Discorso recitato nella prima adunanza della Società patriotica

Pietro Verri
DISCORSO RECITATO NELLA PRIMA ADUNANZA DELLA SOCIETÀ PATRIOTICA (1778)

Testo critico stabilito da Giorgio Panizza (Edizione Nazionale delle opere di Pietro Verri, III, 2004, pp. 569-577)

Le prime parole colle quali annunzia la esistenza propria una Società instituita dall’AUGUSTA MARIA TERESA affine di accendere la gara e la passione dell’amore della Patria, coltivarla, dilatarla e promoverla negli oggetti singolarmente della riproduzione economica tanto nobili, gravi e pensate essere dovrebbono, ch’io certamente non avrei ardito pronunziarle se ciò dipendeva dalla mia scelta. Voi lo sapete, Eccellentissimo Signore1 ai di cui cenni ubbidisco, e che onorando di vostra presenza questa prima Sessione, oltre la riveren­za che inspira il vostro Sublime Ministero, aggiugnete a me la con­dizione di parlare in faccia di uno dei più colti Giudici d’ogni bel­l’arte, e insieme de’ più cortesi. Fra una corona di miei Concittadini trascelti fra i più illuminati che onorano la Patria, io nulla saprei dire che da essi non sia già pensato, e che molti di essi non fossero in grado di esporre assai meglio di quello che lo potrei io. Lo sento intimamente, o Signori, e poichè la mano benefica che ci governa ci ha qui radunati non a gareggiare di talento, o di erudizione, o di arte nel ben dire, ma per trattare di oggetti utili, ben volentieri obbedirò a questa legge che mi sottrae a uno svantaggioso confronto, nè dal­l’ingegno ricercherò quel soccorso che male potrebbe prestarmi, e se in qualche modo potrà essere animato il breve mio discorso, lo sarà da quel calore che accompagna i sentimenti del cuore, abbandonandomi ai quali io vi esporrò, Signori, senz’altro genere di elo­quenza, ciò appunto che da quello mi verrà successivamente sugge­rito.

Allo incominciare del Regno della BENEFICA NOSTRA SOVRANA ognuno sa e si ricorda quanti e quanto possenti ostacoli incon­trasse da noi l’industria per esercitarsi in ogni parte. Arbitrario e sproporzionatamente ripartito, il tributo sulle terre ci offriva lo spettacolo di molti campi abbandonati dai proprietari alle Comuni­tà. La tassa personale esuberantemente aggravata rendeva spopolati altri distretti, e priva la terra di coltivatori. Inciampi e vincoli intrapposti alla interna comunicazione pel trasporto delle derrate, sempre più allontanavano i reciproci soccorsi. Severissime leggi annonarie minacciando la morte a chi cercava di trasportare agli esteri i frutti della coltura, in vece d’invitare alla riproduzione direttamente la offendevano. I tributi delle dogane appaltati a diverse compagnie interponevano un contratto fra i bisogni del popolo e la paterna clemenza del Sovrano. Le scienze, le nobili arti, quello spirito di impe­gnata ricerca della verità, che fa tentar la natura dubitando delle opinioni, e separare le cose certe dalle probabili, non erano certa­mente festeggiate. Uno studio di parole, una servile venerazione o imitazione erano lo scopo che si poneva davanti alla docile gioven­tù, e così gradatamente un ostinato spirito nemico d’ogni felice slan­cio verso del bene teneva in ceppi le arti tutte subalterne e meccani­che, e dimentichi di noi stessi sembravamo piuttosto destinati a servire noi pure di mezzo e di continuo fra le generazioni passate e le a venire, anzi che una generazione avente dritto e ragione alla gloria di migliorare il deposito delle umane cognizioni ed accrescerlo, non che di trapassare ai posteri l’eredità sola de’ Maggiori traman­dataci. Troppo sono recenti i cambiamenti felici intrapresi, sostenuti, ed eseguiti sotto il Regno immortale della SOVRANA NOSTRA ADORABILE. Ripartito il tributo con imparziale divisione sulle ter­re a proporzione del valore di loro rendita, dopo spese e contrasti lunghissimi, chiamati in concorso a sollevare dal carico anche colo­ro che indebitamente si arrogavano il dritto di rigettarne il peso sopra i loro più laboriosi Concittadini, posta una forma legale alla pubblica amministrazione nemica della dissipazione e dell’arbitrio; veggiamo ora l’aratro solcar quelle terre che erano in prima abban­donate. Sollevato il coltivatore se non del tutto almeno dall’eccesso della tassa, che altro non può avere in pegno che la esistenza istessa dell’uomo, veggiamo la campagna accresciuta di agricoltori e la popolazione moltiplicarsi ogni anno felicemente. Leggi più miti spianano la strada al vicendevole concorso e alla reciproca permuta delle derrate, e lasciano sperare al contadino un prezzo de’ suoi frutti frall’abbondanza ed un soccorso fralla scarsezza del raccolto. I tributi amministrati dalla paterna mano del Principe lasciando al suddito la maggior porzione possibile di civile libertà madre dell’industria provvedono ai bisogni dell’Erario senza diminuire il fondo riproduttore.

I soccorsi poi somministrati dalla provvida mano AUGUSTA alle scienze, alle arti, ad ogni genere di coltura sono tanto recenti e tan­to noti che superflua cosa sarebbe il rammentarli. L’Università risor­ta in Pavia e in Milano; la Medicina rianimata e da una incerta pra­tica chiamata ai principj della fisica osservatrice; la Scienza della natura promossa coll’incentivo potentissimo della curiosità; Musei di storia naturale, Orti botanici, Teatri d’anatomia, Gabinetti di fisica sperimentale, Osservatori magnificamente corredati; Uomini classici in ogni genere invitati, accolti, stipendiati, promossi per accendere il sacro fuoco ne’ cuori de’ giovani; tutto spira vita, ani­ma e rinovellamento alla miglior coltura degl’ingegni; e questo maestoso ricetto medesimo nel quale è stata fissata la adunanza nostra, questo che raccoglie i più opportuni maestri delle scienze e delle belle arti; dove lo studio delle lingue dotte, la eloquenza, le matema­tiche più sublimi, la pittura, la scoltura invitano i giovani ad ammaestrarsi, questo solo ricetto ove si ricovera una famosa biblioteca dal­la Reale munificenza donata all’uso pubblico, una collezione di modelli delle più belle statue tramandateci dalla colta antichità, questo augusto ricetto solo, dico, basta a ricordare di quanto siam debitori alla benefica Madre de’ suoi popoli MARIA TERESA AUGUSTA. Nè certamente Ella versò i suoi beneficj sopra un ingra­to terreno, io non so ricordarmi, o Signori, senza tenerezza, e senza una vivissima emozione di quella epoca di somma angustia, in cui attaccati da mortal malore i giorni preziosi dell’AUGUSTISSIMA PADRONA, tutta la patria nostra percossa dal fulmine di quest’an­nunzio, si trovarono i sacri tempj troppo pochi e angusti al concorso. Il più bel trionfo della virtù della incomparabile nostra BENIGNISSIMA SOVRANA fu in quel momento; tutto il suo popolo occupato, appassionato d’un solo affanno; fin la plebe più minuta e la classe la più rimota dal Trono col pallore, colla incertezza in quel disastro invocava a caldi voti l’ONNIPOSSENTE perchè non ci togliesse la madre, la BENEFATTRICE, la PADRONA. Se il cuore e la mente de’ nostri Concittadini non ci fosse stata bastantemente nota quell’epoca sola bastava a svelarcela per sempre. Viviamo in tempi così felici che all’instancabile beneficenza d’una SOVRANA CLEMENTISSIMA i suoi popoli tributano il più fedele e tenero attaccamento. Non c’è alcun nostro Cittadino, sicuramente posso dirlo, e in poche parti del mondo si può dire altrettanto, non v’è alcun nostro Cittadino fra i giovani colti e di merito stabilmente domiciliati nella Patria al quale o non sia stato offerto un onorabile collocamento, o non lo goda dalla munificenza della INCOMPARABILE SOVRANA. Egli è sotto il Regno d’una illuminatissima Sovra­na che si conosce, che gl’interessi del Trono e quei del popolo coincidono, e che la prosperità del popolo è la base unica della stabile prosperità del Regnante, non si teme lo spirito patriotico anzi s’invi­ta, si fomenta e si crea, tale appunto è l’oggetto e il fine per cui sia­mo qui radunati, o Signori. Il REALE PRINCIPE, viva immagine della AUGUSTA MADRE, quello che tutto anima, tutto conosce e vede con una penetrazione insolita al fiore della gioventù, quello presso cui l’umanità ha facile accesso, povera anche scalza o infeli­ce, quello che offrendo al Trono i voti del suo popolo fedele e sen­sibile implora sopra di esso sempre nuove beneficenze, il REALE FERDINANDO ha onorato ciascuno di noi della sua scelta, e ci ha giudicati capaci di associarci nella cura di spargere nel popolo singolarmente degli agricoltori e degli artigiani quel soffio di vita che le arti più utili, e che noi chiamiamo infime, ricevono dalle più estese e sublimi. Mediatori fra il dotto fisico e il meccanico operatore a noi viene commessa la cura di rendere facili le verità utili, segregar­le dalla nobile e architettata Teoria e presentarle all’agricoltore e all’artigiano poste al livello della di lui capacità. I nostri eccitamen­ti, i catechismi, le sperienze, i premj inviteranno ad accrescere, a migliorare l’annua riproduzione, l’AUGUSTA MANO con una generosità eguale a se medesima ci ha assegnato un fondo capacissimo per tentare utili sperienze e premiare l’industria. Il nostro suolo è fecondo, e poche parti si troveranno in Europa le quali in uno spa­zio eguale al milanese contengano tanta popolazione e producano tanto valore quanto è l’annuo raccolto delle Sete, Grani, Caci, Lino, e altri generi. L’industria de’ Coloni singolarmente ne’ paesi irrigui è degna di ammirazione. Con qual precisione livellasi un fondo! Con quant’arte s’incrocicchiano cavi senza rallentare il moto dell’acqua fecondatrice! Con quanta maestria si appiana con insensibile pendenza un vasto campo a guisa d’una superficie levigata ricoperta d’un verde tappeto! Rendiamo giustizia alla robustezza, alla parsimonia, alla ottima indole e attività degli agricoltori della parte alta dello Stato: induriti alla incessante fatica innaffiano e feconda­no la terra col sudore della fronte; scalzi e appena coperti di pochi cenci indefessamente travagliano, adorano pietosamente il CREATORE, l’invocano per l’AUGUSTA PADRONANZA, arricchiscono lo Stato, vivono nella innocenza e nella allegria contenti della loro povertà. Ma nel tempo stesso in cui imparzialmente riconosciamo i vantaggi che ci dà la natura e la buona indole del popolo guardia­moci dall’adulare noi medesimi. Vaste ancora sono le brughiere che in mezzo al paese coltivato ci presentano lo squallido abbandono e la sterilità. Bastano i due pezzi insigni, il gran pezzo incolto che tro­vasi alla riva sinistra del Tesino, e quello che fiancheggia la strada di Como. Forse un tempo fruttarono, forse le pestilenze e i disastri de’ secoli scorsi gli inselvatichirono, e i torrenti invadendoli ne accrebbero lo stato deserto. Forse una utile piantagione di boschi potrebbe moltiplicare la legna d’ardere che ci va scarseggiando, e preparare ai tempi venturi uno strato vegetale che manca; forse qualch’altra coltura può rendere fruttiferi que’ spazi infecondi. I piccoli ingegni disperano, gli entusiasti promettono, e gli uomini tentano. La preparazione delle nostre sete può forse migliorarsi, ne abbiamo gli esempi vicini. Possono i nostri vini ricevere forse una più fina ed utile preparazione. Il nostro grano può disporsi con più accuratezza a formare un pane bello e sano migliore dell’usato. Troppo sarei indiscreto se più a lungo dovessi trattenervi, Signori, sopra oggetti tanto noti a ciascuno di voi. Le arti meccaniche, il legnaiuolo, il ferrajo, il tintore, l’argentiere tutto è ancora lontano da quel grado di raffinamento che è lo scopo a cui si debbe arrivare.

Lo spirito animatore che fa sentire con energia il bello, il vero, il buono è un solo, questi condusse il Galileo alle scoperte fisiche astronomiche e geometriche, questo riscaldò Raffaello ad abbellire e spargere di grazie la natura che imitava dipingendo, questo guidò il Buonaroti ad immaginare e spignere al cielo il più nobile, il più grande, il più ardito edificio che vanti Roma. Questo spirito animatore è lo stesso che conduce il Macchinista a rendere più durevole, più semplice e più facile il suo lavoro, questo fa inventare i metodi più sicuri ed esatti, i meno costosi, i più brevi, ed è sua indole di propagarsi dalle più nobili facoltà alle più comuni, giacchè i primi a risorgere, a pensare, a dubitare su i metodi ereditati sempre sono gli uomini più coltivati colle scienze dai quali poi questo benefico spi­rito miglioratore di tutto va discendendo nelle inferiori classi imita­trici. Questa diramazione però di sua natura si fa per gradi lunghi e diuturni, perchè rare volte gli uomini illuminati discendono al livel­lo dei popolari artigiani, rare volte ad essi dona il Cielo agio, como­di, occasione o pazienza di occuparsi della istruzione d’un agricol­tore o d’un operajo, e per accelerare questa felice propagazione appunto l’AUGUSTA mente ha destinata la Società che ora comin­cia. Chi di noi ricuserà mai di occuparsi di un ufficio tanto degno d’un buon Cittadino! Il genio non si risveglia col comando, la coltura non si promove con un atto di autorità; il premio, la facilità de’ mezzi, la protezione, l’invito ecco i soli principj, Signori, che emana­no dal TRONO, e dai quali è formata la nostra costituzione. Lonta­no da noi ogni spirito di coattiva; la nobile gara che ci anima è l’amore illuminato della patria: spogliati dalla vanità di destare maraviglia noi anzi la temeremo, ed accostandoci alla intelligenza del popolo industrioso senza scossa e senza impero, e partendo dal­le sue idee per gradi insensibili pazientemente lo guideremo a migliorare le sue produzioni. Abbiamo noi veduto l’AUGUSTO CESARE che ora fa l’ammirazione dell’Europa per il genio, i lumi, lo spirito, la bontà e la semplicità della sua GRAND’ANIMA, l’abbiamo noi veduto non disdegnare di visitare, e minutamente informar­si di tutto quanto può contribuire alla grand’arte di rendere felice il popolo. No, non v’è arte, non mestiero che sia abjetto o vile tosto che egli abbia influenza sul bene della società. Tale esempio ci è tal­mente impresso che non è possibile che non trapassi a lunga serie de’ nostri nipoti. Tale è l’esempio che guiderà ciascuno di voi, Signori, e ben meritate e per i lumi vostri, e per i nobili sentimenti del vostro animo un tal maestro. Il popolo avvezzo ad onorarvi accoglierà con prevenzione favorevole quanto degnerete di suggerirgli colla voce, osserverà con attenzione quanto sottoporrete ai suoi sguardi, e leggerà con avida curiosità quanto pubblicherete per la gloria più nobile di tutte le altre, cioè per il pubblico bene. Ma questa, Signori, non sarà certamente la sola delle ricompense. Il REALE ARCIDUCA che tutte le cose utili allo Stato conosce, anima e promove non isdegnerà d’informarsi di quanto ci riuscirà di otte­nere co’ nostri tentativi. Forse qualche nostro lavoro otterrà gli sguardi sereni della REALE BEATRICE, che alle grazie del sesso unisce l’amore del bello e del vero ereditato dai più gloriosi Sovrani che gareggiarono in Italia a promoverlo. Il Supremo Ministro degno della scelta dell’AUGUSTA IMPERATRICE REGINA, il Sig. Principe Kaunitz, il di cui genio superiormente conosce le arti nobili ed utili, sotto il ministero di cui già tanto s’è fatto per la migliore coltura, Esso che ha consultata e promossa la esistenza di questa Società ne proteggerà gli sforzi. Pari sicuramente sarà la graziosa compiacenza colla quale verranno accolti i nostri lavori dall’Illustre Ministro Sig. Conte Carlo di Firmian, a cui tanto debbono singolarmente gli uomini che tentano di migliorare il grado delle cognizioni nelle scienze, nelle belle arti, e in ogni genere di coltura; di cui il venerato aspetto le sole verità che interdice sono i suoi encomj. Con tali auspicj, con tai felici disposizioni, che non dovrassi aspettare da un ceto di uomini trascelti per il loro sapere, la loro saviezza, per il loro amore del ben pubblico fra una Nazione sensibile, e fra una Nazio­ne che tre secoli sono era il modello e la maestra delle arti!

1 S. E. Il Sig. Conte Carlo Firmian Ministro Plenipotenziario di S. M. I. R. A. presso il Governo Generale della Lombardia Austriaca ec. ec.