostri stabilimenti di educazione. Platone ha ben ragione di condannare un tal abuso. Vedi Delle leggi. lib. II.

[11] Baccone il frate non mancò di preparare da lungi la fortunata aurora.

[12] In effetto, dice Platone, di tutte le scienze che servono alla educazione, non ve n’è che sia di un uso più comune de’ numeri nell’amministrazione degli affari pubblici e privati e nella coltura di tutte le arti. Ma il maggiore vantaggio che procura si è di risvegliare anche uno spirito pesante e grossolano, di dargli facilità, memoria e penetrazione, e con un artificio veramente divino di fargli fare progressi a dispetto della natura. Delle leggi. lib. V.

[13] Della ricerca della verità lib. VI.

[14] «Capitalis oratio est ad aequationem bonorum pertinens, qua peste quae potest esse major? Hanc enim ob causam maxime, ut sua tenerentur, respublicae civitatesque costitutae sunt. Nam, etsi duce natura congregabantur homines, tamen spe custodiae rerum suarum urbium praesidia quaerebant». Cic. De officiis lib. II. cap. XXI. Avrebbe questo grand’uomo invece di città dovuto parlar dell’agricoltura, di cui però non manca in altri luoghi di farne l’elogio.

[15] Sotto il nome di ricchezze mobiliari s’intendono mobili, case, danari, argenterie, mercanzie immagazzinate, utensili di ogni arte e mestiero, bestiami ed altri simili beni.

[16] È sì vero questo principio, che unendo queste parti distaccate le une dalle altre nell’ordine che hanno ricevuto dalla natura si allontaneranno di bel nuovo dalla corruzione. Questa è la ragione pella quale il sale impedisce la putrefazione dei corpi. L’estrema sua divisibilità, e figure angulari e pontute insinuandosi ne’ porri di tutte le materie animali, vegetabili, solidi o liquidi, empiendone i vuoti impedisce la dislocazione ossia la corruzione.

[17] Gli antichi filosofi erano talmente persuasi che gl’insetti vengano della putrificazione che ardivano prescriver metodi per procrearli. I maghi egiziani credevano che il Nilo e la loro terra producesse animali, senza pensare che quelle erano materie proprie soltanto a farne covar le uova ed a nutrirli. È sorprendente che in secoli più rischiariti alcuni sieno caduti in errori sì grossolani. Ognun sa le anguille di Nedam, visione abbracciata con avidità dell’autore del Sistema della natura. Finchè non si rapportano che prove sì meschine, non temino i veri filosofi che simili libri possano esser proprj ad accrescere il numero degli atei.

[18] È sorprendente come questo sapiente, che ha vissuto in un secolo in cui la luce era già sparsa sopra tante nazioni, abbia coltivato l’astrologia, la gromanzia, la chiromanzia e la cabala, arti di cui si alimenta l’ignoranza. Si vantò di aver ritrovata la pietra filosofale e morì in un’osteria nell’età di 48 anni dopo una malatia di pochi giorni. Contuttociò è stato un gran medico e le sue opere contengono scoperte e progressi nella medicina.

[19] Giovanni Pico dice che fu sempre legge fra gli antichi sapienti di non trattare soggetti elevati se non sotto veli enigmatici ed oscuri. Pittagora sosteneva che le scienze vengono occultate da Dio affin d’impedire che il mondo si distrugga. Platone scrivendo a Dioniggi consiglia a servirsi in cose sublimi di enigmi e giri artificiosi.

[20] Orazio si mostrò di un sentimento ben contrario sulla venerazione degli antichi, allorchè disse che gli antichi invece di meritare esclusivamente l’onore e la gloria meritavan piuttosto perdono. Nec veniam antiquis, sed honorem et praemia posci. Epist. I. v. 78.

[21] Non posso spiegare il contento di cui mi sentii penetrato allorchè, visitando pochi mesi sono la mia patria, trovai intieramente libera la pannizazione. Questo è un nuovo beneficio ed una nuova prova de’ lumi economici del gran ministro che la governa.

[22] Queste magistrature ne suppongono altre ugualmente necessarie alle quali aspetta la pubblica istruzione, cioè l’educazion nazionale.

[23] Quam iniqui sunt patres in omnis adulescentis judices! | Qui aequum esse censent nos a pueris illico nasci senes | Neque illarum adfinis esse rerum, quas fert adulescentia. P. Teren. Heauton-Timorumenos. act. I. scen. IV.

[24] L. I. c. IX.

[25] … postremo, alii clanculum | Patres quae faciunt, quae fert adulescentia, | Ea ne me celet, consuefeci filium. | Nam qui mentiri, aut fallere insuerit patrem | Hau dubie, tanto magis audebit caeteros. | Pudore et liberalitate liberos | Retinere satius esse credo quam metu. | … | Et errat longe, mea quidem sententia, | Qui imperium credat gravius esse aut stabilius | Vi quod fit, quam illud quod amicitia adjungitur. | Mea sic est ratio et sic animum induco meum | Malo coactus qui suum officium facit. | Dum id rescitum iri credit, tantisper cavet: | Si sperat fore clam, rursum ad ingenium redit. | Quem beneficio adjungas, ille ex animo facit. | Studet par referre. Praesens absensque idem erit. | Hoc patrium est, potius consuefacere filium | Sua sponte recte facere quam alieno metu. | … hoc qui nequit | Fateatur nescire imperare liberis. P. Teren. Adelphi. act. I. sce. I. Mi sono in alcune parole discostato dal senso originale, per meglio adattarne i sentimenti al mio soggetto.

[26] Ode de Mr. De Martel.

[27] Si frater aut sodalis esset, qui magis morem gereret? | Hic non amandus? Hiccine non gestandus in sinu est? | Hem! | Itaque adeo magnam mi injecit sua commoditate curam; | Ne forte imprudens faciam, quod nolit, sciens cavebo. Act. IV. Sce. V.

[28] Non vorrei che si favorisse troppo l’inclinazione pegli stromenti a fiato, come le trombe. Esiggono un trasporto violento nel petto che disordina la circolazione. Il polmone è una viscera sufficientamente affaticata nelle funzioni ordinarie, senza aver bisogno di sforzarla a questo esercizio.

[29] Sopra le malatie de’ bestiami si dovrebbe far una traduzione della bell’opera di Mr. Vivet che ha per titolo Medecine vétérinaire.

[30] Quando, ut aliis locis de virtute et diximus et saepe dicendum erit (pleraeque enim quaestiones, quae ad vitam moresque pertinent, a virtutis fonte ducuntur), quando igitur virtus est adfectio animi constans conveniensque, laudabiles efficiens eos, in quibus est, et ipsa per se sua sponte separata etiam utilitate laudabilis, ex ea proficiscuntur honestae voluntates sententiae actiones omnisque recta ratio; quamquam ipsa virtus brevissime recta ratio dici potest. Cic. Tusc. disput. lib. IV. § XV.

[31] Vedi Avis au Peuple.

[32] Vedi ibidem.

[33] Quanto è sventurato l’ozioso! Mal contento di sè, non ha altra brama che di cessar di esistere; brama che non gli permette altra qualità di azioni se non quelle che ne acellerano la distrazione, divenendo furioso contro i più naturali sentimenti. Quanti infelici non portò mai l’ozio ad attentare alla propria vita! L’ozio produce la noja, e questa non è soltanto una negazione di piacere ma bensì un vero dolore.

[34] Corn. Tac. in Vita Agricolae.

[35] Corn. Tac. ibidem.

[36] Luc. lib. 4.

[37] Effutire leves indigna tragoedia versus, | Ut festis matrona moveri jussa diebus, | Intererit Satyris paulum pudibunda protervis. Orat. Art. Poet. 230.

[38] È si vero che la poesia ispira l’amore della gloria ed il genio bellicoso, che molti legislatori se ne servirono con felici successi. Varj conquistatori ne conobbero la forza. Fra questi Eduardo re d’Inghilterra, che conquistò il principato di Galles, condannò alla morte i poeti ed al fuoco tutte le loro opere, proibendo a’ popoli nuovamente sommessi le stesse nelle quali la poesia, secondata dall’incantamento della musica guerriera, faceva profunde impressioni ne’ cuori di quella gioventù. Vedi David Hume, Sto. d’Inghil.

[39] Nunc autem, simul atque editi in lucem et suscepti sumus, in omni continu pravitate et in summa opinionum perversitate versamur: ut paene cum lacte nutricis errorem suxisse videamur. Quum vero parentibus redditi, dein magistris traditi sumus; tum ita variis imbuimur erroribus, ut vanitati veritas, et opinioni confirmatae natura ipsa cedat. Cic. Tusc. disp. lib. III. cap. I.

[40] Ergo non tamquam coactos pueros in disciplinis, o vir optime, sed quasi ludentes enutrias, ut et magis ad quos quisque natura sit aptus possis agnoscere. Plat. De rep. dial. 7.

[41] Gratum est quod patriae civem populoque dedisti, | Si facis ut patriae sit idoneus, utilis agris, | Utilis et bellorum et pacis rebus agendis. Juv. Sat. 6.