Del sistema feudale

Pietro Verri
DEL SISTEMA FEUDALE (1782-1792)

Testo critico stabilito da Carlo Capra (Edizione Nazionale delle opere di Pietro Verri, VI, 2010, pp. 348-353))

Ogni uomo, per poco che abbia riflettuto su i governi, conosce che il governo feudale è il peggiore di tutti. Questa verità non è già di quelle che oltrepassano l’intelligenza comune, nè viene offuscata da quella nebbia politica colla quale s’impediscono i progressi della ragione; ognuno la vede, ognuno la dice. Dopo il Cardinale di Richelieu tutt’i Monarchi dell’Europa si sono rivolti a distruggere il governo feudale, e dove più, dove meno, dappertutto venne compresso o soffocato questo cattivo governo. Dovunque si procura di accostare immediatamente il Monarca al popolo e rendere il popolo unicamente dipendente da lui. Ogni suddito per tal modo cessa d’essere schiavo d’un vassallo e dipende dal solo legittimo Sovrano, il quale non può avere nè invidia nè alcun odioso sentimento, attesa la somma distanza della condizione, e quindi imparzialmente governa qual padre, procurando allo Stato tutto il bene e vegliando alla conservazione d’un dominio che passerà ne’ suoi figli. In fatti le nazioni e i Monarchi hanno gl’interessi medesimi per la retta amministrazione della giustizia, per la regolare e moderata percezione de’ tributi, per la contentezza pubblica, per la reciproca confidenza; onde lasciando agire liberamente questi due interessi ne risultano due forze cospiranti al medesimo punto. Per lo contrario un feudatario è un suddito, e poca distanza di condizione, di grado, di fortuna lo separa da’ suoi subordinati. Un Re non sospetterà mai che un privato abbia intenzione di offenderlo, ma il feudatario ad ogni mancanza di rispetto attribuisce un disegno di offendere, e quindi pensa alla depressione o alla vendetta. Le ricchezze d’un privato non possono mai svegliare invidia nel Monarca; ma somma ne daranno al feudatario poco più ricco, e quindi le avanie, le ingiustizie e le oppressioni. Queste verità confermate dovunque dalla sperienza hanno comunemente reso odioso il governo feudale e presso i Principi e presso i popoli.

Ognun vede quindi che il governo feudale è odioso e cattivo; non è certamente per l’investitura che il Monarca ha sottoscritta, non è per il titolo che assume il feudatario; ma è cattivo e odioso un tal governo perchè abbandonasi il destino degli uomini al potere d’un uomo che si determina non per motivi universali e perpetui, ma per motivi personali e variabili come suddito anch’egli, nulla interessato nella gloria del Regno. Il governo feudale effettivamente si trova in qualunque Provincia tosto che il Monarca ne commetta e affidi il reggimento a un uomo solo, anzi che ad una reggenza (o collegio, qualunque ne sia il titolo) dalla pluralità de’ liberi voti della quale dipenda qualunque determinazione. Peggio poi se l’uomo solo avrà una autorità non circoscritta a tempo, nè soggetta a una regolare censura, colle quali due condizioni la Repubblica Veneta ha saputo contenere i Podestà, che ogni tre anni cambia nelle città suddite: poichè il Ministro allora sarà un vero tiranno, come lo è nella Valacchia l’Ospodar che vi nomina la Corte di Costantinopoli, e gli uomini soggetti a tale governo dovranno soffrire tutti i mali de’ vizj dell’uomo al quale il Monarca avrà inconsideratamente abbandonata la sua podestà in una provincia rimota. Quello sarà un pessimo governo feudale senza investitura bensì, ma quanto agli effetti rovinoso come se fosse feudale.

Nè si lusinghi il Monarca di riparare il pericolo colla scelta d’un uomo provato; perchè due massime difficoltà distruggono ogni fiducia. La prima è questa, che se è difficile conoscer bene il carattere d’un uomo nostro pari, col quale liberamente trattiamo e al quale ci accostiamo da ogni lato; impossibile una tal conoscenza riesce a un Sovrano, a cui studiatamente sempre si presentano gli uomini o animati da speranze, o contenuti dal timore, e quindi mascherati sempre come per una scenica rappresentazione. Che se pure si lusingasse il Principe di conoscere il valore d’un uomo, non già cogli occhi suoi, ma cogli orecchi informandosi della condotta domestica e della fama di lui; allora oltre l’illusione che può produrre la infedeltà de’ relatori, sempre e inevitabilmente si corre l’azzardo delle impensate variazioni alle quali ogni uomo è soggetto col cambiamento di stato. Il proverbio è volgarissimo honores mutant mores. Un uomo nella mediocrità di sua fortuna sarà modesto, temperato, ragionevole, perchè al momento in cui uscisse da’ confini verrebbe costretto vergognosamente a rientrarvi; togli allo stesso i contrasti, ponilo al largo ove impunemente campeggi e domini; allora se la morale non ha una base interna togliendole i puntelli cade e scompare, e ravvisi un uomo vizioso. Ecco perchè il più delle volte i Sovrani s’ingannano nelle scelte che fanno e debbonsi pentire poi d’aver affidato troppo potere nelle mani d’un solo. Il merito fugge lontano dallo sguardo maligno della Corte, manca de’ talenti per correre una volgare fortuna, poichè ha principj suoi, non vuole fingere opinioni, non vuole essere vile, ama le grandi e le utili azioni, conosce la vera gloria, e questo complesso di qualità formano un uomo che gl’insetti cortigiani chiameranno sempre un misantropo, uno stravagante, un orgoglioso, un fanatico, e per unire tutte le accuse in una sola parola lo chiameranno un filosofo. In tale condizione, e circondato da tante larve, trovasi un Monarca per modo che essendogli impossibile il fidarsi ragionevolmente d’alcuno individuo non gli rimane altro partito saggio se non quello di commettere il governo delle provincie lontane da lui a un collegio di più persone, la rivalità delle quali reciprocamente lo tenga in ufficio.

Non fa bisogno di provare una verità, di cui l’evidenza si manifesta al primo colpo d’occhiata, cioè, che un uomo vizioso posto a comandare a una provincia abbandona senza freno la sua passione e ne fa soffrire tutt’i danni ai disgraziati abitanti. Poni questo governo feudale fralle mani d’un avaro; tutto sarà vendibile, gli onori, le cariche, la giustizia, la libertà istessa degli individui; l’erario del Sovrano non sarà preservato dagli artigli di colui; gemerà il popolo sotto il peso delle angherie, altro oggetto non avrà il Ministro che d’ammassar frettolosamente un tesoro e assicurarsi contro di ogni evento a fronte dei capricci dell’avversa fortuna. Pongasi alla testa d’una remota provincia un uomo pomposo che abbia la passione orgogliosa di grandeggiare; egli avvilirà i popoli, dilapiderà le sostanze altrui per supplire al suo fasto. I popoli soggetti non potranno negargli le somme che chiederà a titolo di prestito dai ricchi particolari; giacchè i ricchi appunto hanno più timore di perdere colla vendetta di chi è armato di tutto il potere; e coll’onesto vocabolo d’un contratto di mutuo ruberà le sostanze altrui spensieratamente disperdendole; tai sorte di debiti non sono mai più pagati, e il sovventore nemmeno riceve un ringraziamento. Che se lo Ospodaro d’una rimota provincia avrà un vigoroso temperamento inclinato alla libidine, il costume pubblico verrà barbaramente offeso, il disonore, l’infamia machierà irreparabilmente le famiglie, l’esempio del disordine farà trionfare il libertinaggio, le cariche si confideranno alle persone disonorate, il Ministro sarà circondato dalla feccia della città, la virtù e il merito non avran luogo a preservarsi se non nel silenzio e nell’oscurità. Se un tal despota sarà di carattere collerico e violento avvilirà la provincia, spargerà un timore universale, e la simulazione e l’avvilimento si radicheranno nel cuore dei popoli soggetti. Quindi il carattere dei popoli soggetti al dispotismo ministeriale è quello di non aver carattere alcuno, di non avere alcun principio fermo nella loro morale, d’avere incerte idee e sentimenti dubbiosi e gracili, e di ridursi all’ultimo grado di corruzione, smarrendo ogni carattere di virilità negli animi e ogni benchè piccolo sentimento di stima pel merito, e per la virtù. Tale è lo stato d’ogni provincia che per lunga serie di tempo resti soggetta a questa sorta di Governo feudale.

Suppongasi un caso difficilissimo, cioè che il Monarca trascelga un uomo senza vizj, di cui l’indole placida e ragionevole faccia augurare un buon Governo; io dico ancora che trasferendosi costui alla testa della provincia affidatagli, oltre il pericolo ch’ei posto in libertà cambj di natura, sempre avrà al suo fianco quel principio d’inerzia che è comune a tutti gli uomini, sittosto che s’addormentino nell’animo loro i principj d’attività, speranza, e timore. Verrà al suo governo l’uomo dabbene ben fermo e determinato di voler procurare la felicità del popolo a lui commesso. Giunto al palazzo di sua residenza gli omaggi, le feste, le adulazioni d’ogni specie gli persuadono ch’ei non ha più nulla da acquistare nella pubblica opinione: il travaglio e la fatica trovano sempre ripugnante la natura dell’uomo onorato e felice; i subalterni cercano di sollevare dal peso dei dettagli e scaltramente si mostrano alieni da ogni ambizione; sommessi con apparente zelo della gloria del Ministro, ad ogni di lui cenno gradatamente vanno acquistandosi la benevolenza e la fiducia; non passano molti mesi che il buon Ministro, senza ch’ei se ne accorga, non lo è che di nome, e che il destino dei popoli realmente sta nelle mani di uomini dell’infima classe senza educazione e senza virtù, ed è costretto a sopportare tutta la sentina dei vizj di quegli insetti, soffrendo più mali ancora di quei che avrebbe patito sotto di un despota attivo benchè vizioso.

L’arte più maligna e universale di questi feudatarj senza diploma è quella di rendere odioso il popolo al suo Monarca e di rendere formidabile il Monarca al suo popolo. Questa massima importantissima vorrei per bene dell’umanità, e per bene dei Principi, che tutti i Monarchi della Terra l’avessero scolpita co’ caratteri cubitali nelle loro stanze. Se il Monarca è affezionato al suo popolo, e il popolo al Monarca, il Ministro non ha più giuoco alcuno, egli è mero esecutore degli ordini del Monarca. Ma se giunge il Ministro a persuadere al Sovrano che l’indole dei popoli è perversa, che le loro querele sono insidiose, allora ei diventa un personaggio importante. Il popolo sbigottito non osa più innoltrar le sue querele al Trono a un temuto Monarca a nome di cui viene oppresso; il Principe non lascia più accostare alcun suddito perchè ne teme le insidie; e quindi innalzato questo funestissimo ostacolo dalla malignità ministeriale, il Principe e il popolo che hanno interessi comuni non si concertano mai più, e il Ministro diventa tutore del Principe deluso e degradato e tiranno del popolo calunniato ed oppresso. Abbiamo veduto ai giorni nostri Pombal, Chioseuil, Nord, Tanucci, Kaunitz, Brull, Struensè arbitri delle monarchie d’Europa arrogarsi la parte più nobile della sovranità, lasciandone appena la pompa e l’apparenza ai Monarchi. Principi della terra, colui che vi dice che il vostro popolo vi è avverso d’animo è un buggiardo, è un briccone: colui che vi consiglia di tener bassi i sudditi vostri è vostro occulto nemico, è un insidiatore. Principi della terra, il popolo naturalmente è disposto ad amarvi, perchè naturalmente il popolo ama la quiete e l’ordine, e non troverete una ribellione sola in tutta la storia la quale non sia prodotta da uno di questi due principj, o seduzione o miseria estrema. Togliete quel muro ministeriale che vi separa dal vostro popolo, sgombrate la chimerica diffidenza, vedetelo, e lasciatevi facilmente vedere, allora sarà più difficile che un fanatico lo seduca, e non caderà mai nell’estremità della miseria. La Svizzera scosse il giogo per l’abuso del poter ministeriale; per l’istessa cagione diventò libera l’Ollanda; la universale rivoluzione della Francia, che pure adorava i suoi Re inaccessibili al popolo, è nata non per opera d’un capo che l’abbia sedotta ma per l’estrema universale miseria, a cui l’illimitato poter de’ Ministri, degl’intendenti, de’ Fermieri generali aveva ridotta la massa della nazione. Principi, i fedeli vostri servitori li conoscerete a questo solo contrassegno, s’ei procureranno colle parole e coi fatti di coltivare nel vostro animo la benevolenza dei vostri sudditi: colui che vi dice che convien forzarli ad esser felici, vi dice un paradosso che non uscì se non dalla bocca d’un uomo cattivo. I pregiudizj, l’ignoranza, le opinioni, i costumi dei popoli non si cangiano mai colla forza nè con rapidità.

Poichè adunque l’affidare una rimota Provincia al governo d’un uomo solo è un partito antipolitico e disastroso, necessariamente se ne deduce la conseguenza che il Governo d’una provincia lontana deve il Principe collocarlo in modo che più ministri concorrano in ogni risoluzione, e le passioni degli uni rattemprino e rintuzzino quelle degli altri, e sieno congegnati in modo che si osservi l’ordine, e prevalgano agli interessi privati quei del Sovrano e del popolo. Ciascuna delle pietre che compone l’arco d’un ponte tende a cader nel fiume; ma l’architetto le ha disposte in modo che questa medesima tendenza distruttiva reciprocamente impedisce che non cadano, e vi passano sicure al di sotto le barche e lo premono sicuri al di sopra i carri nel loro passaggio: questa è l’immagine di quanto deve fare un accorto Sovrano per ben regolare le provincie che giacciono lontane dagli occhi suoi.