Pensieri e frammenti filosofici

Cesare Beccaria
PENSIERI E FRAMMENTI FILOSOFICI

Testo critico stabilito da Gianni Francioni (Edizione Nazionale delle opere di Cesare Beccaria, II, 1984, pp. 277-310)

 

Pensieri staccati

I. Ditemi cosa fa bisogno per essere meno infelici, se pure questo nome di felicità esiste.

II. Dialoghi dei posteri: opera fattibile.

III. Le penchant des hommes à un tel plaisir plutôt qu’à un tel autre est une des causes principales de la diversité des caractères. Et cela dépend des premières sensations agréables reçues par l’enfant: il cherchera, grand, les plaisirs qui ont été les premiers qu’il a prouvez.

IV. Dans les tems de simplicité, la force des passions est en masses considérables, dans le tems qu’on appelle corrompu, éclairé etc. les passions s’éparpillent, pour ainsi dire, en petites parties.

V. Est-il vrai que pendant qu’un plaisir nous touche, pendant qu’il n’est point entré dans les limites de l’indifférence ou de l’ennui, nous n’en souhaitons pas un plus grand? et que les plaisirs les plus forts sont sujets aux plus grands inconvéniens? Voilà peut-être une raison de préférer les plaisirs plus tranquilles, qui sont mêmes les plus durables, aux plus vifs.

VI. Spesso il primo sentimento che si presenta in morale non è il migliore per la legislazione, chiave che spiega i motivi e i pretesti di molte cattive leggi.

VII. Ogni legge che ristringe in più precisi e chiari limiti la legge medesima, è preferibile, ceteris paribus, ad un’altra che lo fa meno. Assioma che credo evidente in politica.

VII. Una delle massime precipue è che il legislatore si astenga, per quanto gli è possibile, di instituir corpi separati e distinti dalla nazione.

IX. Esaminare se fosse bona istituzione militare il fare delle ferite un titolo di rango e di avanzamento.

X. Sembrami che i mali (considerata l’umanità nella sua specie e non gl’individui) sieno necessari per richiamarli senza cangiamento allo stato primitivo di uguaglianza. Prima erano soggetti e doveano can­giarsi; dopo vi resteranno almeno per un più lungo tempo che i mali non durarono. Cercare le proporzioni fra le durate successive dei dif­ferenti stati per cui è passata l’umanità. L’esperienza sola rende stabilmente fisso l’uomo nei suoi sentimenti. L’enorme sproporzione ha fatto nascere tutto ciò che l’eguaglianza non avrebbe potuto far nascere per mancanza di motivi spingenti e che potevano contribuire a rendere più felici gli uomini nello stato della uguaglianza ecc.

XI. Trovare, nella distribuzione delle ricchezze, trovare il massimo punto di durata di disuguaglianza possibile e così il minimo.

XII. Romanzi e storie: parallelli tra loro: influenza e direzioni di farlo. Fino a che segno gli errori e quando lo sia.

XIII. L’idee più durevoli e più efficaci sopra di noi son quelle delle quali vediamo i limiti. Quindi le idee della vista ecc.

XIV. Quando si ha ragione si è facilmente generoso (detto della illu­strissima signora contessa Somaglia).

XV. È facilissimo di confondere l’idee complesse e i giudizi che ad ogni tratto facciamo nella nostra mente. Giudizi sono uno degli elementi di ciò che chiamansi idee vaghe e incomplete: è raro che riceviamo idee senza far paragoni ecc.

XVI. Tutto ciò che serve a particolarizzare le idee generali e far vedere il rapporto di un segno generale o d’idee generali nelle particolari, tutto ciò che le idee vaghe rende precise con delle accessorie, abbellisce lo stile: i limiti non solo rischiarano ma piacciono.

XVII. Lodate troppo una persona e diventa pedante. Negligentate troppo una persona, o l’avilite o la diventa intraprendente: rare volte ha la costanza di voler semplicemente la vostra stima meritarsi.

XVIII. L’oscurità delle cause fisiche moltiplica agli occhi del popolo le azioni delle cause morali.

XIV. Le nazioni allora più pensano alla perfezione ne’ loro stabilimenti quando più son corrotte.

XX. Gli uomini quando non sono sicuri vanno al di là del loro scopo.

XXI. La legge deve prevenire quei disordini che tendono alla disamalgamazione dell’interesse privato dal publico; deve aspettare quando nascono a rimediare a quelli che turbano gli interessi privati senza fare i publici.

XXII. Le cause fisiche più possono a cangiar che le cause morali. Le morali si mettono facilmente in equilibrio.

XXIII. Ricordarsi nel libro di far spiccare questo pensiero: che i dicasteri politici legislativi devono imporre, quei di giustizia no.

XXIV. Il coraggio de’ selvaggi è piutosto nel sentimento delle proprie forze, ne’ muscoli, ma non è coraggioso nell’opinione; onde un coraggioso di opinione doma e regge facilmente i selvaggi.

XXV. Gli uomini preveggono più lontano nelle cose d’opinione che nelle cose reali e di fisici bisogni.

XXVI. Le opinioni religiose si devono considerar buone o cattive politicamente, non tanto per le virtù che raccomandano o per i vizi che proibiscano, essendo quasi tutte simili in ciò; ma per i mezzi che propongono e per i motivi che adoprano per ciò ottenere.

XXVII. Fra due leggi opposte, tra due stabilimenti di usanze che hanno inconvenienti e vantaggi, bisogna consultar qual origine abbiano in natura e limitarli coi limiti fissati dalla natura medesima. Esempio: il pensiero della posterità, che le leggi limiteranno a sufficienza a due o tre generazioni ecc.

XXVIII. Metempsicosi preferibile politicamente ad ogni altro dogma di vita avvenire.

XXIX. Le parole esprimono o imagini o rapporti d’idee, non già imagini contrastanti tra di loro: quando si esprimono le idee ad una ad una, non per parole esprimentine più insieme, il linguaggio è sempre composto d’imagini e per conseguenza poetico.

XXX. L’uomo ama di scorrere in un circolo di varie abitudini piuttosto di gettarsi in una serie nuova d’idee.

XXXI. La causa prossima delle azioni è la fuga del dolore, la causa finale è l’amor del piacere. Teorema generalissimo.

XXXII. La morale è stata composta dei sentimenti primitivi forti ed utili che potevano sussistere nei stati primitivi di società meno raffinata e stretta, dopo si è aggiustata come si può colle modificazioni allo stato peggiore.

XXXIII. Quando un uomo ha fatto una risoluzione grande, nel momento prima di eseguirla è pentito, e l’eseguisce più per il rossore di ritornar indietro che per costanza nel primo proposito.

XXXIV. Quicumque Argolica de classe Capharea fugit
semper ab Euboicis vela retorquet aquis.

Pensieri sopra la barbarie e coltura delle nazioni e su lo stato selvaggio dell’uomo

La barbarie di una nazione, se si prenda in un senso preciso e filosofico, non è altro che la ignoranza delle cose utili a quella e dei mezzi più pronti e più conformi alla felicità particolare di ciascheduno per ottenerla; la coltura di una nazione è la cognizione di tutto ciò. In chi regge e comanda si esige la scienza degli avvantaggi e de’ mezzi di procacciarli al suo popolo, coll’interesse di farlo, e nel popolo non si esige che la non opposizione nelle opinioni e nei costumi ai veri avvantaggi ed ai veri mezzi che possono adoperarsi per renderlo felice.

Finché le cognizioni e le opinioni sono in equilibrio coi bisogni e colla massima felicità conosciuta di ciascheduno in particolare, non può chiamarsi barbara una nazione, ma può essere più o meno selvaggia, termine che esprime la maggior o minor lontananza dalla massima unione che possa darsi fra gli uomini, e dalla massima assoluta felicità possibile divisa nel maggior numero possibile. Io mi arresto ad ogni tratto a deffinir parole: ma con questo solo mezzo si può sperare di fare di una scienza versatile ed incostante una precisa e durevole; di un pretesto de’ scelerati e di un sistema di sangue e di desolazione, la scienza amica dei popoli e protettrice del genere umano.

Una nazione può essere selvaggia e barbara, può essere selvaggia e non barbara, può essere molto barbara e molto socievole nel medesimo tempo.

Quando pochissimi bisogni ma forti legano gli uomini fra di loro, quando i mezzi di soddisfarli sono sproporzionati al numero degli esigenti, essi s’avventeranno al mezzo più pronto, ma non al più conforme alla felicità di ciascheduno. Così dal seno della sensibilità e della ignoranza nascerà la ferocia, così in una contrada naturalmente sterile di vegetali e di animali gli uomini diventeranno antropofagi, mezzo il più pronto nel medesimo tempo ed il più pericoloso per ciascheduno. Il secondo caso si è già svilluppato di sopra. Il terzo si verificherà quando molti siano i bisogni che tengono gli uomini uniti fra di loro, e molti i fallaci mezzi per cui ne soddisfano alcuni, e molta la ignoranza di rimediare agli altri. Quest’ultimo è il più vasto e più fecondo di combinazioni, ed il più interessante per noi. È neccessario esaminare come nascano gli errori fra gli uomini, per quale secreta e fatale catena l’uomo, dalle semplici sensazioni che sono costanti, salti al di là del vero nell’infinito abisso della falsità e quanta parte debba correr di questa per ritornarvi.

***

A misura che l’uomo ha meno idee e fa minori paragoni, ogni bisogno che in lui nasce è più imperioso e più costante; il mezzo più pronto che si presenti alla mente vien preferito al più efficace, ed il più efficace, benché forse più pericoloso, vien preferito a quello che lo è meno quando il pericolo o non sia conosciuto o non si presenti che in una confusa ed oscura lontananza. Ma, di più, gli uomini ragionano per analogia ai propri sentimenti, ed i sentimenti più vivi e più durevoli quelli sono a cui si rapportano con maggior confidenza per quella spinta, per quella gravità, per quel pendio per cui l’essere sensibile strascina ed unisce le nuove impressioni alle vecchie e famigliari.

La diffidenza è sempre proporzionata al numero delle sperienze infelici conosciute in altri o fatte in se stesso, ma molto più nell’ultimo che nel primo caso. Ma le analogie che fa l’uomo non sono quelle della natura, che posta in un trono inaccessibile imprime la sua energia in tutti gli esseri e da un solo fenomeno ne fa nascere infiniti e diversi in ogni essere che sente, modificati dalle circostanze e dalla organisazione particolare. Ogn’uomo è tanto meno restio alle mutazioni quanto ha minori modelli fattizi con cui paragonare i nuovi sentimenti che sorgono in lui. Così selvaggi sono veloci, intraprendenti e confidentissimi nei mezzi che sieguono per soddisfarsi, ma nello stesso tempo facili a seguire le altrui direzioni per le cose nuove ed insolite; perché più nuove ed insolite loro appaiono che non ai colti, i quali al contrario lenti sono e diffidenti in ogni cosa, perché molti bisogni contrastansi ed equilibransi fra di loro, e difficilissimi alla mutazione, perché nelle tante idee e combinazioni che se ne fanno trovano sempre qualche antico ed usitato modello che loro par buono ed a cui si confidano, e loro risparmia quella fatica di riflettere che il solo bisogno e la sola sensazion di mancanza possono far tolerare.

L’uniformità de’ costumi delli selvaggi è soltanto negativa perché sol dura finché nuove occasioni nascano di sortirne, ma la uniformità dei colti è positiva perché nasce dalla diffidenza e dalla prevenzione. Così la barbarie de’ selvaggi è più ristretta ad una classe d’idee, quella dei colti è più contagiosa ed universale. I selvaggi operano qualche volta barbara­mente, i colti barbaramente ragionano. Le passioni dei primi sono in masse considerabili e sconnesse, con intervalli continui di forza e di riposo, di furore e di tranquillità; ma nei secondi le passioni sono divise per lo più in picciole parti connesse metodicamente fra di loro, che si fortificano e s’indeboliscono reciprocamente per insensibili gradi d’accrescimento e diminuzione. Così nelle passioni forti i popoli colti allo stato selvaggio si accostano; così i selvaggi nella superstizione, che è la loro coltura, si avvicinano ai costumi dei popoli colti. Osserva ciascuno che ogni selvaggio ha qualche sorta di coltura, ogni colto ha qualche lato di selvaggità, e che questi stati s’intralciano e si confondono reciprocamente.

Tutti i sentimenti dell’uomo in qualunque stato ei siasi gli sono sempre naturali. L’uomo nello stato selvaggio e nello stato sociale non sono differenti fra di loro per la sola robustezza del corpo o per le sole relazioni esteriori, ma ancora per l’abituale differenza de’ suoi sentimenti. L’uomo dallo stato selvaggio è entrato nello stato sociale appunto perché i suoi sentimenti naturali si sono cangiati. Dunque i sentimenti naturali del­l’uomo selvaggio non sono la norma del diritto pubblico originario. Ma neppure i sentimenti naturali con cui l’uomo è entrato in società sono la norma del diritto pubblico attuale, perché lo stato di società originario si è anch’esso cangiato, ed è nella natura della sociabilità medesima che si cangi.

Le leggi dei selvaggi sono il risultato delle loro passioni combinate. Le leggi delle nazioni colte, quando siano giuste, sono il risultato della differenza delle passioni medesime, il che forma la ragion comune.

In ogni nazione vi è religione, costumi e leggi. Ogni religione si riduce a deismo o a politeismo; ogni costume a stoico o epicureo; ogni legge si riduce a legge d’interpretazione e d’equità o a legge rigida e letterale: sei elementi, di cui tre sempre esistono in ogni nazione, formano venti caratteri distinti di una nazione all’altra.

* * *

Si è disputato in questo secolo se l’uomo sia più felice nello stato selvaggio o nello stato socievole. Si dipingono gli uomini in quello stato nudi ed erranti, ma circondati di forza e di robustezza, né timidi né feroci, opponendo ai pochi mali della natura la durezza del temperamento, una coraggiosa ignoranza, una fortunata imprevidenza; dipingonsi godenti o il sonno o l’indolenza invece della noia che opprime o eccita gli uomini socievoli; essi, poco curanti della morte che non conoscono e rinchiusi nelle prime sensazioni, hanno le passioni delle cose e non le passioni dei mezzi di ottenerle, le quali crescono a misura che scemano quelle; felicis­simo rientra nel seno della materia senza aver maledetto la sua esistenza. Brevi combattimenti fra soli individui e colle sole armi della natura inzuppano rare volte la terra di sangue umano, ned è la serie degli avvenimenti di quelle oscure ma fortunate generazioni una lunga e meditata carnificina né una continua tradizione di illustri delitti per cui ogni secolo si autoriza su ’l precedente ad immolare i piccioli e trepidi mortali a pochi arditi e scaltri. Tale è la pittura che dello stato selvaggio fanno alcuni malinconici filosofi: perciò chi li ascolta, trovandosi ad un’immensa distanza dalla felicità, gettasi in una disperata insensibilità, ed inselvandosi coll’animo e coll’imaginazione, non potendo o non volendo farlo realmente, serra tutte le vie per cui le diverse sensibilità degli uomini si comunicano, fa sorgere dall’inaridito suo cuore un sentimento feroce col quale, annientando l’esistenza sensibile degli altri, si finge ed opera come se fosse solo nell’universo. Egli è vero che le conseguenze comunque fatali di un principio non lo distruggono come fanno gli assurdi, ma almeno ci obbligano a rimontare di nuovo al principio medesimo sospettandolo di falsità. Perciò quanto più antico si suppone l’universo, quanto più svariate sono le di lui rivoluzioni e vicissitudini sì fisiche che morali, tanto è maggiore la probabilità che un principio distruttore, gli effetti di cui non si reggono, sia falso. Analiziamo dunque questo stato selvaggio non solo per rapporto alla sua felicità (nel che forse i misantropi avrebber ragione), ma per rapporto alla sua possibilità e durata.

Figuriamoci di avere sott’occhi gli animali tutti della terra. Quale sarà la specie che dovrà unirsi in società, provare tutti i beni e tutti i mali, divenire il conquistatore della natura ed il perturbatore dell’universo? Quegli irsuti e feroci, che armati veggiamo di spaventevoli zanne, oltre­ché ristretti sono ai climi più caldi ed a vita non lunga, e perciò meno osservatori e di bisogni più momentanei, la perfezione primitiva d’alcuni organi loro e la mancanza ed ottusità d’alcuni altri deve trattenerli dal perfezionarsi, e non essendovi equilibrio fra le loro facoltà, tutte si determineranno verso le opere degli organi più perfetti. Perché un animale si perfezioni ed esalti se stesso, è neccessario che i bisogni suoi siano vari e ripartiti a misura su tutte le sue facoltà, e che bisognoso di tutto e di tutto mancante abbia flessibili organi, ma che provi nel medesi­mo tempo dalla parte degli oggetti una resistenza, per cui sia costretto a replicati e diversi tentativi. Oltre di che è necessaria una certa propor­zione di grandezza fra gli organi operatori e gli oggetti operati.

Ora, l’animal uomo ha gli organi suoi proporzionati ad un facile allontanamento o avvicinamento di una gran moltitudine di corpi adattati a’ suoi bisogni, nel mentre che questi, resistendo alle di lui impressioni, eccitano e svillupano l’industria di lui; egli ha i sensi tutti ciascuno da sé meno perfetti di quelli degli altri animali, ma sono fra di loro equilibrati, cosicché nissuno troppo predomina, mentre un senso troppo imperioso fa nell’essere sensibile ciò che nei corpi politici la troppa diseguaglianza dei beni.

Le associazioni delle idee saranno dunque più reciproche nell’uomo, ed essendo meno forti nelle sue prime combinazioni potranno ricevere un maggior numero di elementi nelle più complesse, e perciò saranno in lui più efficaci e più varie tutte le operazioni dell’esser suo.

In questo stato gli insulti delle bestie feroci ben presto insegnano la riunione di più individui; i fenomeni del cielo e della terra forse non bene stipata e vacillante intorno al suo sistema, la fisica posizione di fiumi inaccessibili agli inesperti selvaggi, le catene inospitali de’ monti ed il mare ancora intentato erano limiti posti dalla natura allo spandimento del genere umano ed allettamenti alla riunione.

Le associazioni della caccia fecero ritrovare agli uomini stromenti ed astuzie di diffesa contro le bestie feroci, che dopo diventarono quelli della distruzione de’ propri simili prodotta dalla disproporzione dei biso­gni coi mezzi di soddisfarli. Quanto più gli uomini si accostano alle sensazioni originali, quanto più sono agitati dalle passioni primitive, e che la moralità delle azioni è misurata su la scala delle forze naturali e del vigore dell’animo, tanto minori diventano le differenze fra di essi e tanto più i sentimenti e le azioni si rassomigliano. Ciò si vede manife­stamente anche nello stato di società: le passioni violenti eguagliano tutti i ceti e tutte le sette, riuniscono gli estremi, rendono gli uomini o fratelli o competitori, perché una passione estrema non essendo altro che un concentramento di tutte le forze dell’animo in un solo oggetto, tutta la moltitudine dei sentimenti accessori resta inoperosa ed abbandonata.

Erano dunque i forti che pugnavano contro dei forti; ma questo stesso equilibrio di forza fece sì che prevalse l’industria della guerra, delle convenzioni, delle scoperte. Le arti e le scienze crebbero così in proporzione con i bisogni, e sempre coi minimi progressi possibili nelle date circostanze; perché la legge della minima azione non è meno infal­libile in morale che nella fisica.

Qual mezzo dunque per impedire all’inesorabile neccessità lo svillup­pamento della umana sociabilità? L’impossibilità dunque di richiamare gli uomini verso uno degli estremi della sua natura dimostra la neccessità di farli passare colla maggiore rapidità e dolcezza verso dell’altro, cioè alla somma coltura.

* * *

Oltre di ciò, chi asserisce che la difficile eguaglianza era il felice attributo delle prime società non parla adeguatamente; perché coloro che salvan­dosi i primi dalla natura sconvolta ed insterilita si slanciarono ad occupare tutti i scarsi posti ubertosi e sicuri, dovettero mettere in schiavitù quegli altri che, restati gli ultimi a rifuggiarsi, accettarono ogni iniqua condizione da’ primi occupanti anzi che un inevitabile deperimento; l’invincibile e densa ignoranza contribuì a perpetuare la legge del timore e della schiavitù, che è il primo e l’ultimo degli stati per cui passano le nazioni che si reggono solo su i mali istantanei, non sopra gli antiveduti, il che la sola esperienza de’ medesimi mali che si dovrebbono prevenire può insegnare.

Come il filosofo fisico vede nell’esterno del globo l’ordine presente delle cose, e nelle viscere sue legge le traccie dell’antico disordine che lo produsse, e del quale ancora qualche ricordo ne dà la natura; così il morale filosofo vede i presenti vantaggi, i progressi della scienza del viver felice, e li trova effetti degli antichi disordini, ed i mali odierni osa vaticinarli necessari movimenti ed agitazioni, dopo le quali siano i popoli per riportarsi in un ultimo e remotissimo stato d’eguaglianza e di felicità.

Pensieri sopra le usanze ed i costumi

Ogni nazione che cangia i suoi costumi e le sue usanze lo fa o per neccessità o per noia o per sorpresa. Per costumi intendo i risultati degli affetti e delle passioni che agitano gli uomini; e per usanze l’esterne maniere o sia quel linguaggio d’azione, che tutt’ora susiste, per mezzo dei quale gli uomini adoperano e manifestano questi medesimi risultati pei loro vantaggi.

La neccessità cambia più i costumi che le usanze e la noia più le usanze che i costumi; la sorpresa e gli uni e le altre quasi egualmente. I cambia­menti prodotti dalla necessità sono più rari ma più durevoli ed ostinati; quei della noia più frequenti ma variabili; quei della sorpresa possono essere e durevoli e variabili, e rari e frequenti, secondo prendono origine da sentimenti più o meno naturali, più o meno fattizi, della mente umana.

La necessità ha maggior influenza su i costumi che non sulle usanze, perché i primi dipendono dalla successione dei bisogni e le seconde da quella delle opinioni, e i bisogni comandano, le opinioni consigliano; queste prendono la loro efficacia dalla pigrizia dello spirito, che si riposa più facilmente sul falso abituale che sul vero inusitato e confonde la facilità d’imaginare e di agire colla chiarezza ed utilità di queste operazio­ni. Ma l’influenza delle usanze e delle opinioni su gli affetti ed i costumi degli uomini fa che la necessità stessa non produca tutto quel cambiamen­to che farebbe se fosse sola ad agire sull’uomo, il quale amando lo stato presente delle sue idee, da cui riconosce la facilità degli atti, accomoda ai nuovi costumi le vecchie usanze, benché inutili e sovvente contrarie.

Le necessità politiche sono in ragione composta della reciproca dei mezzi della natura e diretta del numero d’uomini, e perciò scemano coi soccorsi spontanei del suolo e crescono coi fattizi dell’arte. Perciò fra le nazioni più antiche, come quelle che poste sono in una terra ubertosa e felice, i cambiamenti sono per questa parte minori che nelle nazioni nuove non sia.

Ma la noia, che nasce dalla minorata quantità di sensazioni che danno le usanze invecchiate in paragone d’allora quando erano nuove, trasforma a poco a poco le usanze medesime, seguendo però sempre la legge di quella graduata uniformità che sì al morale come al fisico presiede; perché l’uomo vuol combinare la novità colla facilità, e cambiando l’uso sostiene l’opinione, e vicendevolmente. Le usanze private si cambiano più delle publiche, le indifferenti più delle importanti.

L’attenzione dell’uomo sopra una operazione si divide fra l’importanza di essa e la sua difficoltà: l’influenza della difficoltà prevale di tanto quanto l’interesse dell’affare si allontana dal proprio particolare di lui.

A misura che gli interessi sono disuniti e che l’affare dipende da molti, i punti di vista sotto i quali gli oggetti vengono rimirati sono così differenti che gli uomini non si accordano che nel riposarsi nel vecchio ed usitato. Perciò in una nazione regolata da molti e con disuniti interessi, i vizi ed i disordini, antichissimi, tenacissimi e sistematizati essendo, sem­brano ordini e virtù. La necessità vi rimedierebbe se gli uomini non con­fondessero la necessità de’ loro ceti privati con quella del pubblico, e se considerassero per mali non solo i violenti ed instantanei, ma quelli ancora che procedono tardamente e con insensibili divergenze da un antico momentaneo bene che ne fu l’origine.

Ma la noia è un sentimento troppo particolare e privato per aver luogo nei pubblici affari, se non forse nel dispotismo ove il pubblico interesse è un interesse privato. Dippiù, la noia suppone una nazione già illuminata, e non ha potere sopra i selvaggi per indurli a cambiamenti; essa è più fatta per perfezionare le colte nazioni che per frenare le già corrotte; essa fa bensì circolare con rapidità le cose usate ed i movimenti dell’animo, ma non fa correre direttamente gli uomini, per il che hanno bisogno d’essere strascinati dalla necessità o spinti dalle sorprese.

La sorpresa in chi la soffre è una passione cagionata da una impressione la quale, per essere sconosciuta e superiore, non ha che poca o nissuna connessione colle idee e sentimenti che uno trova nella sua mente, e che perciò tenendolo isolato da altre determinazioni lo precipita in quella che gli presenta. La sorpresa in chi la cagiona è una azione nuova, vigorosa e risoluta. Si sorprendono gli uomini colle conquiste, colle religioni, coi nuovi codici, col terrore, con insigni benefizi. Alcune di tali sorprese sono stabili, altre passaggiere; le une cominciano nell’opinione e finiscono nella realtà, altre vicendevolmente.

Delle usanze alcune son pubbliche, altre private. Alle prime sono gli uomini attaccati per la venerazione ed importanza degli interessi di esse, e perché suole il volgo confondere l’accessorio col principale, le parole colle cose, i mezzi coi fini, e quelli che sono occupati nei pubblici affari ne sono invincibilmente adoratori; alle seconde per la grata abitudine, per la contagiosa e facile imitazione.

Vi sono parimenti costumi pubblici e costumi privati. Costumi pub­blici sono quello spirito di morale comune e di prudenza tradizionale, e quella politica di registro con cui gli uomini che occupano le magistra­ture agiscono per riguardo al sovrano ed ai sudditi e che si loda dai pre­senti uomini e dal volgo perché lodata dai passati e dai grandi, e forse perché la lode è tanto più spontanea quanto è minore la distanza fra la situazione del lodato e dei lodatori. Gli uomini o ammirano o detestano ciò che far non saprebbero, o non potrebbero, e stimano più sincera­mente ciò che sanno o possono fare in simili circostanze. Costumi privati sono quelli coi quali gli uomini trattano i loro affari privati ed i piaceri medesimi, nei quali si conoscono meglio perché l’animo nel divertimento è men diffidente.

I costumi privati son per lo più la norma dei pubblici: l’uomo porta su ’l pubblico bene, che esige mire elevate, le domestiche idee e le timorose sollecitudini della famiglia. E colui che fu sempre avvezzato ad impicciolire l’animo suo dovrà con mani avvilite dalla umigliante sferza magistrale scriver decreti di pubblica felicità?

Potrà il legislatore più facilmente cambiare le pubbliche usanze che i pubblici costumi, ed al contrario più i privati costumi che le usanze private. Perché a cambiare i pubblici costumi troverà il sovrano tanti oppositori secreti quanti sono i suoi magistrati; i privati costumi tenendo agli interessi, e le usanze alle occupazioni ed ai divertimenti, quelli col mutar la direzione degli interessi posson cambiarsi, e questi non possono che lentamente e con modi indiretti correggersi. Ma non è utile il distaccarsi dalle pubbliche usanze a coloro che le amministrano, perché il mantenervisi non toglie i mezzi di soddisfare i privati interessi e trattiene e concilia la pubblica opinione.

Le opinioni sono inchiodate nelle menti umane non in ragione della loro verosimilitudine ma della loro importanza, e danno alle usanze e ne ricevono una forza ed energia che reprime la stessa autorità suprema e non le lascia che i mezzi indiretti per impugnarla.

Le opinioni astratte sono piuttosto mantenute dalle usanze che manteni­trici di quelle. Le usanze che nascono da passioni che hanno oggetti chiari e determinati sono costanti, le contrarie lasciate al loro corso tendono ad alterarsi da se medesime, cosicché quell’oggetto che ora è motivo di gran­dissima riunione fra gli uomini diverrà segnale e motivo di grave disparità.

L’uomo varia di più le sue passioni ed i sentimenti suoi che le sue maniere, perché ne’ moti interni prevale per lo più il presente e negli esterni il passato.

Le usanze influiscono su i costumi colla moltiplicità loro, coll’antichità, colla diversità fra di esse medesime e colla natura dell’impressione che producono.

La moltiplicità delle usanze intorno ad un costume rende bensì gli uomini ferocemente ostinati a conservarlo, ma diminuisce la sua efficacia. Perché le cose accessorie mantengono bensì le principali, che richiamano continuamente e suppongono, ma dividendo e dissipando l’attenzione diminuiscono quell’unità di sentimenti alla quale solo è dato e le grandi e le fatali cose produrre.

La moltiplicità delle usanze, moltiplicando le sensazioni e le occupazio­ni, diminuisce la forza delle passioni, amansa le nazioni feroci ma inde­bolisce le mansuete: aumenta lo spirito di società esterna per cui i corpi si avvicinano, ma gli animi s’allontanano. Perché i grandi interessi, nei quali si può senza grave discapito far qualche sagrificio per combinarsi, riuniscono gli uomini; ma i piccioli, che col cadere si annullerebbero, li dividono: ora, gli usi essendo mezzi per ottenere i piaceri della società, moltiplicandosi, suddividono in picciole parti gli interessi ed allontanano gli animi.

La moltiplicità delle usanze sovvente ripetute e con certo periodo, produce uno spirito d’imitazione e d’abitudine che le perpetua recipro­camente e vi invischia gli uomini per l’invitta forza de’ sensi, piacendo loro ciò che nutre motivi grandi di speranza e timore, con varia e facile occupazione che li alletta ed agita dolcemente nel tempo istesso: l’impor­tanza de’ motivi copre la puerile frivolità delle usanze. Ma queste danno spesse volte importanza anche a ciò che non lo merita e, caricando di troppi sentimenti i mezzi che conducono ad alcuni fini, rendono gli animi costanti ma lenti nel correre a questi, e ciò produce quella tarda prudenza che lascia tempo agli ostacoli di arenare la più felice celerità delle umane azioni.

La moltiplicità delle usanze avvezza gli uomini a particolareggiare ogni cosa perché essi confondono per lo più i segni colle cose. Il vedere le particolari da un sol punto di vista si fa e dai grandi ignoranti e dai grandi sapienti: i primi perché non veggono le differenze ed i secondi perché vedono le connessioni delle cose; ma i primi da un fatto ne cavano molti ed i secondi da molti ne cavano un solo. Dunque gli usi moltiplici producono norme diverse di buono e di cattivo e riducono le azioni per riguardo alla società a porzioni vicine ma diseguali, non tendenti a punti fissi. Eppure nella società i disordini de’ particolari interessi devono compensarsi per riguardo al generale interesse, affine di non turbare il moto comune.

* * *

L’antichità delle cose fu sempre argomento al volgo di non ragionata venerazione, sia per invidia delle presenti che sole sembrano offendere, sia perché la scelta fra la venerazione proposta ed una lunga e laboriosa indagine non è per lo più dubbia per gli uomini che non ragionano se non sforzati; perciò ancora cerca solo nel presente che lo percuote le cagioni dei mali presenti, mentre al contrario più disordini attuali possono esser l’effetto di un solo disordine passato.

La variazione delle leggi fondamentali, l’usurpazione delle parti su ’l tutto, ottimamente si accorda coll’immobilità degli usi e colla sacra ed imponente austerità nel conservarli. Il volgo confonde gli usi colle leggi, i nomi, i titoli, gli abiti, le regole temporarie dei ceti particolari col fon­damento della salute pubblica, coll’espressione della volontà generale che nasce dall’equilibrio degli interessi opposti e dalla cospirazione de’ combinati. Le usanze sono più semplici delle leggi (come il linguaggio lo è assai più delle idee) e colla loro moltiplicità rimovono da queste l’attenzione degli uomini, e sono per la scaltra tirannia come tanti densissimi veli dietro i quali sicuramente celare le sue usurpazioni. Gli uomini hanno sempre potuto, con mettere in mostra un po’ di bene, far molto male nascosto; la forza sa poi ottenere delle giustificazioni e tutto si imputa alla debolezza. Perciò i tribunali corrotti, in mezzo a’ suoi arbitrari giudizi, sono severissimi a mantenere le formalità della giustizia; tanto è vero che ne’ governi già guasti anche il bene contribuisce alla rovina, poiché diventa o un pretesto o un ostacolo contro quella diffidenza del popolo che precede le rivoluzioni.

Una gran differenza fra gli usi pubblici ed i privati induce un rispetto maggiore verso li primi. Il volgo calcola i morali fenomeni come li fisici e non argomenta le differenze di quelli che per la differenza delle sensazioni che li accompagnano. Così dalla autorizata singolarità del­l’abito suole argomentare una singolarità di merito. Così gli usi attaccati dapprima ad oggetti meritevoli di stima o di disprezzo, se si applichino ad altri indifferenti, comunicano loro quei primitivi sentimenti di stima o di disprezzo.

Le usanze nuove che dipendono da opinioni cominciano per fanatismo e con mistero, si pubblicano con impostura e venerazione, continuano per abitudine e come spettacolo, divengono poscia oggetto di ornamento e di piacere, e finiscono coll’esser lo scopo del ridicolo e dell’ignominia. Le usanze nuove sogliono con leggiera mutazione imitare le vecchie, massimamente se il fanatismo ed il mistero vi ha gran parte. Perché l’uomo cerca di cangiar l’ordine delle idee senza cangiare le abitudini ed introduce piuttosto nuove interpretazioni e nuovi fini per gli usi vecchi che usanze affatto nuove e diverse. Quindi è che più si resiste a quelle opinioni che fanno cangiare gli abiti che a quelle che negli antichi si involgono.

Rare volte le usanze nacquero da piena istituzione o da spontanea convenzione, ma per lo più con lenti progressi e da varie neccessità, quantunque, al cambiarsi queste col volger dei tempi, durino per abitu­dine e tanto più quanto que’ scaltri a cui giovano procurano di anneb­biarne al popolo, colla moltiplicità de’ significati, la vera frivola origine o la già passata neccessità che le produsse. Ma appunto dalle imponenti ed accumulate interpretazioni argomentare si può la nascita diffettosa di cotali usanze, a differenza di quelle che portano in fronte con ingenuità la bella cagione della loro legitima istituzione.

Le allegorie e le allusioni figlie non sono dell’entusiasmo e delle passioni veementi; esse condensano i sentimenti, non li estendono, simplificano gli oggetti anzi che comporli. Quindi le nuove sette che si distaccarono dalle antiche non cominciarono mai dall’aggiungere ma dal diminuire. Le rivoluzioni istantanee che si fanno per passioni forti sono distruggitrici, quelle sole che si fanno graduatamente per riflessioni e passioni picciole, cioè per sentimenti, sono edificatrici.

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Altre usanze imprimono venerazione e rispetto, altre timore e viltà, altre tristezza e dolore, altre gioia ed allegria.

Le prime vi frenano col frapporre una distanza sensibile fra voi e l’oggetto e, per impedirne i paragoni e gli esami, da’ quali nasce il disprezzo, lo nascondono entro una folla imponente di accessori. Le masse delle cose arrestano la nostra imaginazione come gli elementi la nostra ragione. Se tali usanze pongono un freno necessario all’uomo, che tende incessantemente all’eguaglianza per arrivare alla superiorità, non incutono però sempre un vil timore di essere disprezzato, se la distanza fra voi e l’oggetto è incomensurabile, e vi stimolano ad un’utile emula­zione se è superabile.

Le seconde vi opprimono coll’esigere da voi tutti gli attestati della vostra dipendenza e picciolezza e col togliervi tutto ciò che nutre la confidenza di voi medesimi: perché l’uomo ha forse tanto bisogno di imporre a se stesso quanto agli altri. Gli usi accessori tristi, terribili e lugubri vi condannano a bevere a sorsi amari e lenti l’incertezza, il terrore, il disprezzo di noi medesimi, disprezzo fatale in un uomo libero, che è sempre cattivo quando è avvilito. Gli animi indeboliti perpetuano i mali nelle nazioni perché non vi si oppongono ma li scansano, non li distruggono ma cercano di scaricarsene sopra gli altri. La vita diventa un affare straniero: il presente ed il futuro, grida il misero nell’abbattuto suo cuore, non è nostro; egli è di que’ dei terrestri e minacciosi che ci con­dannano l’esistenza dell’oggi e ci tengono incerti su quella del domani.

Le usanze gaie contribuiscono alla felicità degli uomini e per con­seguenza alle loro virtù, almeno alle virtù negative. Il felice rare volte divien scelerato; se non è benefico, perché non conosce o perde il senso de’ mali altrui, non ha motivi che lo spingano nell’inquieta ed oscura strada dell’iniquità. I piaceri pubblici diminuiscono l’intensione della ricerca de’ piaceri privati, che sono i più perniciosi negli attuali sistemi. Ma quando il popolo si forma da se stesso de’ pubblici bagordi, ne’ quali s’affolla e si stordisce fra il tumulto e l’ubbriachezza, dite ardita­mente: questo popolo è schiavo ed infelice. Le usanze gaie accrescono quello spirito di fratellanza che la gioia egualmente ed il dolore ci sug­geriscono, con questa differenza però, che la gioia ci rende più universali nelle nostre società ed il dolore ci porta a sciegliere un picciol numero di rari amici dai quali si esige il contrario ufficio e di divertire la nostra tristezza e di sentirla.

Vi sono unioni fondate sopra reali interessi ed unioni fondate sopra bisogni d’opinione: queste seconde sono ripiene d’usanze e di cerimonie necessarie per richiamare le idee che li riuniscono; l’occupazione istessa del cerimoniale li alletta, l’amor proprio si soddisfa con un’apparenza di republica e di comando.

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Tutti i costumi dipendono dalle opinioni. Le leggi istesse per ottenere l’osservanza di un costume devono far nascere una opinione, perché l’uomo non persuaso calcola sempre l’impunità, la quale non mai si può toglier del tutto. La maggior parte delle leggi devono dunque essere indirette per ispirare costumi voluti ed accetti ai sudditi, i soli costanti e giusti perché soli rendono gli uomini felici, e ciò si ottiene suscitando e nutrendo accortamente ne’ cuori umani le sorgenti della moralità, le quali sono timore, sorpresa, compassione, compiacenza ed ordine.

Non tutto ciò che è utile al pubblico si deve direttamente comandare, quantunque tutto ciò che è dannoso si debba proibire: dunque tutte le leggi che ristringono la libertà personale degli uomini hanno per limite e norma la neccessità; e le leggi che hanno di mira la sola positiva utilità non devono ristringere la libertà personale.

La causa prossima e mottrice delle azioni è la fuga del dolore, la causa ultima è l’amore del piacere: sono dunque più i mali che serrano una nazione, che i beni che gode o che aspetta, che determinano i costumi di lei.

L’uomo si riposa nel bene ed agisce nel dolore: dunque i vantaggi di una nazione possono al più determinare i di lei costumi negativi, ma gli inconvenienti o reali o temuti ne determinano i positivi. Quindi è che l’uomo nello stabilire canoni di condotta va sempre negli estremi e cade piuttosto nel bene, fugendo dal male, di quello che non vi camini. Il timore usurpa tutta l’attenzione e la fa scorrere con rapidità alla fine delle serie delle idee a lui appartenenti ofuscandone le intermedie.

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Nelle costanti nature delle diverse nazioni il clima non entra come precipua ed immediata cagione, ma come parziale e rimota; bensì la fecondità e sterilità del genere umano e del terreno, le quali non dal solo clima sono prodotte. Bisogna distinguere l’abbondanza del suolo originaria dall’artefatta, per sciogliere le obiezioni a questa propo­sizione.

Tutte le società, che da uomini dispersi e selvaggi si formano, sono fondate su la proprietà particolare de’ beni, come quelle, che dalle società istesse si formano, sono fondate nella comunione delle cose. Perciò forse nello sterile e gelato Settentrione la stima delle cose acquistate, rese preziose per la fatica sostenuta su l’avaro terreno e per il sangue sparso de’ competitori, dovette far nascere in que’ popoli lo spirito republicano di libertà ed indipendenza: di fatti in quelle nazioni i tributi solo ad arbitrio e spontaneamente accordati al sovrano ne limitarono l’autorità, poscia frenata ad ogn’ora dalla potenza feudale che anch’essa nasceva dalla preziosità delle possessioni. Per lo contrario l’abbondanza più frequente ne’ climi meridionali render poteva que’ popoli meno avidi ed ostinati nella proprietà e più soggetti ad idee spaventevoli di religione ed ai molli sentimenti d’amore, che ivi predomina ove gli altri bisogni sono minori; perciò forse soggiogati furono più facilmente dal dispotismo. Quindi l’impero della opinione dal Mezzogiorno ci venne, quello della necessità dal Settentrione; in questo le opinioni si subordinarono ai bisogni, in quello i bisogni obbedirono alle opinioni. Ma la natura, ne’ climi felici ubertosa per l’organisazione ed i rapporti della umana fabrica, non dispensa già gli uomini da uno continuato esercizio de’ loro organi. Dove gli urgenti bisogni del corpo sono tosto soddisfatti, nasce la noia, la quale, colla solleticante inquietudine che produce, spinge gli uomini nell’infinito inesauribile de’ piaceri fattizi e delle opinioni, delle quali le utili ai più potenti si autorizano e domano le inutili e quelle che vi sono contrarie. Quindi è che le meridionali nazioni in maggior parte arrivano più presto delle altre alla sagacità delle arti, alla coltura delle lettere e delle scienze. Ma tutte le nazioni arrivare vi possono quantunque per strade diverse.

Vi sono dunque due diverse specie di società perfezionate. Una che le costanti neccessità imposte dallo sterile suolo spinsero a forza in braccio dell’attività e dell’industria: queste trovano nella loro maggior perfe­zione il sommo grado di libertà. Ma siccome la tranquillità e la pace nate dal lungo e perfetto equilibrio di tutti i poteri fanno perdere alle nazioni il timore salutarissimo ed il conservatore sospetto della loro alterazione, così affinché questa libertà si mantenga bisogna che i progressi di lei sieno in qualche maniera proporzionati alle di lei perdite e stimolati da queste. La perfezione del momento non è la perfezione della durata. I sentimenti dolorosi sono necessari all’uomo, sono neccessari alle nazioni, triste ma evidente neccessità; ma il minimo de’ mali neccessari ad una nazione deve essere, per quanto si può, egualmente diviso, come il massimo di felicità.

L’altra specie di nazioni è quella che si perfeziona per mezzo delle opinioni: l’indole di lei è la stabilità; gettasi con rapido moto nel seno del dispotismo ed ivi dorme le innumerabili generazioni, dando segni di vita soltanto nelle scosse improvise che di quando in quando fa sentire. Sono sempre gli avvenimenti e le relazioni fisiche che cagionano le universali e durevoli impressioni: tutto dunque conspira in favore di chi si impadronì dapprima di quelle felici combinazioni in cui gli uomini convergono, dominati dalle prepotenti fisiche cagioni.

Dunque l’opinione e la necessità sono i due punti da cui le nazioni si slanciano nella carriera della loro perfettibilità. L’uniforme sentimento che ne nasce è il timore, sentimento di tutte le costituzioni, ma che in diverse produce effetti diversi.

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La sapienza delle nazioni è quasi sempre un frutto dell’infelicità loro passata.

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La perfezione del momento non è la perfezione della durata; bisogna che vi siano delle uscite ai vantaggi che una nazione va facendo.

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L’oscurità delle cause fisiche moltiplica agli occhi del popolo le azioni delle cause morali.

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Nel dispotismo l’uomo è al di sotto de’ suoi sentimenti naturali, nelle repubbliche è al di sopra, nelle monarchie è al livello.

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Le nazioni allora più pensano a perfezionarsi ne’ loro stabilimenti e mandano uno splendore più luminoso quando son più corrotte.

Pensieri diversi

Il miglior metodo per diventare filosofo è quello di fare un’analisi esatta di tutte le sensazioni che si ricevono, cercarne gli elementi, l’origine e gli effetti. (Il miglior metodo per la lettura dei libri è quello di seguir la legge del piacere; di non strascinarsi dietro le idee dell’autore, altri­menti si sostituisce al nostro spirito quello di lui e si estingue quella naturale divergenza per cui da una infinità di combinazioni nascono le poche felici e vere).

Ho detto di analizare se stesso perché si ha un vivo interesse a farlo adeguatamente: l’interesse è la luce interna dell’animo che rischiara le nostre sensazioni. L’analisi porta l’interesse dalle masse agli elementi, la mente vi si avvezza e gli oggetti le si presentano in quell’aspetto che mostra le uguaglianze e le differenze delle semplici porzioni. I lati simili si presenteranno con maggior facilità che i dissimili, e finché non arrivate a rapporti chiari sentirete una intima inquietudine prodotta dalla stanchezza dell’anima, la quale si riposa su le somiglianze e si agita su le differenze.

Per fissare dentro di noi l’oggetto da analizare bisogna secondare la spinta dell’animo che si avventa al lato piacevole di quello, perché na­turalmente trascoriamo troppo velocemente sul dolore e ci riposiamo sopra il piacere.

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Quanto più regole e quanto più soggette ad eccezioni ha una scienza, tanto è più lontana dalla sua perfezione: le regole primitive sono formate di tutti i dati e perciò contengono in sé tutte le combinazioni e le dif­ferenze dei rapporti.

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Lo spirito d’ordine combina fortemente le idee ricevute. Lo spirito di scoperta cerca un nuovo lato comune fra un’idea ricevuta ed una nuova: dunque versa intorno ai lati delle idee per la parte che non sono legati nell’ordine; dunque lo spirito di scoperta s’oppone allo spirito d’ordine: ma bisogna avere il coraggio di trovarsi spesso in errore.

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Le idee più durevoli e più efficaci sopra di noi sono quelle delle quali vediamo i limiti.

Non vi sono idee astratte, se per idee astratte altra cosa s’intende che le sensazioni semplici. Non vi sono idee generali, ma parole che inchiu­dono sotto l’istesso nome una moltitudine d’idee simili. Sarà dunque idea generale quando si paragona successivamente l’istessa parola con una moltitudine d’idee simili; sarà un’idea astratta quando si paragona successivamente più idee simili con una terza dissimile. Il moto non è un’idea semplice né astratta, ma un giudizio in paragone del medesimo corpo successivamente coi punti dello spazio e cogli altri corpi.

Se al sentire che alcune parole o idee hanno delle associate nella nostra mente e queste non si risvegliano, nasce l’inquietitudine che è un dolore. Così pure quando non è la solita né la più strettamente associata che si risveglia. Così pure se le parole senza le sue corrispondenti idee si pre­sentino, o queste senza di quelle.

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Quell’uomo è di maggior genio che può avere un maggior numero d’idee semplici presenti alla mente e distribuire sopra un maggior numero il suo interesse.

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L’inclinazione degli uomini ad un tale o ad un tal altro piacere è una grande sorgente della diversità dei caratteri; e questa inclinazione spesso proviene dalla prima sensazione piacevole che uno provò da bambino: egli sarà sempre avido di simili piaceri.

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Il confessarsi diffettoso in generale è comune, in particolare è rarissimo: perché la prima riflessione è troppo vaga per mortificare il nostro amor proprio ed è sufficiente ad accontentare quello degli altri; produce dunque senza sagrificio la lode di modestia. Nel secondo caso nasce il timore d’aver palesato un lato d’inferiorità. L’uomo ama il preciso e determinato nelle cose che dagli altri finiscono in lui stesso; il vago e l’indeterminato nelle cose che cominciando da lui finiscon negli altri: l’una e l’altra maniera aumenta il numero dei casi in suo favore.

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Lodate troppo una persona e diventa pedante; negligentate troppo una persona, o l’avvilite, o la diventa intraprendente: rare volte ha la costanza di voler meritarsi semplicemente la vostra stima.

Sulla materia

Tutta la materia componente il nostro globo non è realmente divisibile all’infinito: quanto grandi sieno le forze della natura, prese però cia­scheduna in particolare sono finite e per conseguenza non daranno giam­mai che un numero di divisioni finite. Chiamo elementi questi ultimi atomi insecabili, principio d’ogni combinazione e fonte perenne di tutte le azioni fisiche. Tutta la geometria dimostra che un numero finito di elementi dà un numero finito di combinazioni per quanto esse possano variare. Altro principio si è che gli elementi del nostro globo sono contenuti dentro la propria e limitata sfera di gravità. Dunque per legitima conseguenza di queste due verità sarà verissimo che le combina­zioni di elementi formanti Catone, Cesare o Catilina, quantunque ora disperse per l’immensa vastità della terra, debbono una volta ritornare: la materia essendo eterna e sempre variante nelle sue azioni, la materia di questa terra essendo contenuta dentro una limitata sfera né potendo variare che per un numero finito di combinazioni, il ritorno della medesima combinazione è dimostrato; è dimostrato parimente che questa ripetizione di combinazioni è stata infinite volte ed infinite volte sarà. Nell’infinito assoluto ci è tutto e per conseguenza l’infinita ripeti­zione delle medesime cose, ogni volta che ciascuna azione di questo infinito componente è finita e si fa intorno a sfere finite e limitate.

Aggiungasi che tutta la materia componente Catone, Cesare o Catilina non è essenziale all’essere di Catone, Cesare o Catilina, ma solamente quella parte ch’è in lui sensibile, così che l’uomo pare che solamente si riduca alla tessitura nervosa, benché questa per sussistere, vivere ed agire abbia bisogno di essere circumvestita di altri corpi.

Ritornerà dunque Catone, Cesare o Catilina quando ritorneranno i medesimi atomi a riunirsi nel medesimo sistema nervoso, quantunque le altre parti costituenti l’antico Catone, Cesare o Catilina variassero incessantemente. Dunque, attesa la perpetua variazione della natura e l’infinita ripetizione delle medesime combinazioni, infinite saranno le ripetizioni di Catone, Cesare o Catilina e precisamente come già furono, e nelle medesime circostanze, e di più con tutte le differenti porzioni di corpo non essenziali e con tutta la diversità delle circostanze sì fisiche che morali di re, di schiavo, di savio, di scellerato, ecc. ecc., quante sono le immense ma però finite combinazioni di tutti gli atomi con tutti gli atomi. È dunque a noi destinata dalla inesorabile ed immensa natura la medesima sorte. Dobbiamo ugualmente rallegrarci che affliggerci, ed abituarci a quel poco di paziente tranquillità che può dare uno sforzo di ragionamento.

Di più, quantunque infiniti sieno gli atomi della materia dell’universo, pure in ogni punto l’interminabile attività di essa è soggetta a leggi costanti ed uniformi. Tutto nell’universo ci grida questa verità. Infiniti elementi, agenti sempre con uniformità e costanza e con numero di leggi finite, daranno combinazioni infinite di numero ma non d’infinita varietà. Dunque tutte le combinazioni dell’universo sono interminabili di numero, ma finite nella loro variazione. Dunque tutto ciò ch’è stato, è e sarà, è sempre. Ciocché per noi è successione, per l’universo è circolazione. Catone che in questi atomi si è dato la morte circa 1800 anni fa per la patria e per la libertà, per lo stesso sacro motivo un altro Catone non solo ritornerà qui a darsela, e noi tutti qui avremo la stessa generosità, ma ancora a suo tempo e Catone e noi tutti in ogni punto dell’universo faremo l’istesso. Ecco data alla metempsicosi pitagorica la più grande estensione possibile, spogliata del manto imbecille della superstizione ed appoggiata sulla più solida base della filosofia.

Sulla gioventù

Finché il bollore della gioventù, finché la sua mente non ancora ingombra ed occupata tutta quanta da una folla di inutili idee e di pertinaci abitudini, ha spazio e facilità di ricever nuovi movimenti e nuove direzioni, esercitala, movila e piegala a sentire, a toccare, a ri­maneggiar fortemente tutta l’immensa varietà di impressioni di cui sei suscettibile, altrimenti la sopravegnente età irrigidirà la facile e pronta duttilità del tuo ingegno, ti renderà inflessibile l’elastica forza del tuo riscotimento, e i nuvoli della tristezza e le dissipatrici circostanze della imitatrice e confusa vita sociale ingombreranno il libero corso delle tue idee. Allora le più forti impressioni e i colpi impetuosi e profondi del grande e del bello appena potranno lambire la superficie dell’animo tuo ed eccitare una sfuggevole, leggera ed alterata commozione.