Idee sul sistema giudiziario

Pietro Verri
IDEE SUL SISTEMA GIUDIZIARIO (1785)

Testo critico stabilito da Carlo Capra (Edizione Nazionale delle opere di Pietro Verri, VI, 2010, pp. 313-321)

Un uomo collocato in un Consiglio di giustizia e salariato dal pubblico erario per impedire i torti, le ingiurie e le usurpazioni, deve sentire quanto sia sacra l’autorità di cui è rivestito. Tristo colui che, non rimirando nell’ufficio di cui è incaricato che le prerogative e le preeminenze della dignità, la fa servire all’orgoglio e all’avarizia! Colui è un pubblico malfattore che, col favor di quelle leggi medesime che debbono impedire i mali della società, gli accresce e moltiplica e coll’esempio e colle azioni. Tal sorta di uomini, fosser anco rei di non altro che d’indifferenza pel bene pubblico, sarà sempre ottima determinazione il levarli di carica.

Vuoi tu scegliere un buon soggetto per collocarlo a giudicare? Comincia dal considerare la di lui condotta nella vita sua privata. S’egli sa prudentemente misurare le sue spese colle facoltà; s’egli è buon padrone co’ suoi domestici; se ama di vivere con persone costumate; se nella sua vita non si è macchiato mai con azioni vergognose, allora puoi passare all’esame de’ suoi talenti e della moderazione e logica, le quali due qualità sono le sole che formano la scienza del giudice.

Chi vuole mostrarsi degno di giudicare gli uomini suoi simili conosca i doveri che la società gl’impone, e con mano cauta e timida innalzi la terribile bilancia della giustizia: in guardia sempre contro della insidiosissima seduzione, scortato d’una prudente difidenza, comincerà sempre da un freddo esame de’ fatti, nè mai pronunzierà opinione o sentenza se prima non avrà con imparziale studio proccurato d’indagare la verità. L’uomo di poco ingegno rapidamente crede d’aver veduto il tutto e francamente pronunzia un ostinato e irremovibile parere; l’uomo veramente d’ingegno, simile in ciò all’uomo di miglior vista, osserva mille e più oggetti laddove il miope appena ne scorge dieci, e quindi vi adopera il tempo e la fatica conveniente per ben ravvisarli.

Nè basta che il giudice sia anche retto e imparziale: convien ch’egli abbia altresì cura di comparirlo. È già pur troppo infelice il Cittadino costretto a dipendere da un tribunale di giustizia; e perchè mai il giudice dovrà a questa infelicità aggiugnervi ancora l’inquietudine di non esser egli, come pur lo deve, imparziale? Non è permesso in alcuni paesi al litigante o all’avvocato il frequentar la casa del giudice. Che direm poi se il giudice, per risparmiar la fatica, addosserà l’esame delle scritture a un avvocato? Che direm poi se il giudice permetta a quest’avvocato di aver per suoi clienti coloro che aspettano sentenza da lui? Che diremo perfine se quest’avvocato d’una delle due parti sarà l’amico, il commensale, il compagno indivisibile del giudice? Un giudice che per tal modo affronta la opinione degli uomini sensati mostra evidentemente un vizio tale che merita d’essere rimosso dal suo impiego. Sacerdote della giustizia, tu stesso accostati solo all’ara; sgombra l’indolenza, veglia sul tuo sacro dovere, inspira confidenza e rispetto verso la tua dignità; diminuisci i litigi, diminuiscine la amarezza.

Questo umano principio di scemare l’amarezza delle liti obbliga un giudice a non prestarsi giammai alle ricerche d’una parte che tenda co’ mezzi medesimi della giustizia d’insultare e offendere l’avversario. Sarebbe cosa sommamente indecente se un giudice facesse intimare una citazione per mezzo d’uno sbirro a una persona bennata. Sarebbe una indecenza affatto ridicola poi se il giudice ricevesse questa bennata persona da lui citata spogliato come un agente di villa. Sarebbe parimenti una intollerabile villania se nel ricevere omettesse le cortesie e i riguardi che la educazione insegna a chiunque nella sua infanzia non sia stato confuso co’ fanciulli plebei. La decenza, la nobiltà, la dignità, la cortesia, la sapienza, l’imparzialità, queste sono le doti che debbono corredare un uomo posto in carica, se pur brama di mostrarsene degno.

Ma questi evidenti principj, se saranno letti da uomini del foro, non produrranno sicuramente altro effetto che uno sbadiglio, giacchè il carattere distintivo de’ curiali è quello che ogni sentimento generoso, elevato e evidente cagiona immediatamente ne’ loro muscoli questa convulsione. Così è, e così debb’essere, e ora ne esporrò la vera cagione, la quale consiste nella educazione universale de’ Dottori.

L’educazione delle scuole, la quale dovrebbe aver per suo fine la perfezione della ragione umana e la ricerca della verità, sin da’ primi anni della gioventù piega i cittadini per lo contrario dalla parte opposta e, cominciando dalla Umanità e dalla Rettorica, tutto l’ammaestramento consiste in avvezzarli a trovar parole e giri di frase per sostenere un argomento assegnatogli dal Maestro, sia che essi giovani lo credano, o sia che non lo credano ragionevole. Quindi gli alunni, in vece d’indagare quello che è vero, quello che è giusto, e studiarsi a rappresentarlo nel migliore aspetto, pongono in vece ogni loro studio ed arte in far comparire vero e giusto quell’argomento sul quale vien loro comandato di mostrare la loro eloquenza. Si spiega loro Cicerone, e il giovane s’addestra a considerare più come effetto dell’accortezza dell’oratore i passi più convincenti anzi che come un sincero e genuino sentimento d’un grand’uomo che non adoperò la sua eloquenza che in servigio della virtù e della verità. Guastato per tal modo l’ingegno e rivolto all’artifizio ed al contorcimento oratorio, passa il giovane a quella che sogliono chiamare Filosofia. Ivi si conferma e sempre più si rassoda il vizio radicale della scolastica educazione. S’addestra il giovine a disputare pro e contro invece di fargli sentir la vergogna d’essere ostinato contro della evidenza medesima, egli anzi ha somma lode se imperterritamente difendendo l’opinione del Maestro con distinzioni cavillose, con parole talora prive di senso, delude la verità più luminosa e rende offuscata la umana ragione. Dopo tal pessimo tirocinio passa il giovine allo studio informe d’un legale. Ivi non definizioni, non principj, la opinione e l’autorità decidono ora in favore ora contro. Si immerge facchinescamente a svolgere cento volumi barbaramente compilati. Quel poco lume che rimanevagli resta spento affatto. In ogni causa vi sono avvocati accreditati da una parte, e avvocati accreditati dall’altra. Le sentenze riescono talvolta le più impensate. Sententia Senatus est casus fortuitus: l’assioma è volgare. Un uomo così abituato riesce adunque un animale artefatto e diversissimo dal comune degli uomini, i quali per essere meno educati appunto hanno conservate le tracce del lume naturale. Racconta una azione ingiusta e infame in un ceto d’uomini volgari; vedrai che sul volto della maggior parte vi si scorge immediatamente il ribrezzo e lo sdegno. Racconta la medesima azione ad un congresso di curiali: la loro fronte insensibile non si cambia, uno sbadiglio sarà il solo contrasegno di sensibilità che da essi avrai. Se hai una lite, se ti vien fatta aperta ingiustizia ricorri pure ai legali, regalali, raccomandati, abbandonati nelle loro braccia: freddi, indolenti, annojati, indifferenti, ti assisteranno per mecanismo e per mestiere. Un ciarlatano per campare a tue spese ti promette la guarigione d’un male incurabile; ti smungerà denaro, ma almeno ti consolerà colle speranze, fingerà amicizia, interessamento, cuore. Una donna di teatro formerà il progetto di campare a tue spese, t’incomoderà nella economia; ma almeno ti sedurrà con incantate illusioni, si fingerà amante, ne riceverai de’ piaceri. Uno ipocrita scaltrito insidierà la eredità tua col pretesto di guidarti al cielo; ma almeno avrà la pazienza di consolarti, di suggerirti consigli, di non mostrarsi offeso dalla tua debolezza; ti carpirà la eredità ma ti ha ricompensato almeno colla apparenza di una intrinseca confidenziale amicizia. Ma il dottore, l’uomo del foro, ah miserabile se capiti nelle mani di lui! Egli dubita della stessa evidenza, egli rende problematica ogni ragione; non lo muove il tuo affanno, non si dà la briga di fingere nemmeno la menoma sensibilità per consolarti. E perchè ciò? Perchè è un animale che non ha per guida la natura, di cui i principj sono un pironismo universale, che non ha altro filo di umana prudenza che di tenersi bene con coloro che possono dargli delle clientele, e quindi la servile adulazione, la cautela, la pieghevolezza e mutabilità delle opinioni, e quindi in somma una corrotta morale.

Giunto un curiale alla virilità, e disingannato dalla sperienza sullo studio de’ libri, i quali insegnano spesso diversamente da quello che giudicano i Tribunali, diventa una vera arte magica la scienza di lui. Egli colla serietà, colla taciturnità, colla lentezza nojosa in ogni azione cerca d’imporne e vi riesce talvolta persino ai dottori medesimi. Costoro, a guisa de’ sedotti dalle chimere della magia, dubitano che il loro aversario sia veramente mago nel tempo in cui, sapendo essi di non esserlo, simulan pure di comparirlo, e quindi l’un l’altro si temono, sebbene s’affrontino con armi vuote e non caricabili. Tale almeno è la vera indole de’ nostri forensi, i quali oggidì hanno bensì riformata l’impostura degli antichi abiti che li distinguevano, ma sotto la comune figura realmente sono uomini affatto diversi dal comune degli uomini e giunti a tale insensibilità che, collocati fralla virtù e il vizio, fra la calunnia manifesta e la ingenua virtù, con insensibile faccia rimirano indistintamente vizio e virtù, calunnia e ingenuità, pronti a freddamente dissertare pro e contro a piacimento, a misura che meglio torni alla propria fortuna. Questa è poi la vera cagione per cui gli uomini, ne’ quali l’energia della natura ha potuto reggere malgrado il lungo artificio per opprimerla, sebbene forzati dalle circostanze a porsi su tale carriera, malgrado ogni sforzo dovettero <…>.

Sin tanto che s’adopereranno tali uomini per rettificare il sistema giudiziario si faranno delle mutazioni bensì, ma non delle riforme. Io francamente asserisco che, per rendere giustizia ai popoli, sarà assai meglio un Tribunale in cui la pluralità de’ voti sia di uomini sensati, retti, virtuosi, e in una parola uomini moderati e dotati di buona logica, siccome ho già detto. In tal tribunale basterà che sianvi due uomini che sappiano le leggi e le pratiche giudiziarie, le quali dipendono dalle notizie di fatto, e che questi uomini sieno sempre ascoltati come dizionarj prima di opinare. La sentenza poi pronunziata da un ceto di uomini non dottori, ma sensati, siccome ho detto, riuscirà tanto retta e onesta quanto è sperabile in ogni umana instituzione. In molti Stati d’Europa così si giudica, e sono que’ popoli assai più contenti della giustizia di quello che non lo siamo noi. Non si sarebbe mai presso di noi abolita la atrocità della tortura se il Sovrano non l’avesse espressamente comandato malgrado le tenaci opinioni de’ Curiali. La giurisdizione del Clero e la indipendenza di esso dal Sovrano si sosteneva dai Tribunali del Sovrano medesimo perchè composti di dottori. Sin che la Università de’ Studi fu sotto l’impero de’ dottori giacque nella vera barbarie. L’anno 1764 un pederasta fu in Milano gettato nelle fiamme per sentenza de’ nostri dottori <…> di corpo, e non si riformeranno mai da loro stessi. Per rendere equi i Tribunali d’oggidì conviene comporli di uomini che non abbiano soffocato il senso comune collo studio de’ pramatici.

Affine poi di preparare alle generazioni venture de’ uomini di legge utili conviene riformare il metodo delle scuole. Come s’ajutano i bambini a camminare, e s’addestrano pazientemente a far uso delle gambe, moversi, e non cadere; così i giovani debbono essere pazientemente addestrati a far uso della loro ragione, a indagare una verità col mezzo di altre verità, a evitare l’errore. La verità, il candore, il sentimento debbon essere la base dello studio della eloquenza. S’imprima in essi anzi un ribrezzo di prostituire la divina arte di scrivere e di parlare per dare una menzognera apparenza di verità alla fallacia. Siano i precetti tendenti a formarsi un semplice, chiaro, nobile, ordinato stile ministro del sentimento e della ragione. Passi indi il giovane ad ascoltare le opinioni degli uomini sulle cose naturali, ma le consideri come semplici opinioni, pronto ad abbandonarle in vista della verità. Diasi ai giovani il soccorso della Matematica, utile non tanto per le verità sublimi che scopre quanto pel metodo a cui avvezza la mente soltanto paga della dimostrazione. Dopo ciò avremo un giovane preparato e colto da passare allo studio legale. Ma quai libri gli daremo noi? <…> da molti Principi, e sempre sbagliata, come spereremo noi mai di ridurla a perfezione! Due questioni mi si presentano e sono. Prima questione: è egli possibile il fare un buon codice di leggi? Seconda questione: è egli possibile, quando sia fatto, d’impedirne la corruzione? Esaminiamole. La verità si manifesta con poche parole.

Un buon codice di leggi deve stabilire esattamente i limiti de’ dritti di ciascun Cittadino e stabilire con esattezza i principj sui quali il giudice modelli la decisione. Fatto che sia un tal codice, non vi possono essere liti che temerarie, nè vi può esser sentenza, che un dotto giureconsulto non l’abbia accertatamente preveduta. Questa verità ne dimostra un’altra, ed è che dunque noi attualmente viviamo senza leggi. Infatti nella successione ab intestato non v’è mai una lite, perchè su quello la legge vi è. Nemmeno abbiam lite sulla deseredazione d’un padre poichè la legge vi è, e ne stabilisce i casi. Il destino delle nostre fortune attualmente dipende dalla opinione de’ giudici, perchè quell’ammasso di scritti che chiamiamo il codice delle leggi è un labirinto di opinioni, di sentenze, di editti sconnessi, oscuri e contraddittorj. Per far dunque un buon codice di leggi conviene o fissare i limiti di tutt’i contratti e obbligazioni possibili, ovvero ristringere la libertà di far contratti e stabilire obbligazioni. Nel primo <…> cose possibili, si forma una mole di sottili distinzioni, e nella vastità del lavoro non è possibile conservare l’unità. Nel secondo caso dispoticamente si insterilisce la circolazione d’uno Stato e si ristringe la proprietà a rovina dello Stato medesimo. Ecco i due scogli i quali hanno fatto naufragare sinora. Ecco perchè io credo impossibile, o almeno difficilissima impresa la formazione d’un buon codice di leggi.

Supposto poi che veramente riuscisse a un Sovrano di veder formato sotto la sanzione e gli auspicj suoi un buon codice di leggi, ne viene la questione che ho accennata in secondo luogo, cioè se sia possibile l’impedirne la corruzione. Il sacro codice dalla religione ci serve d’esempio che colla interpretazione diverse sette diffidenti si sono offese e odiate reciprocamente fondandosi sul codice stesso de’ libri sacri. L’interesse de’ Curiali sarà sempre quello di rendere disputabile il significato d’ogni parola. L’interesse de’ giudici sarà simile; perchè più importante diviene colla incertezza il ministero de’ Patrocinatori, e più indipendente l’arbitrio del giudice. Come mai un codice, confidato per necessità nelle mani di uomini interessati a corromperlo colla interpretazione, come mai potrà conservarsi illeso! Anche Giustiniano proibì l’interpretazione, e vediamo s’egli sia poi stato obbedito. Gli convenne <…> un titolo <…> verborum <…> di nuove dispute. Io perciò penso che sarebbe una chimera lo sperare che un buon codice (supposto anche la possibilità di farlo) perseverasse nello stato suo, e non venisse corrotto.

In questo stato di cose io penso che poche leggi convenga conservare. Tutte le leggi criminali conviene che siano scritte precisamente; la lista de’ delitti punibili non è molto lunga, ed è di essenza della libertà civile che nella inflizione della pena la legge sola vi abbia parte, e l’opera dell’uomo s’eserciti soltanto nella verificazione del fatto. Oltre le leggi criminali io trovo necessario che nel codice sia scritto il metodo da procedere ne’ giudizi civili; le formalità essenziali per la validità de’ contratti e delle obbligazioni; la successione intestata, e poche altre simili rubriche. Credo insomma che, abbandonando idee troppo vaste, debba limitarsi un saggio legislatore a compilare più uno Statuto che un codice; e che la decisione poi delle controversie si faccia colla logica, colla naturale onestà, col buon senso, e senza confondere la mente con cavillose sottigliezze curiali. Quai libri daremo noi dunque a’ giovani ben educati che bramano di essere avvocati? Tutt’i libri che perfezionano la logica e la morale: lo Spirito delle Leggi, il Gius delle Genti del Signor Vatell, le opere di Cicerone, ecco i libri che io vorrei dare a un tal giovine. Oggidì da noi gli avvocati e i causidici son im[mersi nell’ign]oranza di ogni altra cosa fuori che del rigiro forense. Le cognizioni umane si sostengono l’una coll’altra; l’avvocato deve esser colto, sociale, sensibile al bello e al vero, e nelle scienze e nelle arti: la coltura accosta l’uomo alla sua perfettibilità.

Quai saranno gli uomini che porremo a sedere ne’ tribunali di giustizia? Legulei, curiali, no certamente. Essi hanno, siccome dissi, schiacciato il senso della natura sotto il peso della autorità; incerti fra il vero e il falso, indifferenti fra il vizio e la virtù, essi non hanno più nemmeno l’orma di quella sensibilità al vero che deve formare il carattere distintivo de’ magistrati: rivolti a’ raggiri, alla servile compiacenza, a secondi fini, essi hanno fiaccato e ammorbato l’animo che pur conviene portare integro e puro, e tale conservarlo su le sacre sedi della giustizia. Di questa classe di uomini nel momento d’una riforma non v’è da farne caso veruno, e il miglior partito che possa prendersi pel pubblico bene si è quello di ridurli alla inoperosità!

La contorta interpretazione delle leggi serve sempre a un giudice iniquo per coprire l’ingiustizia. Laddove il senso naturale della verità rimanga per sola guida ai giudici, non v’è più la maschera, e sfacciatamente il giudice corrotto compare per quello ch’egli è. Il pubblico giudizio <…> è il solo consigliere fidato d’un Sovrano per conoscere del merito delle persone collocate ne’ pubblici impieghi.

Finalmente per porre un argine alla libidine di litigare sarà indispensabile di fare quello che non si fa mai nel sistema odierno, cioè di condannare i patrocinatori medesimi ogniqualvolta la parte da essi sostenuta evidentemente s’appoggiasse a artifiziosi raggiri per offuscar la ragione. L’aver torto non è una colpa; ma il sostenere con mala fede un impegno ingiusto è una colpa e la è tale che ne’ casi più forti vorrei che, oltre la pena pecuniaria data al patrocinatore, si passasse a cassarlo dal suo ufficio, e alla carcere se occorre, quando più maliziosa appaja l’insidia fatta alla giustizia.

Tai sono i pensieri d’un buon cittadino. Tai sembreranno a chi lo è. Sono un libello se vorremo aspettare il parere de’ curiali. Fortunatamente la influenza loro è scemata, e si può vivere bene anche senza la loro benevolenza. Uomini, siate virtuosi, fatevi scambievolmente del bene, se amate un po’ di pazzia sia essa almeno allegra; screditiamo le pazzie malinconiche e atroci che hanno tormentato i nostri antenati, e dalle quali sembra che cominciamo bel bello a liberarci sotto il governo d’un ottimo principe nato a tempo […] nella massa intera della società.