Nacque a Milano il 15 marzo 1738 dal marchese Giovanni Saverio e da Maria Visconti di Saliceto. Suo padre discendeva da un ramo di illustre famiglia pavese, che aveva ottenuto il titolo marchionale nel 1712 e che beneficiava pure di tre fidecommessi entrati in famiglia attraverso la nonna sua, Maddalena Bonesana, con l’obbligo di portarne stemma e cognome. Nel 1759 Giovanni Saverio ottenne di far parte del patriziato milanese. Il marchesino Cesare Beccaria Bonesana era insomma il primogenito d’una nobile famiglia, non ricca, ma pur sempre “benestante”, larga di parentado clericale e laico. Dopo di lui nasceranno due fratelli, Francesco e Annibale, ed una sorella, Maddalena. Opprimenti furono la sua infanzia e la sua adolescenza, tra le mura dell’avito palazzo di via Brera (porta oggi il n. 6) e poi, tra gli otto e i sedici anni, nel gesuitico Collegio Farnesiano di Parma. “Fanatica” egli chiamerà la sua educazione. La voce di Franco Venturi prosegue sul Dizionario Biografico degli Italiani (Treccani).
Giambattista Biffi
Nacque a Cremona il 27 agosto 1736 dal conte Giovanni Ambrogio, secondo del nome, e da Teresa Maria Pozzi. I Biffi, di nobiltà recente (patrizi decurionali dal 1625, conti dal 1694), avevano avuto figure di rilievo: Orazio (1648-03),rettore dell’Archiginnasio bolognese, Bernardino (1673-26), procuratore generale degli eremitani di s. Gerolamo. Il Biffi fu oggetto di cure amorevoli da parte del padre, pittore dilettante, e di severe restrizioni da parte dello zio Stefano, cadetto scapolo capo di casa. Educato nel collegio dei nobili a Milano (1746-56), credette di essere chiamato alla vita religiosa; dissuaso da Federico Maria Pallavicino, gesuita amico di famiglia, passò a Parma, ove completò gli studi giuridici (1756-60) ed entrò in dimestichezza con il Condillac, G. M. Pagnini, A. Mazza, P. Manara, A. Turchi. In quegli anni conobbe anche l’Algarotti, che venerò poi sempre come “genio sovrano, l’onore d’Italia”. La voce di Giampaolo Dossena prosegue sul Dizionario Biografico degli Italiani (Treccani).
Paolo Frisi
Secondogenito degli otto figli di Giovanni Mattia e di Francesca Magnetti, nacque a Melegnano, presso Milano, il 13 aprile 1728. Il nonno paterno Antonio, nativo di Strasburgo (la forma originaria del cognome è ignota), era giunto in Lombardia come militare nell’esercito asburgico. Il padre operò negli appalti pubblici, procurando alla famiglia una certa agiatezza. Il primogenito, Antonio, fu medico e naturalista e allestì un orto botanico a Cinisello nella villa del conte D. Silva, storico, cultore di scienza e mecenate. Quando Antonio morì (1756), il Frisi divenne il principale sostegno della famiglia e a lungo ebbe preoccupazioni finanziarie. Filippo, magistrato, autore di un De imperio et jurisdictione (Milano 1777), visse con la famiglia, morendo verso il 1780. Altri due fratelli, Anton Francesco e Luigi, furono sacerdoti: il primo si segnalò come valente storico; il secondo, canonico di S. Ambrogio, ebbe anch’egli interessi eruditi e, sembra, scientifici. La voce di Ugo Baldini prosegue sul Dizionario Biografico degli Italiani (Treccani).
Giuseppe Gorani
Nacque a Milano il 2 febbraio 1740, dal conte Ferdinando e dalla contessa Marianna Belcredi, entrambi di nobili famiglie pavesi i cui membri avevano ricoperto, e ancora ricoprivano, posizioni di rilievo nelle magistrature milanesi. Tra i suoi padrini vi fu lo zio Cesare Gorani, un valoroso generale, alla cui figura si ispirò in gioventù. La biografia del Gorani è nota grazie ai celebri Mémoires pour servir à l’histoire de ma vie, che sono stati giudicati “una lettura sempre interessante e talvolta avvincente, una testimonianza storica e umana di prim’ordine” (Capra, 1998, p. XXV). Settimo di otto figli, trascorse un’infanzia turbata da dissidi laceranti in famiglia, culminati con l’interdizione del padre e il suo allontanamento dai territori della Corona asburgica. Entrato all’età di sei anni nell’imperial collegio dei nobili di Milano, eretto nel 1725 dai padri barnabiti accanto alle scuole di S. Alessandro, il Gorani vi rimase fino al 1757, quando in aperto contrasto con la madre che lo destinava alla carriera ecclesiastica fuggì per arruolarsi nel reggimento d’Andlau, allora di guarnigione a Milano. La voce di Elena Puccinelli prosegue sul Dizionario Biografico degli Italiani (Treccani).
Il Caffè
Emanazione dell’Accademia dei Pugni, il gruppo che dalla fine del 1761 si riuniva nella casa milanese di Pietro Verri, «Il Caffè» pubblicò 74 fogli, uno ogni dieci giorni, che furono poi riuniti in due tomi. Il tomo I, «Dal Giugno 1764 a tutto Maggio 1765», risulta stampato a Brescia da Gian Maria Rizzardi, anche se, a partire dal foglio XX della prima annata, lo stampatore effettivo del periodico fu Giuseppe Galeazzi di Milano, lo stesso a cui si deve per intero il tomo II, «dal Giugno 1765 per un anno seguente» (nel frontespizio di questo figura tuttavia la falsa data «in Brescia»). L’ultimo foglio uscì di fatto nel novembre 1766. Oltre a Pietro e Alessandro Verri, gli autori dei «brevi e vari discorsi» comparsi nel «Caffè» furono François Baillou, Cesare Beccaria, Ruggero Boscovich, Gian Rinaldo Carli, Giuseppe Colpani, Sebastiano Franci, Paolo Frisi, Luigi Lambertenghi, Alfonso Longo, Pietro Secchi, Giuseppe Visconti.
Alfonso Longo
Nacque a Pescate, nelle vicinanze di Lecco, il 12 ottobre 1738, dal marchese Antonio e da Caterina Ghislanzoni (fede di battesimo in Arch. di Stato di Milano, Autografi, 138, f. 9). Sebbene di antica nobiltà, la famiglia era in ristrettezze, come risulta anche da una richiesta (4 agosto 1755) di proroga di un indulto sulla celebrazione di messe concesso cinque anni prima ad “Alfonso Longo, chierico nobile milanese e possessore di una cappellania di suo patronato di rendita di scudi 52, per trovarsi la sua casa in stato miserabile”. Fu questa la probabile ragione che spinse il L., benché unico figlio maschio, ad abbracciare la carriera ecclesiastica, via d’accesso all’istruzione superiore e all’ascesa sociale per giovani privi di risorse. Nulla sappiamo degli studi, né è noto quando si trasferì a Milano; P. Verri lo dice recente acquisto dell’Accademia dei Pugni in una lettera a G.B. Biffi del 26 giugno 1763. Dell’estate 1763 è anche la prima prova letteraria nota, la descrizione di un viaggio nei baliaggi italiani dei Cantoni svizzeri compiuto in compagnia di Giacomo Lecchi. La voce di Carlo Capra prosegue sul Dizionario Biografico degli Italiani (Treccani).
Alessandro Verri
Letterato, figlio di Gabriele; fratello di Pietro e Carlo. Dopo avere studiato giurisprudenza e aver collaborato al Caffè, con una trentina di articoli (alcuni dei quali fieramente rivoluzionarî in materia di diritto e di lingua), si recò a Parigi (con l’amico Cesare Beccaria) e in Inghilterra (1766-67). Si trasferì poi a Roma, dove restò con brevi interruzioni fino alla morte, trattenuto anche dall’amore per la marchesa Margherita Boccapadule. A Roma, da illuminista che era, divenne moderato e classicista, pur conservando le sue tendenze che lo fanno considerare un preromantico. Oltre a traduzioni da Shakespeare (Amleto, 1768; Otello, 1777) e a mediocri tragedie (La Congiura di Milano ePantea, 1779), scrisse le fortunate Avventure di Saffo (1782), non senza influssi del Werther di Goethe, e, ancor più fortunate, le Notti romane, dapprima tre (1792), poi sei (1804). La voce prosegue sull’Enciclopedia Treccani.
Pietro Verri
Pietro Verri nacque a Milano il 12 dicembre 1728 da famiglia aristocratica. Avviato agli studi presso i gesuiti, avrebbe presto dimostrato un atteggiamento ribelle nei confronti delle convenzioni del tempo, entrando in urto con la famiglia. Dopo alcune prove letterarie, si arruolò nell’esercito imperiale in occasione della guerra dei Sette anni (1756-63) e nel biennio 1759-60 – soggiornando tra Dresda e Vienna – trasformò il proprio universo ideologico mediante molteplici letture che lo indussero a un’appassionata condivisione del discorso illuminista. Tornato a Milano, fondò, assieme al fratello Alessandro, a Cesare Beccaria e ad altri amici, l’Accademia dei Pugni, una società che rifiutava i modelli culturali tradizionali e che, tra il 1764 e il 1766, avrebbe dato voce alla propria volontà di rinnovamento mediante la pubblicazione del foglio «Il Caffè», primo esempio di giornalismo moderno nell’Italia del 18° secolo. La voce di Antonino De Francesco prosegue sul Contributo italiano alla storia del Pensiero (Treccani).