Difesa in favore di Andrea Casirago

Alessandro Verri
DIFESA IN FAVORE DI ANDREA CASIRAGO [1765]

Testo critico stabilito da Pierre Musitelli – 2016 (Fondazione Raffaele Mattioli, Archivio Verri, cart. 481.3.8)

Innorridì Milano al primo udire che dal proprio marito fosse stata un’innocente moglie tolta in un punto da vita: ma dacchè in seguito intese ch’ella non fu con barbaro ed empio attentato uccisa, formò un più retto giudizio, e compassionò egualmente la morte della moglie che la stoltezza del marito. Chi potrà mai dire darsi pena senza delitto, delitto senza dolosa colpa, nè dolosa colpa senza l’uso della ragione? Quindi è ch’io non una causa intraprendo a patrocinare declamata e compianta, ma una causa tutta degna, o Padri Conscritti, del vostro giudizio, della vostra equità e della sapienza vostra. Imperciocchè fundatamente ricercato l’affare, scorgerete un delirante marito per una crudele gelosia, un uomo ubriaco, anzi che di supplicio, di compassione e misericordia certamente degnissimo.

Io qui non m’arresterò, P. C., co’ Testimonj stessi e cogli indicj dal Fisco prodotti a confutare le giuridiche eccezioni, e quell’obice lor porre, ch’io di leggieri potrei fare e a voi medesimi avverrà di osservare. La mia difesa in ciò soltanto consiste, che non del fatto si tratti, ma sibbene se questo meriti punizione. Ecco l’unica meta a cui tenderanno le mie investigazioni. Pel rimanente nè di affermarlo ho in pensiero, nè di rigettarlo.

Qualora si tratta di un insigne delitto è di consueto il ricercarsi quale sia stata la cagion del delitto, e con tanta maggior diligenza in ciò si procede quanta meno è la di lui frequenza. Posciacchè sebbene così sieno gli uomini dalla corrutela della natura guasti e sospinti, che sembrino piuttosto alli vizj inclinati e proclivi che alle virtù, non pertanto ridotti poi sono all’abjezione di essere di una spezie del tutto bestiale, onde sia comune e frequente a’ mortali il commettere ferocissime scelleragini.

Qual dunque vi fu cagione per cui il difeso da inumano furore acciecato la sua onestissima donna traffiggesse? Per verità che non fa egli duopo con lunghi ricercamenti quelle cose investigare che notissime a tutti sono: ed appena io dubito che incontrisi alcuno del volgo di codesta Città cui non sia palese essere sempre stato il nostro Difeso un solenne geloso, e da molt’anni a questa parte per tal cagione trasportato al furore. Qual’altra, se non questa, essere potrà mai del suo errore la cagione? Che li delitti più attroci e fuor di modo eccessivi abbino l’origin loro da qualche delirio, e la ragione e l’esperienza ancora lo insegnano.

Ora a dir vero se le contingenze prendiamo a considerare di questo luttuoso matrimonio, di leggieri verrà in chiaro che altri appena sia stato più dai gelosi sintomi agitato. Era la moglie del Casirago più che ad onestà si convenga deforme e vecchia, onestissima pure, e preparata ad ogni atto di pietà e di Religione, come dal Processo si comprova: ciò non pertanto non si potè mai contenere ch’egli non la sgridasse di bruttissima meretrice, di mezzana e di strega ancora. Rimangono tuttavia sin dall’anno 1760 i rilievi de’ Processi contro il Difeso formati, allorchè pure dalle furie agitato con un coltello ebbe la propria moglie percosso. Qui li delirj, qui dello sconvolto intelletto i fantasmi, quivi i ridicoli sogni (se egli è di così parlare in gravi cose permesso) di un animo impazzito, qui alla perfine i segni pure si possono facilmente rinvenire di una ferocissima gelosia.[1] Tante deposizioni da’ stessissimi Testimonj Fiscali qui si producono a dar prova di sua pazzia, che se ora tutte si dovessero di bel nuovo riferire, nulla meno sarebbe duoppo che di rescriverne tutti per intiero i Processi. Rilasciato allora però dalle carceri il Difeso, attesa la remission della Parte, tantosto ritornò agli antichi delirj. Con insanissime querele così stancò gli Parochi sopra il bruttissimo vivere della moglie, che fu loro facile il comprenderne in lui un uomo pazzo.[2] Nè la stoltezza del povero Difeso era incognita molto. Dieci testimonj degni di fede confermano col loro giuramento che Andrea Casirago era pazzo di gelosia, avendo sempre dati tutti i segni di frenesia.[3] Sin dagli anni 1762 e 63 crebbe ragionevolmente questa fama; posciacchè a tal segno fu portato dalla gelosia il Difeso, che nell’anno parimenti 1763 tentò da se stesso con un laccio d’appiccarsi, siccome moltissimi Testimonj affermano e giurano, e quegli medesimo attesta, il quale colle proprie mani trasselo da morto a vita, sciogliendo dal collo il laccio al Casirago vicino a morire.[4] E chi non chiamerà un tal uomo delirante e furioso?

Fra i tanti esempli di sua pazzia quest’altro ancora egli è noto. Altamente fissato teneva nell’animo uno stoltissimo supposto il Difeso, cioè che un certo Monaco, degno per altro d’ogni laude, il quale nè cotestui, nè sua moglie non mai veduto aveva, macchinasse insidie al suo letto ed al suo onore. Preso da questo delirio un certo giorno investì sulla pubblica strada quel Monaco, e sguainata la spada contro di quegli avventavasi, se non fosse stato gagliardamente trattenuto.[5] Da chi si richiederanno più chiare dimostrazioni di furore in un pazzo?

Le quali cose mentre così sono, non vi sarà certamente alcuno che con ragione dubitar possa, che già da molt’anni da quel genere di delirio fosse il nostro Difeso travagliato, il quale chiamano i Medici melanconia, cioè tenacissimo delirio in qualche idea fissato, la quale perpetua e insanabile finalmente si rende. Ciò siccom’egli è veramente con sufficiente chiarezza provato, rimane fuor d’ogni dubbio a carico del Fisco il provarne la guarigione. Avvegnacchè se fosse questione di un uomo stato finora di mente sana, e da quel poco tempo in qua divenuto pazzo, sarebbe debito allora del Protettore l’addurne le prove: ora parlandosi di colui che da molti e successivi anni mostrò infiniti segni di pazzia, e la di cui perturbata fantasia è nota assai, restaci per ora solo a dimostrare se debba dirsi risanato, giusta il fondamento dell’intenzione del Fisco, come solidamente conferma il Mascardi.[6] Imperciocchè la stoltezza di già fissa nel cervello appellar si deve lo stato naturale del Difeso. Egli è mestieri adunque dare a divedere ch’egli poco fa sia da tale stato sortito. Colui però che per sì lungo tempo fu dalla pazzia travagliato, principalmente dalla melanconia, di cui il celeberrimo Van-Swieten così ragiona: Quanto sia male difficile la melanconia, tutta la sua storia il dimostra.[7] Colui, dico, che da molt’anni fu dalla pazzia miseramente tormentato, si presume da’ Dottori che in essa piuttosto egli tuttora vi persista e duri, anzi che risani.[8] E questa certissima conclusione non si limita, se non quando di quella pazzia si parli, che è momentanea di sua natura, per esempio, del delirio della febbre.[9] Se questa limitazione abbia luogo nel caso nostro, sufficientemente ad evidenza finora lo dimostrammo.

Questa presunzione da medico-legali osservazioni fortificata darebbe giusta ragione al Protettore, quando tant’altre prove gli mancassero, di stabilire che il delitto di cui si tratta, attribuire del tutto si debba all’antica e tuttora durabile stoltezza. Se dovesse o abbracciare cotesta presunzione il Fisco, o provarne il contrario, che ora si dirà, che dal Processo, come chiamassi offensivo, in abbondanza scaturiscono gl’indizj della pazzia, anzi di questi pienamente ogni qualunque sua pagina ne sovrabbunda? Fingimenti, favole, delirj qui ci si fanno avvanti per ogni dove talchè dubitare ragionevolmente non puossi di una manifesta stoltezza.

Conosciutosi per tanto dalle cose addotte finora qual fosse prima del delitto lo stato della mente del Difeso, null’altro rimane, che per una direi liberalità di difesa, si comprenda quale ora egli sia. E perchè a questo giungere una più facile strada ci si prepari, fa di mestieri un po’ più d’alto la serie del fatto riandare: imperocchè dalla maniera con cui fu commessa la morte della moglie, e dalle altre circostanze che accompagnano il fatto, si produrrano per ogni parte e si schiuderanno l’evidenze del furore.

Il Casirago nel giorno 4 del mese di Marzo dell’andante anno 1765 circa il mezzodì dalla bottega, ove l’arte di tessitore esercitava, ritornossi a casa. Con piè veloce, quasi uomo dalle furie agitato fu veduto ent[r]ar nella porta.[10] Colà appena giunto, gettato il mantello, improvvisamente contro la moglie s’avventa, sguaina il coltello, la uccide. Furibondo quindi sen fugge. Tutto questo è da lui fatto in un momento senza proferir parola, e come muto. Si reca poi nella chiesa di santo Steffano, in cui da’ Fanti è circondato colà dalla già divulgata fama del fatto accorsi, e da dove poscia in nome della Chiesa è levato. La guaina del funestissimo coltello nel bissaccino delle brache ancora teneva. Chi l’avrebbe mai conservata se non se un pazzo e furioso? Ivi interpellato da uno de’ Fanti con queste parole: disim un po’, com’ela stada d’ammazzà la vostra dona? Il difeso sul gusto di chi delira risponde: Per abbreviarla è meglio lasciarla lì;[11] e questa insipida cantilena a chi che sia ripeteva che a lui interrogandolo s’apprestasse.[12] Chi non vedrebbe in costui un uomo privo della ragione dalle perturbate idee e dalle furie della pazzia informato?

Ma oramai a’ di lui, come s’appellano, constituti facciam passaggio. Qual fosse l’ordine delle idee, quale il modo di ragionare, per quali gradi e d’onde nasca la pazzia, cresca e scoppj è di mestieri considerare.

Finoacchè sopra le generali cose, siccome è in uso, fu alla bella prima interrogato, accompagnò le interrogazioni con risposte non del tutto prive di buon senso, sebbene d’inutili ed importune digressioni tessute ed imbrogliate. Ma qualora si venne a qualche speciale circostanza, allora sì che cominciarono in un subito i fantasmi ad eccitarsi dei delirj, allora comparve in lui, nunzia della prossima stoltezza, una tenace e lunga taciturnità. Il che è una costante prova addivenire ne’ stolti, i quali in tutte le altre cose agiscono e ragionatamente rispondono, e laddove delle questioni interrogati sono attinenti alla causa della loro stoltezza, sogliono immantinentemente alquanto ammutire, coprir la fronte e gli occhi di una tetra perturbazione, e presto presto cadere in delirio. E che così avvenuto sia egli è difatto. Fu il Difeso richiesto sopra la di lui moglie, e rispose che mentre portato erasi in camera da letto la ritrovasse che malignemente insultava al suo onore: che faceva così (indicando egli colla man destra, elevato il secondo e quinto dito) mi faceva così le corna.[13] Quindi incomincia apertamente a manifestare la di lui pazzia; quindi sensibilmente schiudonsi li semi della gelosia quanto più si tratta della di lui moglie. Così è prodotta la confusione delle idee, così dai fantasmi l’intelletto si oscura, posciacchè allora l’organo della pazzia è toccato e percosso. Chi non comprenderà qui appunto della stoltezza la cagione, e della uccisione della donna in colui, che siccome per molt’anni di gelosia delirando, allora sorpreso da un impeto più feroce e grave di pazzia, parvegli la sua moglie aver ritrovata con ingiuriosi gesti disonorantelo, sogno capriccioso e falso? Eccitato dappoi con nuove interrogazioni, non vi fu mai caso che siasi potuto indurre, sebbene da frequentissime redarguzioni sollecitato, ch’egli rettamente desse risposte, ed a un cert’ordine si riducesse il suo qua e là vagante raziocinio. Alla perfine dopo moltissimi delirj, da nessuna interrogazione smosso e posto sul buono, in questi sensi prorrompe: Bisogna esaminare li vicini per li guai.[14] Era questo discorso di un genere tale da non così intendersi facilmente. Esigendosi adunque da lui che volesse con simili parole significare, ed istandosi perchè egli più chiaramente si spiegasse: I guai sono, che la mia donna si è tratta via, che mi ha fatto perdere l’onore. Bisogna cominciar da capo.[15] Quindi a narrar proseguisce una favoletta degli amori di sua moglie con un tal Giorgio: favoletta dico, dove nè piè, nè capo di discorso si può rinvenire.

Dopo che in simili inezie andò delirando, interrotto l’ordine de’ periodi, turbata e disgiunta la serie delle idee, soggiunse ch’egli un giorno in compagnia di sua moglie al Tempio si trasferì dedicato alla Vergine presso S. Celso di codesta Città a pregar Dio, che a miglior costume di vita la disonestissima sua donna riconducesse, e che ivi a lui medesimo così la consorte dicesse: Che si era confessata; ma che il suo confessore gli aveva detto, che dimandasse licenza a me di fare la santissima; ma mì ho risposto a mia moglie, che mì non volevo fare questa cosa, perchè potevo fare un sacrilegio.[16]

Non aspetti alcuno da me sopra cotali deliramenti un commento. Abbastanza essi fanno prova d’un uomo privo di senno. Continuamente dappoi impazzendo, delle laidezze della moglie di bel nuovo si querela, ed asserisce che avvicinandosi la Pasqua dal Paroco si portasse, e così a lui parlasse: che veniva la Pasqua, e che non avrei fatta la SSma comunione, se non avesse trovato rimedio per mia moglie.[17] E che il vero sia che con queste fantastiche veleità i Parochi importunasse, vi sarà persuaso abbastanza, o P. C., qualora abbiate sott’occhio i di loro attestati, di mano propria di ciaschedun loro soscritti.[18] Quanto poi altrove ne’ Processi trovasi scritto,[19] egli è cotanto contro l’onesto decoro da lui proferito, che il qui riferirlo non sarebbe di convenienza, se l’ommetterlo non lo vietasse la necessità, siccome quella prova che sempre più serve a dinotare un uomo impazzito. Dappoichè il misero Difeso l’impudenti favole ebbe narrato, acremente persiste a far querela della infedeltà di sua moglie, che è il capo di sua pazzia, nè soffre ch’altri il distorni e in diversa materia il conduca, onde dice: Che mi lasci finire quello che voglio dire.[20] Tanto concessogli, i suoi stoltissimi sogni prosiegue: Volevo dire alla Giustizia, che d.ta mia moglie m’incantava in letto, e così fosse la bugia, com’è la verità; e quando la mi discantava, mi dava con una mano a traverso il collo, che mi faceva male, ed in quella stanza, dove stavamo di casa, vi era una camera, dove si faceva magazeno di donne per far male, e mia moglie si trava via con della gente a far male, e mì era curato dapertutto, che non sapeva da qual parte voltarmi, ed ero svergognato da tutti.[21] Quai sogni per verità, quai delirj a tutto ciò non aggiunse? Quante poscia, di cotesti imaginarj scandali e oscenità, querele a querele non accoppiò? Di già la sua mente ribolle ed in altissimo delirio è rapito, nè so chi possa qui esitare essere un uomo stoltissimo egualmente costui e infelicissimo. Trasportato quindi in diverse digressioni, non fu mai dato che la sua mente s’arrestasse, che tralasciasse i suoi vaneggianti discorsi; nè redarguzione alcuna potè al proposito ridurlo; ma già di nuovo si duole: Che mi lascino finire quello che voglio dire, altrimenti non rispondo più niente;[22] e poco dopo: Bisogna lasciarmi seguitare quello che voglio dire. Egli è pertanto segno particolare della melanconia lo star fisso e perseverante con pertinacia in una fra tutte l’altre prescelta idea, siccome il ceto universale de’ Medici ne insegna. Quindi è che più fortemente pel tumulto de’ fantasmi ribollendo il cervello oltre modo pazzo rende il Casirago, che a raccontare s’avvanza essergli state da un cotal uomo un giorno ordite insidie, e tentato alla vita;[23] e che fosse stato in una notte con arti magiche e sortilegj dalla sua moglie affascinato, e aver udita una sommessa voce all’orecchio dicentegli: che aveva da essere ammazzato. Il cui mal augurio, soggiunse, ch’egli fu presso ad incontrare: e per la strada incontrai tre persone, che mi volevano ammazzare, ma però mi stavano lontane circa un mezzo miglio, che non è seguito niente;[24] il che facilmente crederà ciascheduno. Or qui per certo chi un uomo stoltissimo non ascolta? Ecco però dove la sua melanconia consiste: credeva egli sua moglie una laidissima Messalina, credevala una strega: favoleggiava perciò essere stato con cento sortilegj e malie sorpreso ed oppresso; opinava finalmente che gli amanti di sua moglie, de’ quali sognavasi una numerosa truppa, tanto gli fossero offensivi e persecutori, perchè alla follia era geloso, che luogo più non gli rimanesse ove dalle loro insidie scampare. Segue da frenetico a narrare i di lui pelegrinaggi, quando errante qua e là per timore de’ sicarj e degli Insidiatori fuggiva, e dice alla perfine che trasferissi in Como, dove egualmente che in Milano era in pericolo di morte: Sono andato a Como, dove ho trovato gente, che mi curava, come facevano qui in Milano.[25] Non più, quant’esse fossero le redarguzioni, poterono sul retto sentiere rimettere il delirante. Non ode, non intende, ma fermissimo nella sua idea vaneggiando fissato, qui persiste, qui perpetuamente delira.

Molti altri delirj, fuori ancora della gelosa melanconia, nell’accessione di sua stoltezza talvolta espone. Sceglierò fra i tanti questo solo esemplo. Se gli ricerca d’onde avesse avuta la guaina del coltello presso lui ritrovata, risponde che da uno de’ figli del suo Padrone insiem col coltello l’avea comprata. Il Padrone è Gio. Brambilla, nella cui bottega finora l’arte fece di tessitore. Ma in questo punto ancora dal suo delirio rapito, soggiunge che il Padrone era già morto, e che fosse Gio. Gariboldi, ivi: che siccome che un figlio del mio Padrone, qual figlio era Frate, che è morto suo padre, che si chiamava Gianbatta Gariboldi.[26] Tralascio i parecchj altri esempli, per non divenir più prolisso: tanti delirj sono quante parole in questi tre Constituti, co’ quali vien terminato il Processo. Che se alcuno attentamente si farà a leggerli, gli sembrerà in verità di udire un uomo pazzissimo che parla.

Io m’imagino, P. C., che dopo tutto ciò, non rimarrà più in Voi Sapientissimi ombra alcuna di dubbiezza intorno la pazzia del Casirago. E se giammai (il che credere appena lice) si presuma celarsi in costui qualche tratto d’astuzia o di malizia, questo sospetto svanirà nell’istante che giunti siate a quelle pagine del Processo, dove il Difeso il coltello riconosce di sangue ancor lordo. Postogli sotto gli occhi quel coltello, tanto è lungi ch’egli nol riconosca, che anzi tosto soggiunge: adesso che vedo anche la lama (era prima questa stata tenuta sotto la carta coperta, e soltanto datogli il manico a vedere) attaccata al manico, lo vedo benissimo, ch’è quel coltello, che ho comperato… ed è quel coltello senz’altro.[27] Questo di buon grado confessa, quasi allegrandosi di aver la sua perduta cosa ritrovato. Se adunque vogliam dire quest’uomo così scaltrito che tanto sappi ingegnosamente simulare stoltezza, perchè tutto ad un punto così fatuo, così sciocco diviene, che giunge a confessare per suo con tanta alacrità di animo quel coltello rosseggiante di sangue? Questo era il luogo di negare, e negare costantemente, e di fingersi pazzo.

Ma posciacchè quasi un’anatomia, come chiamansi, de’ Constituti s’è fatta, e da cotesta segni apertissimi risultarono di pazzia, rimane adesso che del tutto si tolga, se alcun’altra dubbiezza per avventura vi fosse.

Potrebbe forse darsi che taluno in primo luogo l’objezione ci facesse, dal Processo ricavarsi, che pel lungo tempo in cui l’arte di tessitore esercitò il Difeso, giammai non abbi nella bottega, ove lavorava, dati segni di stoltezza.[28] Ma di quale rimarco sieno questi rilievi facilmente si possono comprendere, se richiamisi alla memoria quello che detto abbiamo dell’antica notorietà di sua pazzia. Veggiamo ciò che su questa materia stabiliscono i Professori di Medicina.

Fra tutti i generi dei delirj dissopra dimostrammo, P. C., esser notissimo l’annoverarsi quello ancora quando taluno in una sola spezie d’idee fantastico vaneggi, e in tutte l’altre ciò non pertanto appaja, anzi fornito sia di un’intera ragione.[29] Egli è a sufficienza provato che dalla gelosia questo male si produca, e però fra i delirj della mente annoverano i medici la gelosa melanconia.[30] Non così presto mi spedirei, se volessi tutti quanti produrre gli esempli, che sovra di tale argomento trovansi accennati. Il celebre Van-Swieten ne’ suoi commentarj agli afforismi di Boerhaave così si spiega:[31] egli è un prognostico della melanconia che tali infermi in una sola ed istessissima idea pertinacemente fissati, circa questa o quella opinione quasi sempre delirino soltanto, nelle altre cose tutte poi dimostrinsi di sana mente, e spessissimo di un acutissimo ingegno; ed altrove:[32] In tutto ciò poi che non s’appartiene a quell’unico objetto intorno a cui vanno pazzi, ragionano soventi volte con saviezza. L’autorità aggiungerò di Franscesco Boissier de’ Selvaggi, Regio Professore nell’Università di Mompellier: Melanconici s’appellan coloro che in un pensiere più che in altri riguardo a se stessi o allo stato loro costantemente fissati, vaneggiano, di ogn’altra cosa favellano a proposito.[33] Parecchj furono però que’ che sorpresi e afflitti dalla melanconia, deliranti s’imaginavano di aver le gambe di paglia, o la testa di ghiaccio, o di vetro formata, altri in vece di naso di avere una proposcide di elefante, altri credendosi di essere un vaso di terra temeano che i loro vicini li facessero in pezzi, e chi figurandosi divenuti un gallo, il canto e il batter dell’ali tentavano d’imitare, ed altrettanti esempli, che da Galeno, Boerhaave, Van-Swieten, e Sauvages, dove trattano della melanconia, sono raccolti;[34] i quali pazzi in tutt’altro poi ottimamente ragionavano. Siami lecito un altro solo esempio riferire da Arateo cavato.[35] Eravi un falegname, che in propria casa l’arte sua prudentemente esercitava, ivi gli operaj del suo mestiere patteggiava, ivi chiedeva con savio e retto profitto la sua mercede; ma non sì tosto sortiva da casa, che a sospirar cominciava e ad affannarsi, e se più lontano recavasi, impazziva del tutto: se poi di volo alla sua bottega faceva ritorno, riacquistava il suo senno. Nulla pertanto farà meraviglia se tali sintomi accadessero ancora all’infelice Difeso.

Tanto è distante adunque, che questi particolari delirj in un fissato oggetto soltanto, siano sufficienti a indur sospetto di qualche dissimulazione o di sotterfugio, che anzi egli è questa proprietà della melanconia ed il suo evidentissimo segno; il che bastantemente dimostrato, non più d’una cosa cotanto chiara farò parola.

Non intenderà forse ancor ben taluno ciò che le moltissime volte confessa il Difeso intorno la debolezza di sua reminiscenza. Posto dalle interrogazioni alle strette, perchè egli dica in quale stato e come la sua moglie lasciasse quando da lei fuggissi, sempre persiste di non saperne punto, di non sel ricordare. Abbiamo di già osservato che di leggieri i melanconici cadono in furore. Giova qui l’autorità riportare del celebre Offmanno: I melanconici, dic’egli, tanto più se in essi il male siasi invecchiato, facilmente sono trasportati al furore, cessato il quale, di nuovo la melanconia comparisce, sebben dappoi ritorni per certi periodi il furore.[36] Quando però la mente da simile furore viene occupata, è da inevitabile necessità rapita, e spogliansi allora di tutta la ragione i melanconici; quindi addiviene che neppure di quelle cose la memoria conservino, che operarono durante il loro delirio, qualora acquistano il senno. Farebbe adunque meraviglia sorprendente se il Difeso si rammentasse di tutto quello che involontariamente fece, e privo della ragione, e ne conservasse chiara e distinta l’idea. Perturbato e confuso lo stato del cervello, se non sanno i furiosi che si faccino, ne segue che dappoi che ritornan sani possano sibbene intender dagli altri i lor fatti, e non saperli da se stessi, o se li sanno, una confusissima ne abbino, e come nelle tenebre involta ricordanza. Se qualche specie però ritengon eglino del loro operato, quella può essere solamente degli atti più prossimi al furore, non di quelli che operarono nell’accessione e nella durazion del furore. Perlochè Elmonzio[37] afferma d’aver egli esaminati i furiosi, che ritornati in senno, ricordevoli erano dappoi abbastanza di tutto quello che loro accadde in que’ momenti ne’ quali incominciavano ad infuriare: attestavano che spogliavansi da prima di ogni raziocinio, e rimanevansi in una istantanea totale immersione di un sol concetto, fuori di cui aveano di nient’altro pensamento. Eccovi adunque quale specie di memoria si conservi da furiosi, o nessuna, o confusissima affatto.

Aggiungasi al finora addotto, esser egli costante che il Difeso soleva col vino i suoi tormenti e la sua tristezza assopire. Veniva a casa, dice uno de’ Testimonj Fiscali, quasi sempre ubriaco, perchè beveva assai alla bottega.[38] Onde non devesi non far conto di quanto spessissime volte egli afferma che in quel giorno fosse ubriaco. Se pertanto già dal vino sopraffatto e confuso accendesi di geloso furore un uomo, quale potrà pur essere mai in lui l’uso della ragione, e quale degli atti voluntarj la libertà? Alla vinolenza, scrive Seneca,[39] viene in seguito la crudeltà, avvegnacchè si danneggia e s’inasprisce quindi la sanità della mente.

Potrebbe darsi che un altro rilievo qui taluno proponesse: cioè, che il Difeso qualche volta confessi esser egli tratto fuori dei limiti della ragione, come se realmente i pazzi cogli attuali segni questo loro infortunio possano dimostrare, ma non lo dire. Questa obiezione a dir vero non farà caso a quelli che sanno esservi moltissimi pazzi, che da se stessi conosconsi tali, e che sono stati e che sono in furore rapiti. Dei maniaci, ossiano furiosi così discorre il mentovato Federico Offmanno:[40] Quando il male è inclinato rimangon eglino stupidi, quieti e mesti, e venuti pure in cognizione della malattia, s’attristano della loro calamità e misera condizione.

Ma già m’avveggo che in un affare tanto chiaro dubito a torto di tali Giudici e della loro sapienza, e che ho preso a dimostrare con penosa fatica un fatto da per se stesso apertissimo ed evidente. Conciossiacchè si è provato che da molt’anni in qua fosse solito il Difeso lasciarsi trasportare dalle furie della gelosia: se però di presente ancora la di lui perturbata mente hanno chiaramente i Processi dimostrato, che di più ci abbisogna di ricercare? La gelosia diconla a ragione Mattheu e Sanz trattando delle cose criminali una potentissima perturbazione dell’animo, e simile all’ubriachezza ed al furore:[41] chiamala Valentino Ludovico Vives[42] una barbara perturbazione; malattia dell’animo Cicerone;[43] veemente perturbazione e furore dell’animo Tiraquello;[44] e dal consenso universale de’ Filosofi s’insegna che la gelosia trasporta la volontà fuor dell’imperio della ragione. Or dunque di già s’è provato, e col fatto stesso di presente ad evvidenza si conferma che siasi un giudizio instituito sopra una involontaria e materiale uccisione della moglie.

Che se a Voi, Padri Sapientissimi, non un uomo delinquente e reo proponessi da giudicare, ma sibbene un infelice melanconico e furibondo, qual crederete che ad esser abbia la pubblica tristezza, se questo misero Inquisito sarà condannato alla pena? O qual esempio dappoi, quale riverenza alle leggi i Cittadini ricaveranno, se si punisca di morte uno stolto? Qualora addiviene che un attroce delitto ascoltiamo o veggiamo, in verità che a ragione diam nello sdegno, malediciamo il reo, la pubblica vendetta colle nostre imprecazioni, e le punitrici leggi affrettiamo: ma se alcun pazzo, se alcuno dà in gravi eccessi, e da furiose agitazioni sia sconvolto e guidato, così siam lungi d’insorgere contro lui e di accusarlo di reo, che anzi piuttosto da umanissimi interni moti commossi, per lui tutta ne rissentiamo la misericordia e la pietà. Se poi nell’imporre i castighi e le pene a’ delinquenti devesi massimamente avere per fine il pubblico esemplo, e questo attendersi più che ogn’altra cosa;[45] in verità che il supplicio di un pazzo in ispettacolo solo si volgerebbe di tristezza e mestizia, anzi che in un terrore proficuo e salutare. Imperciocchè chi in istato di senno alle scelleragini dà mano, porge al peccare un funestissimo invito; chi delirante e stolto ne’ delitti incorre, non divien egli di delitto, ma un esempio di pazzia, che non mai alla pubblica disciplina potrà recar nocumento. E in vero non si puniscono i falli perchè commessi, ma perchè non se ne commettano in avvenire; posciachè quel ch’è fatto, nè proibire si può, nè distruggere.[46]

Se certamente in questa causa, in cui alla giustizia vostra soltanto, P. C., si ricorre, duopo fosse la vostra misericordia e la pietà vostra implorare, quanto mai questi teneri affetti dell’animo eccitar potrebbero i pianti e le preghiere dell’innocente figlia del mio Difeso! È d’essa che a Voi molle tutta di lagrime, co’ più gravi affanni sul cuore, co’ sospiri sulle labbra in atto supplichevole stende le imbelle mani, ed esclama che non vogliate a’ funerali accumular funerali, a morte aggiunger morte, nè a distruggere concorriate un’intera famiglia! Perdetti, dolorosa dice l’innocente fanciulla, la dolcissima madre perdetti, deh conservatemi un infelicissimo padre, vi priego. Ah se a me fosse permesso un testimonio prestarvi di tutto quello che io vidi operare dai furiosi moti di un animo dalla più barbara gelosia sconvolto, la vostra pietà riscuoterei, o giustissimi Padri, e non lo sdegno. Perdonate ad un genitore il più infelice di tutti, a me del materno sangue aspersa ancora e tinta perdonate. Che più di tristo, che più di funesto mi potrebbe accadere giammai, quanto l’essere con perpetuo dolore a piangere costretta d’ambo i miei genitori il mestissimo fato! E così &c. me però &c.

 

NOTE

[1] Lib. PPP. 1760. Veggansi segnature fol. 38 e seg., fol. 48 e seg., fol. 61 e seg., fol. 69 e seg., fol. 78 e seg.

[2] Documento segnato A; ed altro B.

[3] Documento segnato C.

[4] Detto documento C ed altro A; e B.

[5] Documento segnato D.

[6] De probat. concl. 824. vol. 2, n. 11; e segti.

[7] Ne’ Commentarj agli afforismi di Boerhaave De Melancholia. Aggiungasi Federico Offmanno Medicinae rationalis systemat. tom. 4, cap. 8, De delirio melancholico § 30.

[8] Mascardi nella susseg.te conclus. 825 e Zacchia Quaest. medico-legal. lib. 2, tit. 1, quaest. 23 per tutta.

[9] Detto Mascardi, e Zacchia nel med.mo luogo.

[10] Proces. vol. 1, fol. 46.

[11] Process. lib. 1, fol. 28, e fol. 56 dall’altra parte.

[12] Process. lib. 1, fol. 30 dall’altra parte.

[13] Process. vol. 1, fol. 79.

[14] Process. lib. 2, fol. 3 dalla parte opposta.

[15] Nel med.mo fol. 4.

[16] Process. lib. 2, fol. 10 dalla parte opposta.

[17] Process. libro med.mo fol. 17.

[18] Documenti segnati A. B.

[19] Process. fol. 12, lib. 11.

[20] Process. lib. 2, fol. 14.

[21] Process. lib. 2, fol. 14 e 15.

[22] Lib. 2 Process. fol. 19.

[23] Detto libro, fol. 22.

[24] Detto libro, fol. 21 e 22.

[25] Process. lib. 2, fol. 22.

[26] Process. lib. 2, fol. 40.

[27] Process. lib. 2, fol. 49 dalla parte opposta.

[28] Process. lib. 1, fol. 25.

[29] Zachia Quest. medico-legal. tom. 1, lib. 2, tit. 2, quest. 3, n. 20.

[30] Federico Boissier de Sauvages, Nosologia metodica, p. 615, ediz. di Venezia, 1764.

[31] Della Melanconia, tom. 3.

[32] Med.mo luogo, § 1094.

[33] Sauvages, Nosologia metodica, dove parla della melanconia.

[34] Van-Swieten ne’ Commentarj a Boerhaave della melanconia § 1113. Sauvages nel d.to luogo ecc.

[35] Van-Swieten della melanconia come sopra § 1094.

[36] Federico Offmanno Medicina razionale sistematica, tom. 4, cap. 8, § 1.

[37] Capo Demens idea, pag. 226, § 39.

[38] Process. lib. 1, fol. 14.

[39] Epist. 83.

[40] Medicina razionale sistematica, tom. 4, cap. 8, § 3.

[41] Controvers. 23, n. 3.

[42] De Foemin Christian. Lib. 2, tom. 2.

[43] Tuscul. lib. 4.

[44] Delle leggi connubbiali, leg. 16, n. 8.

[45] Grozio De juris bell. et pac. lib. 2, cap. 20, § 19.

[46] Grozio nel citato luogo.